Johnny Pesky, passato alla storia per un errore difensivo…
Red Sox e Cardinals si contenderanno per la terza volta il titolo di campioni del mondo. Nei due precedenti andò a finire sempre a gara-7 e, da tifoso del baseball, mi auguro che ciò accada ancora.
Il 1946 fu un anno molto carico dal punto di vista emozionale: l'Asse era stato sconfitto e campioni e tifosi tornavano dal fronte con il desiderio di ricominciare la vita normale.
Se Saint Louis era stata dominante anche negli anni del conflitto, Boston salutava a stagione in corso i rientranti Ted Williams, Pesky e DiMaggio (Dom), la cui mancanza si era fatta sentire parecchio.
La squadra del New England non partecipava alle World Series dal 1918, quando ancora tra le proprie fila annoverava Babe Ruth.
I Redbirds avevano invece rappresentato la National League in tre delle ultime quattro classiche d'ottobre.
Si cominciò allo Sportsman's Park di Saint Louis, dove i padroni di casa si erano dovuti guadagnare il biglietto per le finali spareggiando contro i Brooklyn Dodgers.
Gara 1 vide trionfare in dieci riprese Boston, grazie ad un fuoricampo di Rudy York; nella seconda partita Harry “The Cat” Brecheen, 15 vinte e 15 perse in stagione regolare, mise a segno uno shutout, riportando la situazione in parità .
Lo spettacolo si spostò ad est per due incontri (il terzo ed il quarto) completamente antitetici: prima i Cardinals non decifrarono Dave Ferriss (4 a 0 Sox), poi inscenarono un festival di battute valide (12 a 3 il risultato) con 4 hits a testa per Slaughter, Kurowski e Garagiola.
Quando la serie tornò nel Missouri, i Red Sox necessitavano di una sola vittoria, essendosi imposti 6 a 3 in gara 5. Il compito di impattare la serie era di nuovo nelle mani di Brecheen, e The Cat fermò ancora le mazze avvesrarie (4 a 1 il finale).
Nell'incontro decisivo Murry Dickson, partente di Saint Louis, veleggiò per sette riprese, concedendo una sola valida e portando addiritura a casa il punto del vantaggio con un doppio. Ma i Sox, sotto 3 a 1 all'ottavo, non erano morti, sebbene presentassero nel box la parte bassa del line-up. I due pinch-hitters utilizzati da manager Joe Cronin fecero il loro dovere e, con i punti per pareggiare in seconda e terza, le decisioni importanti doveva ora prenderle lo stratega dei Cards.
Eddie Dyer chiamò dal bullpen The Cat, “fresco” della partita lanciata la sera prima. Brecheen non fu capace di evitare il pareggio di Boston (doppio contro il muro di DiMaggio), ma lasciò il fratello del grande Joe in seconda, eliminando lo scomodissimo Ted Williams.
A fine ottavo avvenne l'azione che passò alla storia come “Slaughter's mad dash” o, secondo i punti di vista, “When Pesky held the ball”.
Con due fuori, la battuta di Harry Walker avrebbe dovuto spingere Slaughter dalla prima alla terza, ma Enos, incurante del proprio suggeritore che faceva ampi segni di fermarsi, proseguì la sua corsa verso casa base. L'interbase Pesky, effettuato il taglio sull'assistenza di Culberson, esitò a rilanciare verso il proprio ricevitore, consentendo il decisivo sorpasso a St. Louis.
“Sono io il colpevole. Non mi sarei mai aspettato che potesse tentare di segnare. Non ho potuto sentire gli altri che mi urlavano tra il frastuono della folla. So che avrei potuto eliminarlo se avessi sospettato che lui sarebbe andato. Sono il colpevole, non c'è alcun dubbio”.
Le parole sono ovviamente quelle di Johnny Pesky, il capro espiatorio.
Tra le delusioni anche i due giocatori più attesi per la serie, ovvero le leggende Ted Williams da una parte e Stan Musial dall'altra.
L'eroe fu invece Brecheen, MVP della serie, che entrò nella cerchia ristretta dei lanciatori vincenti in tre incontri di una World Series.
La possibilità di rivincita per Boston arrivò nel 1967. Questa volta per i Cardinals non ci fu bisogno di alcuno spareggio, dato che la formazione guidata da Schoendienst si aggiudicò il Pennant con dieci partite e mezzo di vantaggio sui più diretti inseguitori. Furono i Sox invece a doversi guadagnare la post-season in un settembre infuocato: con loro furono in lotta fino all'ultimo Detroit, Minnesota e Chicago.
Gara 1 fu un autentico duello tra lanciatori, con Bob Gibson che prevalse per 2 a 1 su Jose Santiago, pur concedendo un fuoricampo proprio al collega. Un paio di rimbalzanti in campo interno di Maris furono sufficienti al rapidissimo Lou Brock per segnare i punti della vittoria.
Jim Lonborg dominò gara 2 per Boston, concedendo una sola valida all'ottavo e dormendo sonni tranquilli sul cuscino offertogli dai due homers di Yastrzemski (fresca tripla corona dell'American League).
Le prime due partite nel Missouri videro altrettante vittorie per i padroni di casa, con Gibson ancora sugli scudi in gara 4. Con un piede nella fossa, i Red Sox risorsero grazie a Lonborg in gara 5 (shutout mancato per il solo homer di Maris al nono con due outs) e ai fuoricampo di Yastrzemski, Smith e Petroccelli, tutti nel quarto inning di gara 6.
Il match decisivo si preannunciava stellare. A calcare il monte erano Bob Gibson, vincente in gara 1 e 4 e con tre giorni di riposo, e Jim Lonborg, eroe nelle sfide numero 2 e 5 e con soli due giorni dall'ultima uscita: entrambi avevano concesso 4 valide in 18 innings!
Il carico di lavoro dell'asso dei Red Sox venne fuori alla distanza, mentre Gibson si permise di suggellare il proprio capolavoro spedendo un'offerta del collega tra gli spalti del Fenway.
Ancora una volta Boston si era arresa a Saint Louis in sette incontri;
ancora una volta un lanciatore dei Cardinals era risultato vincente in tre incontri, impresa ad oggi riuscita solo sette volte nell'ultracentenaria storia del baseball.
Da sabato notte tutto quanto avete finora letto andrà nel dimenticatoio. Boston e Saint Louis avranno a disposizione una pagina completamente vergine del libro del grande baseball.