Gli striscioni di accoglienza per Beckham preparati dalla curva dei Galaxy
Quando giocava a Manchester, in quella Premier League dove in alcuni stadi è persino vietato stare in piedi, David Beckham riceveva insulti di ogni genere, e lo stesso accadeva a sua moglie, le cui preferenze sessuali venivano immortalate in cori assai simili a quelli che da sempre si sentono negli stadi italiani, specie quando il calciatore è accoppiato a qualche stella o stellina del mondo dello spettacolo. Trasferitosi al Real Madrid, non è che le cose fossero migliorate. E nonostante ciò, non ricordiamo particolari reazioni da parte di Beckham, a parte forse il dito medi mostrato ai tifosi inglesi in trasferta durante gli Europei 2004. Considerando però la quantità di insulti ricevuta in 16 anni di professionismo, si può dire che da questo punto di vista Becks si sia comportato sempre in maniera esemplare. Rimane quindi incomprensibile come mai - all'età di 34 anni - abbia completamente perso la testa in occasione del match amichevole di domenica scorsa fra Los Angeles Galaxy e Milan all'Home Depot Center, che ha segnato il suo ritorno in California dopo 9 mesi di assenza.
Riassumiamo. Dopo il pessimo campionato 2008 che ha visto i Galaxy chiudere all'ultimo posto nella MLS, Beckham - deciso a non perdere il posto in Nazionale – ha pensato che andarsene a giocare al Milan per qualche mese gli avrebbe fatto solo bene. Tutto ok, nonostante un certo imbarazzo iniziale da parte dei Galaxy, informati tardi, anche perché tutto sommato qualche mese del suo ingaggio principesco sarebbe stato pagato da Berlusconi. Integratosi immediatamente col gruppo rossonero, Beckham ha fatto vedere al mondo di essere ancora un giocatore di altissimo livello. Se non che a marzo, quando sarebbe dovuto tornare a LA per la preparazione precampionato, decide di rimanere a Milano, avviando una battaglia con la MLS, che si chiude con un accordo che prevede: qualche milione per la MLS, il soggiorno a Milano fino a giungo, il ritorno nella MLS, un'amichevole col Milan a Los Angeles e l'inserimento di una clausola penale nel caso Becks decidesse di andarsene a fine anno. Commercialmente tutti soddisfatti: il Milan, Beckham e anche la MLS, che già vedeva la possibilità di rischiarare un giocatore che aveva dimostrato di saper ancora essere fondamentale nel calcio che conta. Ah, tutti soddisfatti tranne i tifosi americani, in particolare quelli dei Galaxy, che certo non hanno apprezzato le continue dichiarazioni d'amore dell'inglese nei confronti del Milan. A tutto ciò si è aggiunta l'uscita di un libro "The Beckham Experiment", del giornalista di Sports Illustrated Grant Wahl, dal quale Golden Balls ne esce veramente male, tra aneddoti vari sulla sua spilorceria e le accuse di Landon Donovan di scarso impegno e professionalità . Di lì a prefigurare cosa sarebbe potuto succedere al ritorno in America ci sarebbe voluto poco.
"Stavano urlando cose non proprio carine nei miei confronti" ha dichiarato Beckham dopo il match contro il Milan. Era però successo solo il prevedibile. Fischi continui e insulti da parte della L.A. Riot Squad, gli ultras dei Galaxy, più volte provocati da Beckham però, come quando dopo il gol di testa di Alan Gordon su suo calcio d'angolo si è girato facendo il gesto del silenzio. Fino a quando, più tardi, è andato addirittura sotto la curva ad invitare più volte chi lo contestava a scendere in campo e dirgli in faccia le cose (comportamento che gli è valso $1.000 di multa). Peccato che qualcuno sia sceso davvero, bloccato però dalla security, tra lo sbigottimento dei giocatori dei Galaxy e anche di quello dei milanisti, che pur anche abituati a certe cose in Italia, mai se le sarebbero aspettate in California. Ma del resto, se uno legge solo la stampa italiana o inglese"
Ma che stavano dicendo i tifosi? Vediamo" si sono letti striscioni del tipo "Eravamo qui prima di te, ci siamo nonostante te, ci saremo dopo di te", oppure "Vattene truffatore", o anche "Pentiti!". Il tutto accompagnato da urla tipo "traditore". Niente di eccessivamente pesante, ci sembra. E allora, perché prendersela così? Qualcuno ha scritto che il motivo sarebbe la sua incapacità di comprendere l'ingratitudine dei tifosi. Probabile.
Ma torniamo al gennaio 2007. Beckham firmò per i Galaxy quando ormai sembrava avviato sul viale del tramonto, anche se proprio un mese dopo quella firma fu lui a dare la svolta al Real nella rincorsa alla Liga, come ammesso dallo stesso Fabio Capello, che all'inizio lo aveva messo fuori squadra credendolo ormai demotivato. Becks sbarca quindi a luglio a NY, seppur con un infortunio alla caviglia che ne limita molto il rendimento nei primi tempi. Immediatamente però diventa una star. Dopo 30 anni il calcio USA trova di nuovo un grande spazio sui giornali americani, e in ogni stadio sono decine di migliaia i tifosi che accorrono per vedere l'icona "David Beckham" propagandata dalla MLS e dagli sponsor (l'Adidas) che puntano a recuperare un investimento notevole. E tutto intorno il glamour delle ospitate negli show televisivi, delle amicizie tipo Tom Cruise e Katie Holmes, o di qualche grande delle altre major leagues – tipo Kobe Bryant – che si presentano allo stadio per vederlo giocare (poco quell'anno). Ma per lui non era solo una questione di soldi. La mission sembrava la stessa di Pelé nel 1975, quando disse di voler fare esplodere definitivamente il calcio in America. Ma allora come oggi i (tanti) soldi hanno aiutato. Comunque il suo sbarco in America aveva improvvisamente - almeno per un po' – dato una certa credibilità internazionale alla MLS. Purtroppo però, la regola del salary cap ha impedito all'AEG di costruirgli intorno una squadra almeno decente. Anzi, la coincidente presenza in squadra di Landon Donovan - per un totale di quasi un terzo del cap speso per i due - aveva costretto il coach Frank Yallop ad un'accozzaglia quasi imbarazzante (definita "pub team", una squadra da pub, dai giornali inglesi), con conseguente mancato ingresso nei playoff. Poco o nulla è cambiato nel 2008, nonostante l'arrivo sulla panchina dei Galaxy di Ruud Gullit, scelto da uno dei consulenti di Beckham. Ma Gullit, incapace di adeguarsi alle strette regole di mercato della MLS, e a causa di un atteggiamento snobistico nei confronti di buona parte dei giocatori, ha retto poco e con pessimi risultati. E allora è toccato a Bruce Arena, ex CT della Nazionale USA, chiamato a metà stagione - troppo tardi - a rifondare il club dalle ceneri. E ad una prima occhiata sembra che il suo lavoro sia ben avviato. Da capire se Beckham ci sarà o no.
Credibilità abbiamo detto. Credibilità che spesso mancava a causa di quanto si vedeva in campo, ma anche per quanto succedeva sugli spalti. La cultura calcistica europea è infatti assolutamente incapace di accettare tifosi che entrano a partita iniziata, che si alzano per andare a mangiare hot dog durante il match, e che al gol al massimo rumoreggiano. Il tutto con uno sfondo fatto di sole chiacchiere o di "ooooh" in occasione di qualche azione pericolosa. Tutto giusto. Ma questa era la MLS di qualche anno fa. Da un po' infatti le cose stanno cambiando, almeno in buona parte delle piazze. Gli stadi, in maggioranza di proprietà , e non più quindi quesi mostri da 80.000 posti con linee da football, inziano ad essere pieni. Sono persino nati gruppi ultras: dai Barra Bravas del DC United (di cui parlammo già tre anni fa) agli Hudson Street Hooligans del Columbus Crew (che l'anno scorso si sono persino scontrati con quelli del West Ham!), passando per i Red Patch Boys di Toronto e - appunto - l'L.A. Riot Squad di Los Angeles, ma altri ce ne sono e stanno crescendo. Certo sono gruppi non paragonabili - per fortuna - a quelli nostrani, ma di sicuro sono tifosi veri come lo sono quelli italiani, spagnoli o inglesi, forse anche grazie al fatto che questi gruppi sono veri e propri mini melting pot razziali, con gente di origine la più varia.
Quanto accaduto a Los Angeles quindi non è niente di strano. Anzi è il segno che il calcio anche negli USA è diventato qualcosa di serio. Che credibilità avrebbe avuto un pubblico che avesse accolto in maniera adorante un giocatore che negli ultimo mesi non ha dichiarato altro che volersene andare? E forse è quello che Beckham si aspettava, a dimostrazione però di come lui non abbia capito il pubblico americano (anche a NY ha avuto la stessa accoglienza infatti, a differenza di due anni fa), e di quanto invece questo abbia capito lui. I tifosi dei Galaxy hanno dimostrato di essere tifosi normali, gente che vuole vedere la propria squadra vincere, e che se ne frega del "brand Beckham", se questo è incapace di dare in campo quello che ci si aspetta da lui ed è pronto a scappare nel momento di difficoltà . Una reazione, quella dei tifosi, che 20 o anche 10 anni fa sarebbe stato impensabile vedere in America.
Per fare un altro esempio, gli oltre 65.000 che hanno affollato il Qwest Field di Seattle per l'amichevole contro il Chelsea hanno cantato e tifato tutto il tempo per i beniamini di casa, i Seattle Sounders, usciti poi sconfitti. Ma mentre in passato le vittorie delle squadre straniere venivano accolte comunque dalla gioia di aver visto i grandi campioni che giocano in Europa, stavolta i Blues si sono accorti eccome di aver giocato in trasferta. Rispetto al passato c'è poi anche la crescita tecnica di squadre che qualche fastidio - non di più al momento - alle grandi possono darlo, anche se il solo John Terry, ad esempio, guadagna tre volte l'intero monte stipendi dei Sounders. E un tifoso di calcio sa riconoscere ed apprezzare certi miglioramenti.
In sintesi, quanto accaduto a Los Angeles - e in parte a Seattle - non è altro che il segnale che il calcio, nel bene e nel male, è finalmente sbocciato negli Stati Uniti d'America. Il calcio europeo è sicuramente più lontano di quante miglia marine e lontano il Portogallo da New York, ma qualcosa mai visto prima sta succedendo.