Michael Orozco, americano, difensore del San Luis (Messico) e speranza della Nazionale USA
Alcuni di loro in questi giorni sono impegnati nei playoff della Liguilla Mexicana, ma di loro si sa poco e ancor meno se ne legge quando c'è di mezzo la Nazionale USA, in cui vediamo spesso 18enni senza nessuna esperienza esordire, anche solo per la volontà dei vari CT di dar loro la possibilità di confrontarsi a livello internazionale in assenza di palcoscenici adeguati all'interno dei vari club, che al di là della CONCACAF Champions' Cup non hanno altre possibilità di far crescere i propri frutti migliori.
C'è invece chi, per farsi notare dallo staff tecnico della Nazionale, deve andarsene all'estero, non solo in Europa però, ma anche nel vicino Messico, tanto più quando questi si tratta di ragazzi che affondano le loro origini in quel paese e che confrontandosi in calcio se non migliore quantomeno al momento più competitivo, sono in grado di apportare qualcosa di nuovo alla Nazionale USA.
Un caso esemplare, in positivo, è quello del 22enne difensore Michael Orozco, uno dei protagonisti nelle qualificazioni olimpiche con la Nazionale USA Under 23, con cui in agosto andrà a Pechino per I giochi. Nel torneo di qualificazione gli USA hanno concesso un solo gol in 4 partite, con Orozco alla guida nominato miglior difensore del torneo.
Incredibile però come Orozco sia arrivato tardi sotto i riflettori dei tecnici USA, e solo dopo essersi guadagnato dallo scorso anno un posto da titolare nel San Luis, club della pria divisione messicana. Il promettente difensore è infatti stato notato solo dopo aver lasciato la natia California del sud all'età di 18 anni per tentare l'avventura messicana. E se non ci avesse provato, oggi probabilmente non saremmo qui a scrivere di lui. Cresciuto in un team californiano, gli Irvine Strikers, Orozco ha quindi effettuato provini con Chivas USA e Los Angeles Galaxy, ma nessuna delle sue squadre è riuscita a trovargli spazio adeguato.
L'agente Hugo Salcedo, specializzato nello scovare talenti negli USA da piazzare in Messico, gli organizza quindi un provino di 8 giorni col Necaxa, una delle migliori squadre della Liguilla, mentre questa si trova in California per l'Interliga (torneo che qualifica un team messicano alla Copa Libertadores). Il ragazzo piace e viene messo sotto contratto dal Necaxa. Parte così la sua, non facile, avventura. "Mi pagavano $200 al mese più vitto e alloggio. Riuscivo a vivere, ma non era certo facile", ha dichiarato il ragazzo a Soccer America. Il primo impiego per lui è con la squadra riserve, in seconda divisione: "Era frustrante, all'inizio non vedevo l'ora di tornarmene a casa. Stavo ore al telefono con i miei genitori. Ma ho deciso di resistere e fino alla promozione in prima squadra".
Ma purtroppo per lui l'esordio in prima divisione col Necaxa non arriva, ma l'allenatore Raul Arias al momento di cambiare squadra decide di portarsi il ragazzo con sé al San Luis. E finalmente il debutto arriva. E' il 26 agosto 2006, quasi due anni dopo il suo arrivo in Messico, quando al 69' del match fra San Luis e Tigres, in quel momento sul 2-0, subentra al posto di Oscar Mascorro. Ma il passaggio dalla gioia alla disperazione è un attimo. Passano infatti solo 3 minuti e un suo intervento a fermare un avversario diretto in area gli procura un cartellino rosso.
Passano 6 mesi prima che Orozco riveda il campo, a 5 giornate dalla fine del Clausura 2007, e ci vogliono 32 partite prima che il CT dell'Under 23 Piotr Nowak si accorga di lui e lo convochi. Ne bastano poi solo 4 per fare di lui uno dei leader dell'Olimpica USA, insieme a Freddy Adu e Jozy Altidore, con cui insieme proverà a conquistare una medaglia a Pechino. “Sono americano, e giocare per gli USA è sempre stato il mio sogno", dice Orozco. Ma almeno lui è stato chiamato, a differenza di un altro ragazzo di origini messicane, Edgar Castillo, che oggi furoreggia nella primera division messicana.
Cittadinanza calcistica
Rispetto a quella di Orozco, che mai ha avuto dubbi su quale nazionalità scegliere, ben diversa è la situazione di chi si trova a dover prendere una decisione non facile. Una decina di anni fa infatti il Governo messicano, che in precedenza scoraggiava la doppia cittadinanza, ha completamente cambiato approccio, consentendo a chiunque sia nato in Messico, o all'estero da genitori messicani, di poter ottenere la cittadinanza anche se ne possiede un'altra. Ciò consente ai "Mexican-Americans" di avere una serie di diritti quali il voto, di comprare proprietà e di ereditare. Ma non solo, ha consentito anche l'apertura di un nuovo mercato per i team messicani, che adesso possono ingaggiare ragazzi nati negli USA senza dover occupare un posto da straniero come avveniva in passato.
Di conseguenza la misura relative alla cittadinanza e la sempre notevole immigrazione dal Messico agli USA, il tutto combinato con la crescita del movimento calcistico negli USA, ha dato il via ad un'attivissima campagna di ricerca di talenti da parte delle squadre messicane, con osservatori sparsi per tutto il continente nordamericano. Ne è un esempio il torneo denominato Dallas Cup, che attira decine di squadre piene di ragazzi di origine messicana.
Non solo. La doppia cittadinanza consente a giocatori nati negli USA di essere eleggibili per El Tri, la Nazionale messicana. Il caso più noto è quello del giovane terzino Edgar Castillo, nato e cresciuto in New Mexico, che ha trovato la sua via al professionismo col Santos Laguna, ed è oggi considerate uno dei migliori giocatori del campionato.
A lungo ignorato dalle giovanili USA, Castillo è stato ben contento lo scorso di ricevere la chiamata dell'allora CT della Nazionale messicana Hugo Sanchez, che lo ha schierato sulla fascia sinistra del centrocampo. Dopo di allora è stato titolare - andando anche in gol - nel (fallimentare per il Messico) torneo di qualificazione olimpica. La cosa dovrebbe far pensare non poco lo staff tecnico USA, vista anche la cronica mancanza di giocatori di fascia sinistra di livello, con Bob Bradley costretto ancora convocare l'anziano Eddie Lewis, 34enne del Derby County. E meno male che un'altra promessa di origine messicane , il bravo (MLS Rookie of the year 2006) laterale sinistro del Chivas USA Jonathan Bornstein, ha scelto la cittadinanza calcistica americana, anche grazie allo stesso Bradley che è stato suo coach nel 2006 e che lo ha voluto in Nazionale.
In attesa di una chiamata
Un altro giovane talento USA in veloce ascesa è il 20enne texano Jose Francisco Torres, almeno lui notato dai tecnici USA, che però non l'hanno ancora convocato. Ma così rischiano, perché se il ragazzo, che milita nel Pachuca, squadra che negli ultimo anni ha vinto tutto in Messico e a livello internazionale (Concacaf Champions' Cup 2007 e 2008 e Copa Sudamericana nel 2007), continuerà a far vedere belle cose, sono alte le possibilità che a breve possa essere chiamato dal Messico.
Nato e cresciuto a Longview, cittadina da 80.000 abitanti nel Texas orientale, è stato avvistato dagli osservatori messicani durante un torneo a Jacksonville (Florida), finendo a giocare a 16 anni nelle giovanili del Pachuca. L'esordio in prima squadra arriva poco dopo il compimento dei 18 anni, contro il Toluca, nelle semifinali del Torneo Apertura 2006. "Eravamo sotto 1-0, e l'allenatore mi ha gridato: 'Gringo! Sarai nervoso all'inizio, ma entra a mostra quello che sai fare'". Detto fatto: suo infatti il cross per Luis Angel Landin,il cui colpo di testa vale il pareggio.
Nonostante l'ottimo esordio, Torres gioca solo 3 minuti nel Clausura 2007 e due partite nell'Apertura 2007. Le cose iniziano migliorare nel Clausura 2008, con 5 match consecutive e l'esordio in Concacaf Champions Cup, dove l'ottima prova (ha anche colpito una traversa) nel primo match del doppio confronto che ha visto il pachica eliminare il D.C. United, ha attirato l'attenzione di Nowak.
Piccolo di statura, Torres è soprannominato "mosquito", e il suo affermarsi nella miglior squadra del Messico sembra il viatico giusto per un grande futuro con la Nazionale. Ma quale?
Alla domanda se stesse considerando Torres per lo U.S. Olympic team, il CT Nowak ha dichiarato al Washington Post: "Sa che lo stiamo seguendo e che ci interessa. Ma non è un segreto che il ragazzo può scegliere tra Messico USA". Da domandarsi però il perché non sia ancora stato convocato, tanto più che nell'Under 23 vediamo giocatori ancora al college o addirittura senza squadra (come il portiere Dominic Cervi, recentemente in prova al Celtic Glasgow ma ancora senza contratto dopo aver rifiutato le offerte del Chicago Fire).
Il vecchio giaguaro e i giovani virgulti
Un altro "prodotto" americani che gioca in Messico è il veterano di ritorno Daniel Hernandez. Texano, 34 anni, Hernandez ha giocato 6 stagioni nella MLS prima di trasferirsi per il periodo 2003-05 al Necaxa, giocare alter due stagioni con New England per poi tornare nella Liguilla prima al Puebla e poi al Jaguares.Ma il caso di Hernandez è diverso dagli altri, essendo stato ingaggiato quando già era diventato un calciatore professionista in America.E' l'eccezione, quindi, in un quadro che vede i club messicani portarsi in casa giovani talenti nati negli USA per farli crescere nelle proprie giovanili. Bravi i club in questione a sfruttare l'opportunità , ma va detto che ciò avviene anche a causa dell'incapacità di molti tecnici americani di individuare giovani di talento, specie se appartenenti a comunità latinos, costretti quindi ad emigrare a causa della mancanza di opportunità .
E fanno bene, visto che i club messicani presentano settori giovani organizzati all'europea che consentono ai giovani di crescere in un ambiente adeguato ad un giovane calciatore fino ad un eventuale sbarco in prima squadra che vuol dire tanti soldi. Non solo. Mentre anche la MLS presenta le squadre riserve, in Messico queste giocano molte più partite e, sul modello spagnolo, militano all'interno dei regolari campionati dalla seconda divisione in giù. La MLS sta finalmente cercando di rivoltare la situazione, avendo dato il via da due anni ai settori giovanili, novità assoluta nello sport USA dove gli atleti dei vari sport vengono selezionati attraverso il sistema dei college. Ma ci vorranno anni per vedere i frutti degli investimenti di oggi.
I nomi di Orozco, Castillo e Torres sono solo i più noti tra quelli degli americani in Messico, ma sono vari i ragazzi che meritano attenzione,
a cominciare dal 21enne californiano Jesus Padilla del Chivas Guadalajara, che ha già messo insieme presenze in Copa Libertadores, Copa Sudamericana e Superliga. Padilla, cresciuto a San Jose, è stato inquadrato nelle giovanili dei Goats all'età di 14 anni, e solo lo scorso anno è stato approcciato dai tecnici dell'Under 20 USA. Tra l'atro Padilla sta creando notevoli problemi ai Chivas per la sua nascita in California, su cui è in corso una polemica finita su tutti i media nazionali.
Sempre dalla California arriva Sammy Ochoa, 21 anche lui, in campo con la Nazionale USA Under 20 ai Mondiali di categoria del 2005. Ochoa ha debuttato con l'UAG Tecos nel 2006, anno in cui ha messo insieme 12 apparizione, per poi sparite nel 2007 (solo 4 minuti). Nel frattempo però si è messo in luce con le riserve, e per lui è ancora possibile una chiamata per le Olimpiadi.
Carlos Borja, 20 anni, è stato compagno di squadra di Padilla nel Tapatio (le riserve del Chivas) ed è già passato per le giovanili USA (l'Under 17), firmando poi un contratto col Chivas USA, venendo però presto prelevato dai fratelli maggiori del Chivas, dove dallo scorso marzo gioca nelle riserve, dove almeno gicva un calcio abbastanza competitivo, cosa che probabilmente non avrebbe avuto possibilità di fare con le riserve del Chivas USA.
In seconda divisione infine, ma in piena lotta per salire in prima, troviamo Marco Antonio Vidal, 21enne centrocampista titolare degli Indios Ciudad Juarez, con cui ha disputato un ottimo campionato. Prima di sbarcare Juarez, Vidal nel 2006 è stato 4 messi in prova al FC Dallas, ma l'ex coach Colin Clarke non gli ha trovato un posto in squadra. Motivo? L'ex assistente di Clarcke, Oscar Pareja, oggi assistant della Nazionale USA under-17, lo valutava troppo piccolo per il calcio pro. E pensare che a 13 anni il ragazzo era entrato nelle giovanili del Chivas, dov'è rimasto due anni prima di tornare a Dallas per nostalgia e nel 2005 lo cercava anche il Tigres. Ma lui voleva Dallas. Ma grazie a Clarcke e Pareja, un altro bravo giocatore è finito oltre confine.
I casi di cui abbiamo parlato sono sicuramente la punta di un iceberg di cui ancora non sono note le dimensioni. Quanti sono i ragazzi di talento spersi per le enormi periferie di città come Los Angeles, Chicago, Houston o Albuquerque? Di certo ad individuarli contribuirà sicuramente l'attività degli esperti osservatori messicani, aiutati anche dagli investimenti su squadre satellite in corso da parte di molte squadre del sud del confine USA, che cercheranno di rimpolpare le proprie giovanili con giovani di belle speranze per una sorta di migrazione al contrario.
Se da una parte l'impossibilità per molti ragazzi di trovare uno sbocco nel soccer professionistico USA è una cattiva notizia (ma le cose miglioreranno), quella buona è che finalmente anche in America iniziano a sbocciare talenti locali, nell'attesa che un giorno quel grande campione americano che possa dare l'accelerazione definitiva ad uno sport che ha solo bisogno di un eroe, magari figlio d'immigrati, per diventare veramente nazionale. E poi in fondo (fatte le dovute proporzioni), a parte l'Europeo del 1984, che diavolo aveva vinto la Francia senza i ragazzi figli di immigrati che hanno rappresentato la spina dorsale della Francia campione del mondo e d'Europa, oggi stabilmente tra le grandi dopo quasi un secolo d'anonimato calcistico?