Werner Roth, capitano dei New York Cosmos, con cui ha giocato dal 1972 al 1979
Lui, come i suoi ex compagni, si definisce triste. La sua squadra infatti non esiste più. Per lui e gli altri non è più possibile andare in tribuna a godersi una bella partita della loro squadra preferita, magari ricordando i vecchi tempi. Non può più ammirare i New York Cosmos giocare perché i Cosmos non esistono più, se non nei ricordi dei tifosi e degli appassionati del calcio di una volta.
“È come tornare nella tua città natale e vedere che la tua vecchia casa è stata abbattuta“. Così cerca di far capire cosa si prova Werner Roth parlando della NASL di ieri e della MLS in un’intervista telefonica a pochi giorni dalla reunion dei vecchi Cosmos nel ristorante Scaletta dell’ex compagno di squadra Feddy Grgurev (a proposito, per chi è a NY, Scaletta Restaurant. 50 W. 77th St. New York, NY 10024, tel. 212-769-9191).
Werner Roth non è però un qualunque ex giocatore dei meravigliosi Cosmos. Nato da genitori tedeschi in nel 1948, nell’allora Jugoslavia, cresciuto a Brooklyn, New York, dove si è anche laureato in architettura al Pratt Institute e dove l’anno scorso ha sposato l’attrice di soap opera Robin Mattson, Werner Roth è stato la spina dorsale della difesa dei Cosmos, nella North American Soccer League, dal 1972 al 1979, quando dovette ritirarsi per un infortunio al ginocchio. I Cosmos, che all’epoca giocavano nel decrepito Randall Stadium di Long Island davanti a meno di 5.000 spettatori a partita, lo pescarono nella semipro German American League nel 1972, e lui quell’anno diede un importante contributo alla vittoria del primo titolo di NY, in cambio di un ingaggio di $75 a partita. Elegante ed energico difensore centrale, molto forte di testa, nel 1975 il New York Times definì Roth il “Pelé of Cosmos’ Defense“, Cosmos coi quali in 8 stagioni mise insieme tre titoli NASL e un totale di 142 presenze e 2 gol che lo hanno portato nella Hall of Fame del soccer USA. 16 invece le partite giocate con la maglia della Nazionale americana.
Ma i Cosmos non ci sono più, ne è rimasto solo il ricordo. Almeno i vecchi fan di Brooklyn Dodgers e New York Giants possono attaccarsi a ciò che ne rimane nelle attuali compagini in California. Ma i Cosmos sono rimasti senza casa, anche perché il marchio appartiene a Peppe Pinton, ex agente di Chinaglia e ultimo amministratore del team alla chiusura nel 1985, che per rilasciarlo vuole almeno $2 milioni. Troppo per la MLS.
“Non poter tifare per la propria squadra è deprimente“, continua Roth, fondatore e a capo di Super Soccer Stars, scuola calcio per bambini in età prescolare nell’area di New York. Certo, negli anni passati spesso è andato a vedere giocare i MetroStars nello stadio che lo ha visto trionfare più volte davanti ad oltre 70.000 persone, il Giants Stadium, dove però difficilmente oggi se ne vedono più di 20.000. Pochi mesi fa sembrava anche sull’orlo di essere di nuovo coinvolto nel calcio newyorkese, quando Franz Beckenbauer, vecchio compagno di squadra, ed amico del patron della Red Bull Dieter Mateschitz, lo ha chiamato per coinvolgerlo nella nuova avventura. Ma purtroppo, un po’ la Red Bull, un po’ Don Garber, hanno deciso poi di tenere ai margini i vecchi Cosmos. Forse hanno avuto paura che agli occhi dei tifosi il confronto Cosmos-Red Bulls potesse schiacciare il team neonato (seppur sulle ceneri dei MetroStars).
Ma per i fans di tutto il mondo i Cosmos, la squadra di Pelé, di Franz Beckenbauer, di Giorgio Chinaglia, di Carlos Alberto, di tifosi come Henry Kissinger e Mick Jagger e dei 70.000 del Giants, esisterà sempre. Il mondo ricorda, e così la Major League Soccer, che si avvia verso il suo dodicesimo anno di operazioni. MLS che tra i suoi obiettivi ha proprio quello di riportare il grande pubblico negli stadi del calcio, seppur questi saranno ben più piccoli, ma almeno saranno pieni e solo per il calcio, come il costruendo Red Bull Park.
In questo confronto passato/presente, abbiamo colto l’occasione per porre alcune domande a Roth sui Cosmos, la NASL e l’attuale situazione del soccer USA.
Werner, sei stato con i Cosmos fin dagli inizi. Come iniziò tutto?
Fu il coach degli appena fondati Cosmos, l’inglese Gordon Bradley, a chiamarmi. Giocavo nella German-American League, la migliore lega semipro degli USA, con il German-Hungarian Soccer Club. Tra i miei avversari c’era proprio Bradley, che era allenatore/giocatore dei NY Hota, che mi aveva apprezzato e mi voleva con lui. Con me furono presi anche altri compagni, tra i quali Jorge Siega, primo acquisto in assoluto dei Cosmos.
Vi aspettavate che i New York Cosmos del 1971 sarebbero potuti pochi anni dopo diventare una delle squadre più famose al mondo?
Parti con l’immaginare che venivamo pagati $75 a partita e che avevamo tutti il doppio lavoro. Ad esempio Randy Horton [il centravanti MVP NASL nel 1972, ndr] lavorava in un cinema. Il potenziale a NY c’era, ma all’epoca quello che sarebbe successo dopo era inimmaginabile. Fu ovviamente l’arrivo di Pelé a cambiare tutto. Dovunque andavamo trovavamo gli stadi pieni, gli ingaggi salivano, gente come Mick Jagger e Henry kissinger non mancava mai alle nostre partite, allo Studio 54 bastava dire di essere dei Cosmos e si aveva il tappeto rosso”.
Hai chiuso la tua carriera a soli 31 anni, nel 1979, come mai?
Mi feci male al ginocchio nella preseason, e non riuscii più a recuperare. Chiusi giocando una sola partita nel 1979.
Come ti sembra cambiato il soccer USA da allora?
Sicuramente è migliorato, come si può vedere dai risultati della Nazionale. All’epoca di giovani calciatori americani di livello alto ce n’erano molto pochi.
E la MLS rispetto alla NASL?
La MLS è sicuramente basata su un ottimo modello di business, quello che probabilmente è mancato alla NASL. Ma è vero anche che il prodotto, in termini di qualità , deve essere migliorato. Uno dei problemi sta nella non eccessiva competizione. Il numero ancora insufficiente di giocatori americani, il fatto che questi non sentano ancora la pressione dal basso da parte dei giovani, il sentire il posto in squadra in pericolo, non aiuta. Non c’è abbastanza pressione sui giocatori. Non dico che dovrebbe essere come in Europa, ma la pressione aiuta i calciatori a crescere, a prendere più sul serio questo gioco.
Ad esempio?
Guarda i ragazzi che sono andati a giocare in Inghilterra, quanti miglioramenti hanno avuto. L’esempio Brian McBride mi sembra calzante. Quando giocava a Columbus era un buon giocatore dalle ottime potenzialità fisiche. I sei anni d’Inghilterra, dopo un beve periodo di assestamento, è diventato un attaccante completo, ancora oggi competitivo in Premier League all’età di 34 anni.
Ma nella mancanza di pressione sui giocatori USA, non c’è una responsabilità anche dei coach?
Il panorama tecnico degli allenatori della MLS presenta limiti notevoli. Questi non chiedono abbastanza a giocatori che, sono sicuro, possono dare molto di più, come dimostrano quando vanno all’estero. Sicuramente quello dei coach è un problema che la MLS dovrà risolvere prima possibile.
Che ne pensi dei nuovi New York Red Bulls?
Ti confesso che non li seguo molto, e sarebbe quindi ingiusto esprimere giudizi. Devo dire che mi piace molto l’idea di un investitore straniero che crede nel soccer USA. L’arrivo di imprenditori europei come Mateschitz, gente che conosce il calcio europeo, non può che aiutare il nostro calcio a crescere. Certo non sarà facile, il pubblico di NY è molto sofisticato.
Werner Roth, oltre che per i suoi successi con i Cosmos, è noto anche per esser stato il capitano del team nazista in “Fuga per la vittoria“, il film di John Houston del 1981 che vide “scendere in campo” per il match finale gente come Pelé, John Wark (ex Liverpool e Ipswich), il belga Paul Van Himst, e il capitano dell’Inghilterra Mondiale del 1966, Bobby Moore, anche lui nella NASL con San Antonio Thunder e Seattle Sounders. È Roth che si fa parare il rigore della vittoria dei tedeschi da Sylvester Stallone all’ultimo minuto.
Werner, come sei finito in quel film?
Era il 1980. Mi trovavo a New York con Pelé per una cena di fund raising. Mi disse che l’estate successiva sarebbe andato in Ungheria per girare un film. Mi chiese quindi di parlare col produttore, a Los Angeles. Il mio ruolo sarebbe dovuto essere quello di un francese, e avrei dovuto giocare con la squadra degli Alleati. Ma quando, una vota a Budapest, John Houston scoprì che parlavo tedesco, mi misero a guidare la squadra tedesca. Pensa che per fare la scena del rigore, con Stallone pieno di escoriazioni a causa della partita, la dovemmo girare 16 volte.
Una volta smesso con il calcio che cosa hai fatto?
Prima ho lanciato una linea sportiva “Werner Roth”, mentre da un po’ sono impegnato con Super Soccer Stars, una scuola che utilizza il calcio come metodo educativo per avviare alla scuola bambini di 2/3 anni. Fino ad oggi abbiamo formato oltre 4.000 bambini in 60 locations differenti.
E i tuoi vecchi compagni li vedi più?
Siamo rimasti una quindicina a vivere nell’area di New York, e ci riuniamo una volta l’anno. La prossima è il 9 dicembre. Sei il benvenuto.
Grazie Werner, capitano mio capitano.