Joan Laporta, presidente del Barcellona, e Marcelo Claure
Si avvicina sempre più il possible ritorno di Miami nella MLS. In un'intervista pubblicata dal Diario de Las Americas (giornale della Florida in lingua spagnola) Marcelo Claure, imprenditore proprietario della Brightstar Communications e del club calcistico boliviani Bolivar FC, ha rilanciato la sua alleanza col Barcellona ribadendo la sua fiducia nell'approvazione della loro proposta alla MLS e nel pubblico della Florida. Claure ha dichiarato: “La storia ci ha insegnato che quando Marlins, Heat e Dolphins producono risultati i fans rispondono. E la nostra filosofia è proprio quella di mettere in piedi uno show che arrivi al cuore dei tifosi e riempire lo stadio".
Marcelo Claure è andato avanti assicurando lo svipuppo di un piano aggressivo che porterà Miami a mettere in campo 11 ottimi giocatori. Ma nonostante l'expansion della MLS sia prevista per il 2011, Claure e il Barcellona puntano invece a lanciare il team per il 2010. “In realtà la nostra passione ci impedisce di aspettare oltre il 2010. I 14 proprietari degli altri team sono entusiasti della nostra proposta e noi siamo pronti". L'accordo con la Florida International University è infatti settato già per il 2010, è il gruppo Claure-Barà§a è fiducioso che il nuovo stadio da 21.000 della FIU sarà della dimensione giusta per soddisfare la domanda iniziale. Con riguardo ai giocatori top per il nuovo team Claure ha affermato: “Non vogliamo sollevare false aspettative, in quanto al momento non possiamo portare Lionel Messi o Samuel Eto, ma possiamo affermare che uno fra Carles Puyol e Thierry Henry potrebbe essere il nostro Designated Player“.
Ovviamente gran parte delle responsabilità nella gestione tecnica della squadra ricardà sull'organizzazione del Barcellona, e Claure è arrivato ad affermare che in un modo nell'altro Joseph Guardiola - attuale allenatore dei blaugrana - potrebbe assumere alcune responsabilità . Per quanto riguarda gli altri possibili giocatori, Claure ha affermato che l nuovo team di Miami punterà sui giovani, che gli 8 stranieri saranno latino-americani e che sperà di riuscire a mettere insieme quanti giocatori possibili con raidici nella Florida del sud, facendo in modo che il team funzioni anche col salary cap previsto dalla MLS.
Lo stadio della FIU di Miami
Ma perché il Barcellona e perché Miami? Le dichiarazioni di Joan Laporta, presidente del Barcelona, al NY Times: "L'investimento è parte di un piano quadriennale di sviluppo della nostra immagine negli Stati Uniti, e Miami è la porta d'ingresso all'America per molte persone provenienti dall'America Latina". L'area di Miami è stata a lungo associata col grande numero di cubani, sbarcati a partire dagli '60 per scappare dalla dittatura comunista di Fidel Castro, ma negli ultimo 10 anni il profilo etnico dell'area è cambiato molto, con un notevole afflusso di immigrati dal Centro e Sudamerica. "Siamo convinti che il calcio negli USA stia crescendo, e noi vogliamo essere parte di questa crescita. Vogliamo condividere la nostra filosofia e sviluppare il calcio in America per noi sarebbe qualcosa di grande. Il nostro gruppo ha tutti i requisiti per avere una franchigia nella MLS. E poi, il nostro motto, "Mes que un club", significa anche difesa delle libertà democratiche, e per noi Miami, da questo punto di vista, significa qualcosa di simile". Ma forse c'è anche qualche altra ragione. Laporta ha infatti affermato che l'operazione Miami potrebbe portare nelle casse del Barcellona fino a $9 milioni l'anno di profitti.
Per gli scettici che credono che l'interesse del Barcellona per gli USA sia solo relativo alla vendita di maglie e altro merchandising, il Barà§a intende rispondere col calcio. Joan Oliver, AD dei blaugrana: "La nostra idea è che il clacio è lo stesso ovunque. Anche lo stile sarà lo stesso. Vogliamo una squadra che possa essere riconoscibile perché gioca come il Barcellona". Magari però non sarà proprio così. Intanto almeno per quanto riguarda il nome lo spetto di un Barà§a USA si allontana: nome e simbolo infatti, secondo quanto dice Claure, dovrebbero essere scelti con un concorso internazionale.
Visti anche i recenti problemi di Philadelphia per il 2010 - fortunatamente in corso di soluzione - e i dubbi per motivi diversi sulle varie Portland, St. Louis e Vancouver (Montreal è già fuori, mentre Atlanta e Ottawa sono altamente improbabili), la proposta di Miami fatta di soldi ($40 milioni di expansion fee pronti), stadio (quello della FIU, almeno per ora), e aspetto tecnico (il nome Barcellona parla da solo), sembra essere al momento la più solida. Ma, alcune perplessità al di là di un certo entusiasmo che viene naturale avere, esistono eccome.
Partiamo dalla tempistica. Il duo Claure-Laporta sta mettendo notevole pressione sulla MLS per poter ottenere il via già dal 2010, dichiarando che I $40 milioni sono sul tavolo solo per questa opzione, e non per il 2011. E in questo periodo di crisi è ovvio che presentarsi con soldi freschi rende molto attraenti. Infatti la MLS - per bocca del portavoce Dan Courtemanche – ha già espresso una certa flessibilità .
Quello di avere degli stranieri presentarsi alle porte della MLS con i soldi mano all'inseguimento di un facile - secondo loro - successo, ha però dei precedenti. L'inevitabile riferimento è al miliardario messicano Jorge Vergara, che nel 2005 entro nella MLS con i suoi Chivas USA affermando che la sua squadra avrebbe insegnato all ail gioco del calcio. Persino il motto del team del primo anno, “El futbol esta aqui“, sembrava sottointendere che solo con l'ingresso del Chivas si sarebbe iniziato a giocare davvero a calcio in America. Inizialmente destinata ad una città del Texas o a San Diego, alla fine la MLS cedette a Vergara concedendogli di posizionare il suo team a Los Angeles, rompendo la regola che voleva ogni nuovo team in una nuova città . Ma Vergara e il Chivas USA dovettero rimangiarsi presto le proprie convinzioni, chiudendo il 2005 con il record di sconfitte. E anche se negli ultimi due anni le cose sono andate meglio, il team deve attualmente soffre sugli spalti, dove mancano molti dei tifosi presentatisi il primo anno e rimasti fortemente delusi. E anche l'orientamento solo latino-americano di Claure lascia perplessi, ricordando i pessimi risultati del Chivas USA tutto messicano del primo anno, incapace di adeguarsi ai ritmi della MLS.
E qui passiamo all'altro problema: il salary cap. Guardiola dovrebbe chiedere a Ruud Gullit cosa vuol dire trovarsi a gestire un team fatto di ragazzi che prendono $12/30 mila l'anno senza poter investire per migliorare il gruppo. Ma questo è un problema che vivono tutti i team MLS, e quindi successivo e inevitabile.
Altro punto: lo stadio La celta del nuovo stadio della FIU non appare ideale. Innanzitutto il turf, il campo sintetico. Ok forse a Toronto e a Seattle, dove si sono anche problemi climatici, ma a Miami? La risposta dio Claure a Don Garber è stata: "E' il miglior turf al mondo". Appunto" Non solo però. Lo stadio, seppur appena inaugurato, non sembra all'altezza come struttura dei nuovi stadi MLS (Salt Lake, City, LA, Chicago, ecc.), e Claure e Laporta non pensano né a migliorare la struttura attuale (priva ad es. di luxury boxes) né in futuro ad investire in un nuovo stadio, per il quale ci sarebbe stato un finanziamento ed una location (accanto al nuovo stadio dei baseball dei Florida Marlins) disponibile fino all'inizio del 2008 ma ormai andato perso per scadenza dei tempi previsti.
Sbaglia certo chi compara la nuova eventuale franchigia ai Miami Fusion (nella lega dal 1998 al 2001) di Ken Horowitz, che sbagliò tuttto, come ad esempio la scelta di giocare a Ft. Lauderdale nel vecchio Lockhart Stadium, e rinviando troppo l'ascesa di Doug Hamilton (ex CEO anche dei Galaxy deceduto nel 2006 per un attacco di cuore di ritorno da un match di Concacaf Champions' Cup). La differenza tra l'organizzazione Barà§a-Claure rispetto ai vecchi Fusion è assolutamente diversa e superiore.
Ma ecco un ultimo punto. Il mandato di Joan Laporta, eletto da un board, scade nel 2010. Cosa potrebbe succedere nel caso il board del Barà§a dovesse decidere di concentrare le proprie risorse finanziarie in casa e magari sostituire Laporta? Vorrebbe dire la fine, ancora una volta, della franchigia di Miami. Diverso sarebbe se il duo accettasse di investire sullo stadio, che così patrimonializzerebbe la nuova società e ne assicurerebbe il futuro anche in caso di disimpegno della dirigenza blaugrana.
Comunque il rischio di un secondo fallimento a Miami davvero la MLS non può permetterselo, e Don Garber (il commissioner) e Mark Abbott (il presidente della MLS), staranno riflettendo attentamente. E entro due mesi faranno sapere se magari già dal prossimo anno la un po' di Barà§a e d'Europa sbarcheranno nella MLS.