Revolution: fine di un ciclo?

Wilman Conde e Kheli Dube. Chicago sovrasta Boston nelle semifinali di Conference

In un articolo del 13 novembre 2006, postato subito dopo la MLS Cup di quell'anno, scrivevamo che "" a Boston si è chiuso un ciclo. Non un ciclo tra i più vincenti, certo: 3 titoli della Eastern Conference (e 5 Finali di Conference) in 5 anni non autorizzano a scomodare paragoni più vincenti".

Ecco, dobbiamo giusto aggiornare quei numeri: i titoli della Eastern Conference sono diventati 4 in 6 anni (e 6 Finali di Conference), a cui va aggiunta la US Open Cup vinta nel 2007 ai danni del FC Dallas e la SuperLiga 2008, che varrà  quanto un due di bastoni quando regna denari, ma fino a prova contraria è un torneo ufficiale riconosciuto dalle federazioni statunitense e messicana, e soprattutto i messicani ci danno dentro come fabbri, per cui onore al merito dei Revs. E quindi?

E quindi le parole scritte allora sono tuttora valide: quello dei Revs è l'unico caso (beh, non esageriamo, uno dei pochi) al mondo in cui una squadra, assemblata bene e allenata meglio, sia dal punto di vista atletico ma anche tattico (e negli USA è un caso più unico che raro), non riesce ad arrivare fino in fondo, e dopo anni di tentativi tutto quello che rimane è un pugno di mosche.

Infatti il bersaglio grosso, quella MLS Cup che ad un certo punto è sembrata (e sembra tuttora) stregata, è stato sempre mancato, fallito per un soffio, soprattutto negli ultimi 2 anni; le 2 Finali contro la Houston Dynamo hanno mostrato una compagine che sapeva combattere contro una squadra di pari (o forse superiore) livello. I texani possono contare su gente di buon livello tecnico (pensiamo a Dwayne De Rosario, a Brian Ching, ma anche a Mulrooney e al portiere Pat Onstad), invece i L.A. Galaxy, contro i quali i Revolution hanno perso le altre 2 Finali della loro storia, hanno un tasso tecnico decisamente inferiore (anche prima che arrivasse David Beckham) e comunque contro di loro almeno una vittoria pareva possibile, auspicabile, perfino doverosa; ma non è arrivata.

Ed ora siamo di nuovo al paradosso in cui ci si trovava 2 anni fa; allora Boston ci smentì, tornando in Finale nel 2007 e vincendo la US Open Cup. Quest'anno però è stato mancato anche l'obiettivo minimo, ossia raggiungere la Finale di Conference, per la 1ª volta dopo 7 anni. Va detto, ad onor del vero, che per lunghi tratti della stagione sono mancati (alternativamente e contemporaneamente) alcuni degli uomini migliori: Taylor Twellman è stato più fuori che dentro, a causa di un infortunio muscolare che non lo ha mai abbandonato del tutto; Steve Ralston si è fratturato un perone e il suo rientro, previsto per la prossima stagione, sarà  comunque difficoltoso vista anche l'età  del giocatore; Shalrie Joseph ha praticamente giocato su una gamba sola il 2° tempo della partita contro i Fire a causa di uno stiramento; per buona misura Jeff Larentowicz (comunque uno dei più positivi quest'anno) si è infortunato alla caviglia nel ritorno contro Chicago.

Potremmo dunque sostenere (e difficilmente verremmo contestati) che Boston quest'anno ha perso a causa degli infortuni, che se avesse avuto il roster al completo forse staremmo parlando della 7ª Finale di Conference consecutiva e di concrete possibilità  di vincere questa benedetta MLS Cup.

Possibile, certo. Ma improbabile. Perché, anche solo per la legge dei grandi numeri, doveva arrivare il momento in cui i Revs avrebbero avuto la peggio nelle semifinali di Conference. E se non vogliamo tirare in ballo un fattore così imponderabile come la probabilità  andiamo a vedere le "campagne-acquisti" (se così possiamo chiamarle") dei Revolution negli ultimi anni.


New England Revolution – Best Goals 2008

Che il coach Steve Nicol abbia un gran naso per i giovani è un dato di fatto e basterebbero i risultati degli ultimi draft a confermarlo: Twellman, Clint Dempsey, Michael Parkhurst, Larentowicz, Khely Dube e Kenny Mansally, Khano Smith" tutta gente che magari non eccita la fantasia della folla (ma parliamoci chiaro: a parte Donovan, De Rosario e parzialmente Kljestan, quale altro calciatore nato negli USA lo fa?), ma è dotata di piedi buoni e di intelligenza tattica, che dovrebbe essere la prima dote di ogni calciatore, ma visto che negli Stati Uniti ne sono sprovvisti anche gli allenatori saperla riconoscere è un ulteriore titolo di merito per il buon Nicol.

È in fase di potenziamento della squadra con elementi già  esperti che iniziamo a storcere il naso: e qui chiamiamo in causa il patron dei Revolution e dei Patriots Robert Kraft; un uomo che non bada (relativamente) a spese quando si tratta di football, ma che per il soccer non si è mai dimostrato molto munifico. Eppure è uno dei primissimi investitori della Lega, ed è stato tra coloro che nel 2001, di fronte alla decisione se chiudere la MLS o andare avanti, decisero di continuare.

Sarà  il carattere pragmatico della gente del New England, gente concreta che non cede ai clamori della folla, che non ama spendere a meno che non sia assolutamente necessario e che preferisce trovare in casa le soluzioni ai propri problemi; sarà  che la Lega, così com'è strutturata ora (con salary cap ridicolo, contratti da fame per i calciatori e tutte le magagne descritte a più riprese su questo sito) non è un veicolo pubblicitario particolarmente appetibile per le attività  di Kraft, ma qui siamo davvero al di sotto del minimo sindacale. Non sappiamo se davvero Luis Figo ha mai avuto la tentazione di provare nella MLS, ma ai Revolution si sarebbe trovato probabilmente bene; peccato che Kraft si sia affrettato a chiarire che tutti quei soldi per un solo giocatore non li avrebbe mai spesi (però se si fosse trattato di Peyton Manning per portarlo ai Pats crediamo che i cordoni della borsa li avrebbe allargati").

Però a questo punto solleviamo un dubbio: a Kraft interessano davvero i Revolution? Perché, signori, qui stiamo commentando la parabola discendente di un gruppo che, pur andandoci vicinissimo, non ha vinto nulla o quasi; e non è sempre possibile fare le nozze coi fichi secchi, ogni tanto un po' di soldini bisogna tirarli fuori, foss'anche solo per svegliare un po' la fantasia degli spettatori, che all'andata contro Chicago erano solo in 5.000; e considerando che il pubblico di Boston è tra i più fedeli, questo fatto la dice lunga su come gli stessi tifosi avvertano il distacco di Kraft dalla squadra.

Non aiuta di certo il progetto del comune di Boston di costruire un soccer-specific stadium nei dintorni di Boston, visto che il Gillette Stadium (dove giocano sia i Revs che i Patriots) è di proprietà  di Kraft, che si è sobbarcato notevoli spese per renderlo agibile anche per il calcio (anche se il terreno sintetico resta un'infamità  e sarebbe più facile giocare tra i pini e i salici del Boston Common dovendo dribblare anche i cani, le papere e i cigni del laghetto) e adesso si vedrebbe costretto a far emigrare i calciatori da un'altra parte, i quali d'altro canto ringrazierebbero per non dover giocare sulla sabbia del Gillette Stadium, che d'inverno si trasforma in una piantagione di patate.

Per carità , molte altre squadre in tutti gli sport e in ogni epoca sono andate vicine alla vittoria e alla fine hanno fatto un buco nell'acqua; ma noi, oltre che della MLS, siamo tifosi di Boston (di tutte le squadre di Boston) e dobbiamo ragionare sui fatti; alla fine dei conti, quel che rimane di questa stagione è il paradosso citato all'inizio e dubitiamo che bastino il rientro dei giocatori infortunati e qualche "pesca" geniale di Nicol al draft per far tornare questa squadra competitiva per la vittoria finale.

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