I vecchi leoni della MLS

Il portiere dei Kansas City Wizards, ed ex nazionale USA, Tony Meola

Fino a poco più di un decennio fa, il soccer negli Stati Uniti era visto dai paesi più calcisticamente progrediti come una realtà  abbastanza insignificante che, schiacciata da altre discipline più "americane" come basket, football e baseball, poteva al massimo vivere dei ricordi della NASL di Pelè e Chinaglia o delle partite dei college. Privi di un campionato nazionale professionistico, con una federazione che doveva provvedere in prima persona all'allenamento e al sostentamento della maggior parte dei membri della nazionale, in pochi avrebbero mai scommesso su un decollo di questo sport dall'altra parte dell'oceano.

E invece, a ritmo lento ma costante, il calcio e i suoi interpreti a stelle e striscie sono riusciti a costruire una MLS più che degna del proprio nome, capace di esportare in Europa elementi come Tim Howard (l'uomo che ha preso il posto di Fabian Barthez tra i pali del Manchester United), Kasey Keller (Tottenham e Leicester, oltre al Rayo Vallecano) e Claudio Reyna (Manchester City, ma anche Rangers Glasgow, Sunderland e Wolfsburg) o di lanciare internazionalmente l'enfant prodige Freddy Adu.

Proprio la Major League Soccer ospita nei propri roster alcuni degli atleti che maggiormente hanno contribuito all'affermazione di questa lega e del calcio in America attraverso gli anni, costruendo la base per i successi della generazione odierna: uno di loro è sicuramente Cobi Jones.

Centrocampista offensivo di taglia abbastanza ridotta (1.70 per 66 chili), si schiera abitualmente sulla fascia destra, tuttavia ha dimostrato di poter essere impiegato senza problemi sia sul lato opposto che al centro; pur non essendo un trequartista, è il principale assist-man dei Galaxy, anche se con l'arrivo del nazionale austriaco Herzog probabilmente le sue cifre in tal senso diminuiranno; il passare del tempo si è portato via un po' della velocità  che da sempre lo contraddistingueva (anche se di 34enni che corrono e scattano così non ce ne sono molti!), mentre il contributo in fatto di gol è sceso a due sole realizzazioni nella passata regular season, minimo storico per il capitano della formazione losangelina in cui gioca dalla fondazione della squadra e della MLS stessa (1996).

Ma le doti che non sono state scalfite dagli anni, oltre ad una straordinaria determinazione (ne sanno qualcosa il Portogallo e il Messico, avversari suoi e degli Stati Uniti nei Mondiali 2002), sono quelle di una eccellente tecnica di base e di un talento indiscutibile nell'uno contro uno, che lo rendono ancora un elemento fondamentale per la squadra oltre che un sorvegliato speciale da parte delle difese avversarie. Nella Lega, alla fine della stagione passata, aveva totalizzato 172 partite condite da 27 gol e 63 assist, oltre ad aver vinto la Coppa dei Campioni della CONCACAF nel 2000, seguita dalla US Open Cup nel 2001 e dalla MLS Cup nel 2002.

Per sette anni consecutivi All-Star nella formazione dell'Ovest (il 2003 ha visto per la prima volta la sua assenza), detiene il record di presenze in maglia statunitense con ben 159 presenze, la cui prima risale al 1992, nel corso delle quali ha partecipato a tre mondiali (USA 94, Francia 98, Corea & Giappone 2002.)

Chi invece non sembra conoscere la parola "declino", anche se l'infortunio durante un amichevole il 22 Febbraio getta qualche dubbio per il futuro (per lui si è parlato di tre-quattro mesi di stop, e sul pieno recupero pesa l'incognita dell'età  del giocatore), era Predrag Radosavlijevic, meglio noto al pubblico col soprannome di Preki.

La sua lunghissima carriera inizia esattamente 20 stagioni fa, nella Stella Rossa Belgrado, e lo porta, dopo due anni, negli Stati Uniti per la prima volta; qui però decide di dedicarsi alla versione indoor del suo sport: con i Tacoma Stars della MISL, con i quali diventa ospite fisso dell'All Star Game, nonché MVP nel 1989 a coronamento di sette stagioni da 219 gol e 227 assist in 247 partite.

La sua avventura nel futsal continua per un paio di anni con gli Storm di St.Louis prima di approdare, a quasi trent'anni in un campionato di prestigio come la Premiership: un biennio con l'Everton, dove segna 4 gol in 46 presenze, poi la discesa nella First Division inglese con il Portsmouth dove nella stagione 94/95 scende in campo in trenta occasioni mettendo a segno 10 reti.

A questo punto Radosavlijevic, passa di nuovo l'Atlantico e chiude la propria carriera nel calcio a cinque con un altro titolo di MVP, stavolta nella CISL, con la maglia dei San Josè Grizzlies.

E infine, ecco la MLS: la Lega lo assegna ai Kansas City Wizards, dei quali diventa rapidamente leader sia della manovra offensiva che della finalizzazione oltre che miglior giocatore della squadra, nonché della Lega nel '97, e ancora un immancabile all'appuntamento dell'All-Star Game.

Il 1996, oltre all'esordio nella Major League Soccer, gli porta anche la cittadinanza statunitense, che gli permette di fare il suo esordio con la nazionale appena nove giorni dopo. In queste vesti, prenderà  parte alla spedizione in terra francese del 1998, dove giocherà  due delle tre partite del girone eliminatorio.

Nel 2001 viene mandato dai vertici MLS ai Fusion di Miami e nella sua unica stagione in Florida riesce a trascinare una formazione in precedenza mediocre addirittura al primo posto di Division; poi il ritorno agli Wizards, e a coronamento di una carriera per certi versi irripetibile, arriva nel 2003 il secondo titolo di Most Valuable Player della Lega più importante del calcio in USA.

Ma cosa ha permesso a un giocatore nato quarant'anni fa di rimanere ai vertici del soccer? Senz'altro quella che negli States si chiama "mentalità  vincente", ovvero una accentuata propensione alla ricerca della vittoria e di quanto si rende necessario per ottenerla, in qualsiasi situazione, unita ad una grande esperienza in realtà  calcistiche diversissime tra di loro, che lo rende in grando di capire e adattare il gioco a seconda delle circostanze, caratteristica indispensabile per un costruttore di gioco come lui.

Il periodo trascorso nell'indoor poi, oltre a costruirgli fiato e resistenza, ha insegnato al mancino Preki a prendere buone decisioni rapidamente, che assieme al notevole bagaglio tecnico sono ciò che lo ha reso e lo rende una stella anche a questi livelli.

Sempre a Kansas City possiamo trovare un'altra autentica leggenda del calcio americano, che senz'altro anche in Italia qualcuno ricorderà , grazie alle sue apparizioni ai Mondiali nel '90 e nel '94. Stiamo parlando di Tony Meola.

Atleta di stazza considerevole (1.85 per 92 chili circa), il portiere nato nel New Jersey nel 1969 si impose all'attenzione mondiale quando soltanto ventunenne, e con alle spalle esclusivamente college soccer e un'esperienza con gli inglesi del Brighton, l'allora CT USA Milutinovic ne fece il titolare indiscusso della Nazionale. Sia in Italia che negli Stati Uniti, in occasione della massima competizione della FIFA, mette in mostra una insospettabile agilità  e una leadership degna di un grande numero uno, nonostante i suoi acrobatici salvataggi tra i pali spesso siano un estremo rimedio alle indecisioni sulle palle alte che ogni tanto gli causano brutte figure.

Terminata la kermesse statunitense, e partito poco dopo per altri lidi il coach Bora Milutinovic, l'arrivo sulla panchina di Sampson lo fa sparire per ben quattro anni dal giro della rappresentativa maggiore; nel frattempo Meola, assegnato dalla neonata MLS ai NY/NJ Metrostars dove rimane tre stagioni, conferma le proprie doti e vince il titolo di miglior portiere del campionato nel '98, alla vigilia del suo passaggio a Kansas City.

L'arrrivo in maglia Wizards non sembra iniziare sotto i migliori auspici: nel 1999 scende in campo appena nove volte a causa del ginocchio destro che lo tiene fuori causa per cinque mesi; ma Bruce Arena, al suo ritorno in campo, confortato dal pieno recupero, gli fa ritrovare la maglia della Nazionale, anche se non più da titolare.

Lui dimostra poi che la chiamata è stata più che meritata: il 2000 lo vede protagonista assoluto con una striscia di imbattibilità  lunga 681 minuti, che assieme alle complessive 16 partite senza gol subiti lo portano a fare man bassa di riconoscimenti: Portiere e giocatore difensivo dell'anno, MVP della squadra, della Lega e della MLS Cup vinta dai suoi Maghi, oltre che "Ritorno dell'anno".

Nel biennio successivo gli infortuni tornano a limitarne le presenze, ma ormai è tornato senza dubbio un ottimo giocatore e anche stavolta il suggello delle sue prestazioni arriva da Bruce Arena, che in occasione della Coppa del Mondo 2002 fa di lui il terzo portiere, dando la possibilità  ad un protagonista assoluto del soccer USA di poter dire "C'ero anch'io" nella miglior prestazione di sempre della nazionale ai Mondiali.

L'ultimo personaggio di questa galleria è forse meno "appariscente", ma non meno importante; d'altra parte sarebbe difficile non essere tali per la storia del calcio nel proprio paese dopo aver raccolto 134 caps internazionali come Jeff Agoos.

Classe '68, nato a Ginevra ma presto trasferitosi negli Stati Uniti, Agoos, uno dei migliori difensori della MLS, è un terzino sinistro trasformatosi in centrale. Di statura media (1.78) è dotato di qualità  tecniche e mentali che gli consentono di supplire alla mancanza di centimetri; pur non essendo velocissimo, infatti, la sua capacità  di leggere il gioco offensivo avversario lo porta a farsi trovare nel posto giusto al momento giusto, anticipando l'attaccante, mentre il tocco di palla, frutto dell'allenamento continuo di cui è sostenitore e interprete, lo rende pericoloso anche nell'altra metà  del campo, soprattutto con i calci piazzati.

Uscito nel 1991 dal Virginia, college dove è stato per tutti e quattro gli anni di permanenza All-American, debutta nella A-League con i Maryland Bays e trascorre l'anno successivo nel calcio indoor con i Dallas Sidekicks della MISL prima di rimanere per il 1993-94 alle dipendenze della federazione in vista degli imminenti mondiali statunitensi, ai quali però, non viene convocato, cosa che lo rammarica a tal punto da fargli dar fuoco alla tuta della nazionale

Dopo un'esperienza da titolare nella terza divisione tedesca con il SV Wehen, fa ritorno negli States, dove diventa per il quadriennio 1996/2000 colonna della difesa dei D.C. United che vincono MLS e US Open Cup, oltre ad una Coppa Interamericana contro il Vasco de Gama e tre volte il campionato MLS, mentre nel frattempo ottiene riconoscimenti personali venendo inserito due volte trai migliori undici della stagione.

La Lega decide poi di trasferirlo nel 2001 alla sua attuale formazione, cioè i San José Earthquakes in cambio di Conteh; nessun problema per lui, che guida la squadra alla vittoria in MLS Cup e si guadagna il titolo di miglior difensore dell'anno assieme a un posto sia nel "Best XI" che nella rappresentativa Ovest dell'All-Star Game per il quale è stato il giocatore più votato dal pubblico.

Nei due anni che seguono, e che ci portano fino ad adesso, gli infortuni lo fermano più volte ma Agoos riesce a tornare di nuovo alla partita delle stelle e a registrare il reparto affidandosi sempre di più a quanto il tempo migliora anziché portar via, ovvero esperienza e visione di gioco.

Una nota particolare merita la sua lunga carriera in nazionale, o meglio nelle nazionali; il difensore ha infatti vestito i colori statunitensi per la prima volta con la maglia dell'Under 15 e dopo il suo esordio con quella maggiore nel 1988, ha preso parte ai Mondiali 1998 e 2002 nonché alle Olimpiadi di Sidney 2000 come fuoriquota e alla Confederation Cup del 1999. In diverse occasioni capitano, ha la piena fiducia di Arena del quale è stato anche assistente nel 1995 mentre attendeva l'inizio della MLS.

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