1983 – Il Team America

Team America, A Capital Idea

Quando Howard Samuels divenne presidente della North American Soccer League nel 1982, la situazione che gli si presentò era quella di una lega sull'orlo del collasso. Le principali ragioni del crack che si sarebbe poi verificato nel 1984 furono la revoca del contratto televisivo – per via di pressioni effettuate da parte di altre leghe sportive quali la NFL in testa -, fondamentale per l'esistenza della lega, il fallimento di franchigie storiche schiacciate dal peso dei debiti (e dei mancati rientri economici) quali i Dallas Tornado - l'unica franchigia ad essere presente sin dal 1967, fallita nel 1981 assieme a Los Angeles Aztecs, Minnesota Kicks, Washington Diplomats, Calgary Boomers e California Surf -, la guerra dei salari con la crescente lega indoor MISL e la tardiva graduale limitazioni di giocatori stranieri.

In questo panorama di sfacelo e dopo l'ulteriore fallimento di Jacksonville Tea Men, Edmonton Drillers e Portland Timbers nel 1982, Samuel cercò di raddrizzare la china della morente NASL con un'idea che in vista delle Olimpiadi di Los Angeles del 1984 e le qualificazioni alla Coppa del Mondo 1986, avrebbe dovuto aiutare la nazionale statunitense a qualificarsi e ben figurare in queste importanti competizioni alle porte, con in più l'occasione di sviluppare l'allora esiguo vivaio USA, facendo sì che la lega puntasse in un prossimo futuro su talenti nazionali invece che su stranieri venuti da Europa e Sud America per finire la carriera a suon di dollari, con una conseguente riduzione di costi che forse avrebbe potuto essere di grande aiuto alla sopravvivenza della NASL, ma questa è un'altra storia. Partendo dal presupposto che i giocatori della nazionale USA non avevano molte occasioni di giocare assieme e che salvo rare eccezioni non avevano nemmeno tanto spazio nei rispettivi club, considerato che molti di loro non erano che panchinari con poche occasioni di spuntarla in quelle squadre di stelle straniere che popolavano il soccer di quegli anni.

L'idea fu quella di trattare la Nazionale USA come un club che avrebbe giocato nella NASL, con l'intenzione sia di incentivare l'impiego in campo di giocatori made in USA, sia di prepararsi alle competizioni Olimpiche e Mondiali, e ultimo ma non ultimo, salvare la lega dall'ecatombe. La squadra si sarebbe chiamata Team America ed avrebbe giocato all'RFK Stadium di Washington, perché il club - rappresentando la nazionale – doveva per forza giocare nella capitale, oltre a colmare il posto vuoto lasciato dal fallimento dei Diplomats di pochi anni prima. Il nome era stato preso da quel Team America che nel 1976 aveva affrontato nel torneo USA Bicentennial Cup Tournament Brasile, Italia ed Inghilterra (pur trattandosi in quel caso di una selezione mista di giocatori americani e star della NASL, tra le quali Pelé, Giorgio Chinaglia e Bobby Moore, tanto per fare qualche nome).

D'accordo con la USSF, Samuel nominò presidente della squadra Robert Lifton , assieme al quale cominciò le convocazioni per le selezioni del team invitando giocatori di NASL, ASL e MISL a parteciparvi nel gennaio del 1983: già  dagli esordi però si preagì l'effimero e triste futuro di questo ambizioso progetto. Ben pochi giocatori risposero alla chiamata, con disappunto ed amarezza di Samuel, Lifton e la USSF, con la dura realtà  di quanto fosse ai tempi risicato il parco giocatori americano. Giocatori come Winston Du Bose, Dave Brcic, Jim Mc Allister, Julie Vee, e Rick Davis (il primo grande calciatore americano di livello internazionale) rifiutarono di partecipare al progetto in quanto erano già  vedettes nelle loro rispettive squadre e perché la paga annuale di 50.000 dollari offerta dalla USSF era molto al di sotto di quanto guadagnassero nei propri team della NASL, che peraltro mai e poi mai si sarebbero privati dei propri gioielli.

I pochi che risposero positivamente alla chiamata furono i coraggiosi Mark Peterson, Arnie Mausser, Perry Van Der Beck, e i due naturalizzati Boris Bandov ed Hernan "Chico" Borja. Da ricordare anche Pedro De Brito, Ringo Cantillo, Alan Green e Alan Merrick. Il resto della squadra fu composto da giocatori semisconosciuti quando non addirittura del tutto sconosciuti al pubblico, la maggior parte dei quali non vale la pena di ricordare. Come allenatore venne scelto il greco Alketas Panagoulias, che sarebbe stato anche il coach della nazionale sia durante gli imminenti giochi olimpici di Los Angeles, sia durante le qualificazioni ai mondiali Messico '86, con una stringa di 6 vittorie, 5 sconfitte e 7 pareggi, con conseguente mancata qualificazione alla fase finale del torneo. Panagoulias non fu più fortunato alla guida del Team America. La squadra da lui allenata finì infatti sul fondo della classifica della Southern Division, fallendo clamorosamente il traguardo dei play-off, e cosa ancora peggiore, ridicolizzò i giocatori statunitensi facendo così abortire sul nascere il progetto di espansione del vivaio USA, con uno scarno ruolino di marcia composto da 10 vittorie e 20 sconfitte. Non c'era da stupirsi che la Nazionale USA abbia poi un'altra volta fallito la qualificazione alla Coppa del Mondo, competizione dalla quale mancava dal 1950: semplicemente non ne era all'altezza.

Nonostante il pessimo andamento della squadra, la media spettatori si attestò a 12.894 spettatori, più dei Tulsa Roughnecks vincitori della Conference, una media rispettabile ma non abbastanza alta da generare utili, ma dopo un solo anno il Team America venne ritirato dalla lega ed il progetto repentinamente abbandonato.

Una delle ragioni del fallimento fu anche l'incapacità  della USSF sia per motivi di faide interne, sia per scarsa conoscenza del marketing da parte dei propri dirigenti – essendo prevalentemente una federazione di amatori e non di professionisti- di portare a termine contratti di sponsorizzazioni e TV, che probabilmente oltre che a poter creare maggiore seguito attorno al Team America e di conseguenza attorno alla lega, avrebbe potuto far lievitare i salari di modo da attrarre a se quelle poche star americane della NASL, che invece avevano scelto di restare con i rispettivi club. Forse la riuscita del progetto avrebbe potuto aiutare la NASL a sopravvivere ma tutto si era messo in modo che la lega dovesse per forza fallire, ultimo ma non ultimo il decesso causa infarto di Howard Samuel nel 1984. Si può dire che ogni concreta speranza di tenere viva la lega sia morta con lui.

Una sorta di appendice del progetto si estese anche in Canada. Alla metà  del 1983, il proprietario dei Montreal Manics annunciò pubblicamente che nel 1984 la franchigia sarebbe diventata Team Canada, emulando così lo statunitense Team America. Purtroppo ancora una volta l'ignoranza dei dirigenti sportivi di allora dimenticò che Montreal era la meno canadese di tutte le città  ed è la capitale del Québec, stato francofono e con tendenze indipendentiste. In un baleno, i 25.000 tifosi dei Manic scomparvero, facendo sì che al termine della stagione 1983 la franchigia di Montreal fallì facendo così perdere alla già  notevolmente ridotta NASL due franchigie in un colpo solo, e spingendola verso la scomparsa, che sarebbe arrivata solo un anno dopo.

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