Gary Carter esulta dopo l'ultimo out nelle World Series del 1986
La settimana scorsa si sono svolti i ballottaggi per eleggere i nuovi membri della Baseball Hall of Fame di Cooperstown, NY: la famosa galleria, che celebra i più grandi interpreti del gioco, fu aperta ufficialmente nel 1939 nella città dello stato di New York tradizionalmente legata alla nascita del baseball; i primi giocatori eletti (e considerati soci fondatori) nella Hall of Fame furono Babe Ruth, Honus Wagner, Christy Mathewson, Ty Cobb e Walter Johnson.
Ci sono due sistemi per entrare nello storico museo:
1. Essere inseriti nel ballottaggio e ricevere il 75% dei voti dai Members of the Baseball Writers' Association of America.
Per partecipare alle votazioni sono richiesti:
Essersi ritirati da almeno 5 anni.
Avere disputato almeno 10 stagioni nelle majors.
Il periodo di 5 anni può essere ridotto a sei mesi in caso di morte o di malattia grave del giocatore; questa norma è stata applicata 4 volte: nel 1939 per Lou Gehrig, nel 1973 per Roberto Clemente (morto in un incidente aereo durante una spedizione umanitaria), nel 1979 per Thurman Munson (catcher dei New York Yankees, morto durante un'esercitazione sul proprio velivolo) e quest'anno per Darryl Kile; Gehrig e Clemente hanno poi ricevuto i voti necessari all'elezione a differenza di Munson e Kile.
Inoltre gli allenatori, arbitri e dirigenti vengono inseriti direttamente nel ballottaggio se hanno compiuto il 65esimo anno d'età .
2. Essere votati dal Committee on Baseball Veterans, che prende in considerazione i giocatori ancora non eletti e ritirati da più di 23 anni.
Quest'anno la lista degli Hall of Famers è composta solamente da due giocatori: Eddie Murray e Gary Carter; andiamo a conoscere più da vicino questi fuoriclasse che, il prossimo luglio, entreranno ufficialmente nel museo di Cooperstown.
Eddie Murray nasce a Los Angeles il 24 febbraio 1956 e fin da giovane mostra il suo grande talento sportivo, praticando sia il basket, sia il baseball; nel 1973 viene scelto dai Baltimore Orioles con cui debutta ufficialmente nel 1977, dopo essere maturato nelle minors.
Sebbene sia una matricola, guadagna subito la stima degli allenatori che lo premiano, assicurandogli un posto fisso come prima base o battitore designato: Murray ripaga la fiducia, battendo 27 HR, 88 RBI con una media di .283; il riconoscimento come rookie dell'anno è praticamente scontato.
A partire dal 1978 Murray diventa uno dei protagonisti più importanti degli Orioles e viene invitato per la prima volta all'All-Star Game; all'inizio degli anni '80 Murray è sicuramente tra i primi cinque giocatori delle intere Majors, arrivando per ben due volte secondo nella classifica del Most Valuable Player.
La seconda metà degli anni '80 sarà complessa anche a causa dagli scarsi risultati della squadra: dopo il titolo del 1983, gli Orioles entreranno in una forte crisi, tanto che nel 1988 compileranno un bilancio di 57 vittorie e 107 sconfitte.
Dopo numerose polemiche sia con la stampa, sia con i tifosi, Murray viene scambiato con i Los Angeles Dodgers, con cui purtroppo non avrà molta fortuna; dopo tre anni, infatti, firmerà un contratto con i New York Mets; le due stagioni nella Grande Mela saranno buone, nonostante il mediocre livello della squadra.
Nel 1994 Murray ritorna nell'American League con i Cleveland Indians che trovano in lui il pezzo mancante per la lotta al pennant: nel 1995 Cleveland si qualifica per le World Series, perse purtroppo contro Atlanta; ciononostante, il 30 giugno di quell'anno, Murray entra nel prestigioso club delle 3000 valide.
Il 21 giugno 1996, Murray rientra a Baltimore, sette anni dopo il controverso divorzio: Murray ricucirà lo strappo con i tifosi e il 7 settembre batterà il suo 500esimo fuoricampo; soltanto Hank Aaron e Willie Mays sono riusciti a collezionare 3000 valide e 500 HR.
Nel 1997, dopo una breve parentesi con gli Angels e con i Dodgers (che ad ogni modo lo utilizzano solamente nelle minors), Murray annuncia il suo ritiro al termine di 21 stagioni di Major League Baseball; le sue statistiche finali presentano numeri di altissimo livello:
3026 partite (quinto assoluto assieme a Stan Musial)
11336 turni alla battuta (sesto assoluto)
.287 di media
3255 valide
1917 RBI (nono assoluto)
504 HR
19 Grand Slams (secondo assoluto dietro Lou Gehrig - 23)
Il punto di forza di Eddie Murray (che tra l'altro batteva sia come destro sia come mancino) fu la costanza e la stabilità delle proprie performance: Murray è l'unico giocatore nella storia del Major League Baseball con 75 RBI in 20 stagioni consecutive; non vanno dimenticate le dodici annate con 90 punti battuti a casa.
Forse Murray non fu un giocatore spettacolare e tra l'altro è l'unico membro del club dei 500 HR senza una stagione da 40 fuoricampo; il suo massimo, infatti, è stato 33 (curiosamente come il suo numero di maglia, ritirato dagli Orioles), ottenuto nel 1983.
Murray sapeva distinguersi anche in difesa e, infatti, ricevette per 3 volte il Gold Glove come miglior prima base della American League.
Gary Carter, invece, nasce a Culver City, California l'8 aprile 1954: la sua carriera sportiva inizia principalmente come giocatore di football, tanto che la UCLA lo seleziona come quarterback; Carter, invece, preferisce il baseball e nel 1972 viene scelto dai Montreal Expos.
Dopo un paio di stagioni nelle minors, Carter è pronto a debuttare nelle majors nel 1974, quando gli Expos gli fanno disputare una decina di partite; l'anno dopo Carter entra a tutti gli effetti in squadra, utilizzato sia come ricevitore, sia come esterno.
A partire dal 1977, Carter diventa stabilmente catcher, trasformandosi in uno dei leader della squadra: gli Expos, a cavallo degli anni '70 e '80, saranno una delle formazioni più forti delle intere majors e addirittura nel 1981 arriveranno ad una sola partita dalle World Series.
Carter si distingue subito per le sue eccellenti prestazioni sia in attacco sia in difesa: dal 1977 al 1984 sarà costantemente sopra i 16 HR (37 nel 1983) e in quattro stagioni riuscirà a superare il muro dei 100 RBI (106 nel 1984).
In difesa, poi, è una sicurezza: è un ricevitore fantastico e sa tirare molto bene; rubare una base a Gary Carter è una vera impresa. Innate doti carismatiche, lo trasformano immediatamente in un leader da seguire e imitare.
Nel 1985 Carter viene ceduto ai New York Mets con cui finalmente può festeggiare il titolo mondiale nel 1986, al termine delle World Series più assurde e incredibili di sempre: in gara 4 realizza due HR decisivi, mentre nella celeberrima gara 6, Gary Carter mette a segno il singolo che apre la strada alla famosa rimonta di New York contro Boston (poi penalizzata dal famigerato errore di Bill Buckner).
In tutte le serie di playoff (anche in quelle disputate con la maglia degli Expos), Carter otterrà sempre dei numeri eccellenti: nei playoff del 1981, ad esempio, compilerà una media di .438, battendo valido in ognuna delle 10 gare giocate.
Nel 1988 il suo rendimento inizia a calare, tanto che due stagioni più tardi viene ceduto ai San Francisco Giants; dopo un campionato con i Dodgers, rientra a Montreal dove si ritira nel 1992: per onorare il loro beniamino, la dirigenza degli Expos ritira la maglia numero 8.
Le sue statistiche finali presentano 324 HR (298 da catcher, quarto assoluto) e 1225 RBI, quattro stagioni da oltre 100 RBI, nove da oltre 20 HR; inoltre Carter ricevette tre Gold Gloves come miglior catcher difensivo della NL e 2 riconoscimenti come MVP dell'All-Star Game (partita che giocò 11 volte).
Nel 1978 stabilì un record probabilmente imbattibile con una sola passed ball (palla lanciata lasciata passare) in una stagione da 150 partite giocate: Carter, inoltre, detiene il primato della NL per gare disputate come catcher (2056).
Resta ancora inspiegabile come sia stato possibile che Carter abbia dovuto attendere tanto prima di essere eletto nella Hall of Fame.
Intanto a febbraio si dovrebbe riunire un comitato per discutere il caso di Pete Rose, il famosissimo giocatore dei Cincinnati Reds (ma anche dei Phillies e degli Expos) detentore del record assoluto del Major League Baseball per quanto riguarda le battute valide in carriera (4256; unico assieme a Ty Cobb sopra 4000).
Nel 1989 Rose, mentre era alla guida tecnica dei Reds, fu coinvolto in uno scandalo di scommesse clandestine e fu squalificato a vita dal commissioner Bart Giamatti; questa decisione gli precluse l'ingresso nella Hall of Fame.
Molti appassionati vorrebbero che il Baseball perdonasse Rose, ma probabilmente si dovrà ancora aspettare diverso tempo.