Who’s on First?

A quest'arbitro sarà  capitato, qualche volta, di sentirsi chiamare “Jesse”…

Chi gioca in prima? Non te lo sto dicendo te lo sto chiedendo"“.
Se lo andava ripetendo ossessivamente il personaggio interpretato da Dustin Hoffman in "Rain Man", ruolo che valse allo straordinario interprete di altre memorabili pellicole quali "Tootsie" o "il Laureato" un meritatissimo Academy Award, ed a questo tormentone, titolo di una commedia radiofonica del 1939 e portato al successo da Bud Abbott e Lou Costello che lo inclusero nel loro film del '45, “the Naughty Nineties”, l'immortalità  anche alle nostre latitudini.

Per gli interessati, altri componenti della squadra, oltre a Who, in prima base, erano What in seconda, I Don't Care all'interbase, I Don't Know in terza e via discorrendo.

Ci sembra un titolo perfetto per iniziare questa che più una rubrica, vuole essere una sorta di viaggio in quella che è la massiccia terminologia del gioco, una vera e propria "lingua" in continua evoluzione, che attinge, come è ovvio, alla storia del baseball, ma anche al mondo dello spettacolo, dell'arte e come vedremo, a quello della cucina.

Quando sentiamo ad esempio parlare di America's Team, la mente va subito al football e nella fattispecie ai Dallas Cowboys, ma negli ultimi anni, hanno provato a fregiarsi di questo titolo anche gli Atlanta Braves, approfittando della grande esposizione mediatica derivante dal fatto di venir costantemente trasmessi sulla potentissima TNT di Ted Turner. Non sembra però che il tentativo abbia avuto successo e nell'immaginario collettivo, the america's team, rimane la franchigia texana.

Con la offseason che si avvia alla conclusione, ricominceremo a sentir parlare di spring training camp e non è escluso che leggendo gli articoli della stampa specializzata, incontreremo la definizione di "Greyhound Squad", niente altro che la lista di giocatori tagliati i quali, presumibilmente, finiranno per prendere uno dei celeberrimi bus della Greyhound, quelli col levriero per intenderci, per raggiungere la ridente (ma non sempre) località  in cui provare a rilanciarsi nelle agguerritissime minor leagues.

Se è vero che certe sceneggiate nei confronti degli arbitri, le fanno solo i calciatori italiani, è anche vero che probabilmente, almeno in pubblico, nessuno degli artisti della pedata, si riferirebbe agli ufficiali di gara chiamandoli "Jesse James", per via dei furti di cui si renderebbero protagonisti. Quando gli arbitri erano ancora due, i giocatori erano soliti riferirsi ad essi come a Jesse & Frank James, o addirittura ai James Brothers. Un Jesse James single, invece, è una valida concessa quando la palla battuta colpisce uno degli arbitri.

Tutto questo è possibile per via del rapporto che giocatori e officianti stabiliscono nel corso degli anni: scherzare, anche con un pizzico di malizia, è dunque concesso"l'importante è fare attenzione a quella che è definita "ear syphilis", la sifilide dell'orecchio.

Calma"calma! Non è niente che abbia a che fare con particolari gusti o inclinazioni di vario genere, se non la tendenza di un certo arbitro ad ascoltare i commenti dei giocatori e del pubblico e di venirne influenzato a tal punto da condizionare la propria direzione e le proprie chiamate: quale esempio, Larry Gerlach in "The Men in Blue" porta quello di Nicholas "Red" Jones, il quale aveva una predisposizione tale per captare i commenti di chi gli stava intorno, da perdere completamente la concentrazione necessaria al proprio mestiere"licenziato, così riporta Gerlach, dopo sei anni.

Se i fratelli James erano soliti distinguersi per delle bravate non completamente previste dal codice di allora, interpretando a loro modo il già  labile concetto di onestà , è stato un bene che non si siano trovati nei panni di quei pitchers cui il manager suggerisce/ordina "Keep him Honest". Ciò palesa la volontà  del Joe Torre della situazione, di vedere il proprio lanciatore lanciare degli strikes, in base al concetto che se un attaccante deve andare in base, dovrà  farlo per aver colpito la palla e non per aver fatto passare quattro ball.

Ma i fratelli James (sì, questa mi è proprio piaciuta) non sono gli unici parenti che è possibile incontrare sul diamante. Vi sono anche i cugini. "Cousin" infatti è l'appellativo con cui si indica quel pitcher che un particolare battitore trova facilità  nel colpire, il proprio lanciatore preferito per intendersi, tanto da rivolgergli un gentile saluto "Hello Coz" ogni volta che si presenta al piatto.

Più difficilmente utilizzato a parti inverse, tale termine trova origine nel pitcher degli Yankees Waite Hoyt, il quale paragonava certi battitori a membri della propria famiglia.

Ma veniamo ad argomenti di stampo culinario prima che qualcuno perda la pazienza e prorompa nel più classico dei "ma parla come magni!". Come disse una mia professoressa qualche anno fa, "a tal proposito possiamo trovare molti esempi" ehm" fateli voi che a me ne vengono molti"".

Ci proviamo: se a quel signore che se ne sta sul monte di lancio viene attribuita la capacità  di sparare degli "Hard Cheese", significa che è in possesso di una fastball di una certa consistenza, cosa di cui è possibile senza dubbio imputare Nolan Ryan per il quale questo termine è stato spesso utilizzato.

Di questi tempi non è molto in voga, ma dato che il baseball è uno sport estivo niente di meglio che un "Ice-Cream Cone", ovvero una presa al limite del guantone, tale che la palla assomiglia alla porzione di gelato che viene messa sopra il cono.

Niente di meglio? Mmhh" affermazione contestabile" chi può resistere ad una bella birra ghiacciata? Devono averlo pensato anche nel giugno del 1974 a Cleveland, i promotori della "Beer Night", evento promozionale in cui la bionda bevanda veniva distribuita a prezzi di favore.

Gli Indians del '74, appunto, lasciarono che i loro fans bevessero tutta la birra che riuscivano a portare per dieci cents a pinta. Non ci volle molto perché l'arbitro, costretto dai modi visibilmente inurbani di migliaia di persone ubriache mezze, al terzo giro di "osteria numero mille"" decidesse di annullare la partita.

Sempre a proposito di birre, un "Near Beer Pitcher" è definito quel pitcher che sembra avere una particolare predilezione per il ritrovarsi con il conto pieno: il termine fu coniato negli anni '40 dal catcher degli Yankees Aaron Robinson, facendo riferimento ad una birra ottenuta tramite particolare fermentazione, tale da avere solamente il 3.2% di alcool e come tale chiamata anche "3.2 beer".

Spostandoci dall'angolo cottura, su cui torneremo nelle prossime uscite di questa rubrica, possiamo trovare un avvenimento analogo ai fatti di Cleveland, nel 1979, quando una "skull sessions" l'equivalente di un "trust di cervelli" (generalmente le riunioni di managers, trainers e giocatori per decidere la strategia di una partita), decise di istituire niente meno che la "Disco Demolition Night", evento promozionale da svolgersi in occasione del doubleheader dei White Sox al Comiskey Park, contro i Detroit Tigers.

Nelle previsioni, tra le due partite si sarebbe svolto, in mezzo al campo, un falò nel quale sarebbero stati dati alle fiamme, migliaia di dischi; a prescindere dalla necessità  e soprattutto dal cattivo gusto del gesto, quello che i cervelli di cui sopra non avevano tenuto conto era la difficoltà  di gestire le circa seimila persone che si presentarono in campo bevendo birra (forse c'era qualche reduce da Cleveland di cinque anni prima!) e strappando pezzi di campo quali ricordo dell'evento. Questa Woodstock dei poveri si concluse con l'inevitabile cancellazione della seconda partita.

"Hey, Babe Ruth is dead" è una tra le migliaia di frammenti della lingua del gioco che prendono spunto dal "bambino"; questa nella fattispecie, è una frase spesso utilizzata nei confronti di quei lanciatori nei momenti di particolare titubanza: nella sua accezione completa sarebbe "ehi! Babe Ruth è morto, prova a lanciare qualche strike a questo tipo!".

Più facile sarebbe se tutti fossimo in grado lanciare le cosiddette "Radio Balls" delle fastballs talmente veloci da poter essere sentite ma non viste, definizione che risale almeno agli anni '50, quando venne utilizzata da George Metkovich a proposito dei lanci di Max Surkont.

Aiuta però anche trovarsi di fronte ad un battitore che sta passando un particolare momento di difficoltà  con la mazza: in questo caso sarà  facile sentire tra i tifosi, qualcuno che inizi una frase dicendo "couldn't hit "" ovvero "non colpirebbe"", tipico modo paradossale di commentare gli eventi, che risulta molto appropriato in campo sportivo: per chi non ha dimenticato l'ex allenatore della Lazio, Zdenek Zeman che rispondendo a una domanda sul motivo per il quale non metteva in campo il calciatore Esposito, rispose che questi era in un periodo in cui si scartava da solo, proviamo a citare Tommy Lasorda il quale in una trasmissione televisiva, disse a proposito di Willie Miranda, che "non colpirebbe l'acqua cadendo da una barca".

Una variante molto apprezzata è quella di "non colpirebbe un toro nel culo con un badile"" da usare però con parsimonia ed in particolari contesti ridanciani.

Per finire, visto che abbiamo citato Zeman e che spesso riteniamo particolari alcuni incidenti con la lingua italiana da parte di allenatori quali Boskov o Giovanni Trapattoni, sembra giusto citare il grande Yogi Berra, uno che nel baseball si è distinto abbastanza, giocatore e manager, oltre che indimenticato autore di simili perle: parlando di un ristorante, affermò che "nessuno ci va più, è troppo affollato", mentre a chi gli chiedeva in quante parti voleva tagliata la pizza, rispose "meglio quattro, non ce la farei a mangiarne otto".

Sulla scia di "sono perfettamente d'accordo a metà  col mister" è da collocarsi il suo "il novanta percento di questo gioco è per metà  mentale" mentre riguardo un proprio giocatore che voleva il permesso di rubare una base, disse "può correre quando vuole, da me ha il semaforo rosso"". Rimasto immortale il suo "it's not over until is over" (anche it ain't over 'til it's over), ma agli Yogismi, ci sentiamo di preferire un Ozarkismo, dal nome di un altro personaggio che era solito segnalarsi per un rapporto alquanto conflittuale con la lingua ed anche come vedremo con la cultura, il manager dei Phillies Danny Ozark, destinato ad imperitura ammirazione soprattutto per il suo "anche Napoleone ha avuto il suo Watergate"". Uno di noi.

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