I Red Sox hanno bisogno che Johnny Damon cominci ad andare in base…
In effetti erano sembrati un po' troppo gigioni, i tifosi dei Boston Red Sox, mentre dall'alto del cappotto inferto agli Angels nelle Division Series della American League, guardavano alla serie tra Twins e Yankees, tifando spudoratamente per gli odiati rivali in pinstripes.
Certo la scaramanzia non sembra di casa tra i tifosi delle "calze rosse", ma per un popolo sportivamente frustrato da anni di insuccessi, attribuiti senza vergogna ad una maledizione di quasi un secolo prima, almeno una certa cautela, nello sbandierare al mondo la propria convinzione di superiorità , non sarebbe guastata.
Sarebbe troppo facile adesso, sul punteggio di 2 a 0 nella serie per gli uomini di Joe Torre, presentarsi "à la Italo Cucci" col più classico dei "io l'avevo detto", ma se in un certo qual modo, la sfortuna può aiutare ad interpretare almeno una delle due sconfitte subite dai Red Sox, certo da sola non è sufficiente a spiegare come mai, quello che i più avevano indicato come "the Year" per gli uomini di Terry Francona, stia virando pericolosamente verso una disfatta di epiche proporzioni.
"Hurt" Schilling
L'impietoso gioco di parole con cui il New York Daily News titolava un articolo nella edizione di mercoledì, mette il dito in quella che ad oggi, qualora i Red Sox dovessero abbandonare i playoffs, sarebbe la principale recriminazione dei loro tifosi.
Arrivato durante la offseason per formare assieme a Pedro Martinez, un one-two punch sui livelli di quello che lo stesso Schilling, nel 2001, formava in Arizona assieme a Randy Johnson, il biondo pitcher non impiegava molto per affermarsi come la "grande speranza (bianca)", in una città che proprio di speranza, si nutre dal 1918.
Le 21 vittorie in stagione regolare ne facevano un sicuro candidato al Cy Young Award e la sua reputazione, costruita anche a spese degli Yankees, di pitcher da partite che contano (sino a gara 1, 12 partite di playoffs con una ERA di 1.74 ), rendevano granitica la certezza nei tifosi, che quest'anno i Red Sox fossero davvero equipaggiati per il colpaccio.
In gara 1 delle Division Series contro gli Angels però, la caviglia destra di Schilling, che già durante la prima parte della stagione aveva disturbato il giocatore, si aggravava definitivamente, gettando una seria ombra sulla possibilità che il trentasettenne Curt potesse scendere in campo contro gli Yankees.
Un tutore in plastica, subito approntato dallo staff medico dei Red Sox, veniva testato nelle bullpen session dei giorni precedenti alla serie e sembrava dare esiti positivi, tanto che nell'ultima conferenza stampa, prima di gara 1, Schilling, Epstein e Francona, si dicevano fiduciosi riguardo al fatto che la caviglia non avrebbe creato problemi.
Se nello sport, la prova del campo è quella che spesso spazza via tutti i dubbi, gara 1 mostrava che l'azzardo (il bluff?), o l'ingenuità , di mandare Schilling in campo in condizioni difficilmente definibili anche solo precarie, potrebbe costare ai Sox l'ennesima serie di bocconi amari da ingoiare con calma di qui ad aprile.
Schilling veniva maltrattato dal lineup avversario e scendeva dal monte dopo tre innings per la sua più breve uscita della stagione, lasciando la squadra sotto per 6-0 e venendo schernito dal pubblico dello Stadium, al canto di "Where's Curt Schilling?", per poi dichiarare che se non fosse stato in grado di fare di meglio, non sarebbe più sceso in campo nella serie: "con chiunque altro sul monte, oggi avremmo vinto"" dichiarava il giocatore profondamente frustrato.
Il tutore infatti, non riusciva ad immobilizzare l'arto rendendo impossibile al pitcher, forzare sulla gamba destra. Theo Epstein, GM dei Red Sox, rispondeva prontamente a chi chiedeva quanto potesse essere stato azzardato mandarlo in campo in quelle condizioni invece di concedergli ulteriore riposo: "non si tratta di due, tre o quattro giorni in più"qui si tratta di immobilizzare l'arto"nella session di ieri la caviglia stava bene, non capiamo come mai il tutore non abbia tenuto, proprio quando ne avevamo bisogno"probabilmente Curt ha forzato, come è normale, molto più in partita che durante l'allenamento." .
Schilling, atteso come partente di gara 5, verrà rimpiazzato da Derek Lowe, e riguardo le sue condizioni, nello staff di Boston, non sembra circolare ottimismo: la caviglia è slogata e subito dopo la fine dei playoffs, il giocatore dovrà sottoporsi ad una operazione. Nella seduta di ieri, non sono stati rilevati miglioramenti tali da far pensare ad un suo rientro in campo almeno nella serie contro gli Yankees.
"Possiamo vincere ugualmente", è il coro unanime nella clubhouse, ed Epstein non sembra certo tirarsi indietro: "Possiamo vincere con Curt o senza Curt"lo scorso anno abbiamo lottato sino all'ultimo ed avevamo al suo posto John Burkett. Burkett è gran bel lanciatore ma insomma"sapete cosa voglio dire"". Forse che conviene sperare nel miracolo.
Johnny Damon
Che il ragazzo sia particolare, lo si nota anche solo a guardarlo, con barba e capelli che avrebbero fatto la loro figura anche su una copertina di un disco dei Bee Gees. Come se non bastasse, proprio a Damon viene attribuita la paternità della definizione "a bunch of idiots" (una manica di idioti) con cui i giocatori dei Sox si riferiscono a loro stessi.
Per far capire il tono rilassato presente nella clubhouse durante i playoffs, basti pensare peraltro a come David Ortiz, amicone fraterno di Manny Ramirez, rispondeva ad una domanda riguardante la calma olimpica che sembra pervadere proprio Ramirez, in ogni situazione: "Non credo che Manny abbia abbastanza cervello per essere disturbato da qualcosa"".
Mitico Ortiz, anche perché parafrasando una vecchia pubblicità , "con quella stazza può dire ciò che vuole" (beh"forse non era proprio questa"), ma se l'atmosfera era così rilassata prima della serie contro gli Yankees, qualcosa potrebbe dover cambiare: non che si tratti necessariamente di un discorso di concentrazione o di eccessiva fiducia nei propri mezzi: senz'altro non si tratta di aver sottovalutato l'ostacolo, sebbene in molti pensassero davvero che il lineup di Boston, avrebbe avuto la meglio sulla enigmatica rotazione partenti di Joe Torre. E invece"
E invece ci ritroviamo con Boston ad un passo dal baratro della ennesima sconfitta, la quinta consecutiva nelle Championship Series, la terza consecutiva ad opera di New York, e con i partenti di gara 1 e 2 per i Bombers, autori di due prestazioni eccezionali.
Proprio Johnny Damon però, è sembrato soffrire particolarmente la grande vena di Mike Mussina e Jon Lieber.
Contenere il leadoff dei Red Sox infatti, era su qualunque testata sportiva, indicata come una delle chiavi per il successo degli Yankees. Damon infatti, attaccante alquanto sottovalutato, sembrava favorire, durante la stagione, i pitcher alle dipendenze di Joe Torre, mettendo a segno contro di loro cinque dei propri venti fuoricampo.
Ma la pericolosità del giocatore, non si esauriva in battuta, anzi. Una volta in base Damon, dotato di grande velocità , rappresenta il vero e proprio innesco per delle mazze davvero esplosive, quelle del "dinamico (oddio") duo" David Ortiz e Manny Ramirez.
Segnalatosi come uno dei battitori più difficili da mettere strikeout (una volta ogni 9.9 apparizioni al piatto), e reduce dalla serie contro Anaheim in cui aveva battuto .467, Damon incappava in una gara 1 da incubo, messo continuamente fuori causa da un Mussina letteralmente perfetto per sei inning e costretto a subire, una volta partita la rimonta di Boston, il quarto "K" della serata, ad opera di un Tom Gordon peraltro non apparso al meglio nella serie.
"Una cosa che non credo mi sia mai accaduta in circa1600 partite" dichiarava un Damon comunque soddisfatto del carattere mostrato dai suoi compagni, "ma occorre anche dare credito agli avversari"erano tutti grandi lanci"" con una menzione particolare per Mussina "è stato veramente fantastico"per lui, farmi fare la figura dello scemo per tutta la sera, non è proprio una cosa usuale"".
Non lo sarà stato neanche per Lieber, ma il sensazionale pitcher di gara 2, arrotondava la striscia di Damon che recitava, all'indomani del 3-1 firmato dal fuoricampo di Olerud, 0 su 8 con 5 strikeout subiti.
"Sappiamo di essere in una buca"ma persino degli idioti sanno come si fa ad uscirne"" dichiarava un Damon ancora bellicoso, ma quel che è certo che l'attacco dei Red Sox dovrà cominciare a produrre qualcosa altrimenti, anche una grande prestazione come quella del buon Pedro Martinez, finirà per essere vanificata, aumentando i rimpianti per quello che poteva essere e non è stato.
The Mango Tree
Da sempre uno dei nemici preferiti della Grande Mela, il tre volte Cy Young Award Pedro Martinez non riesce a trascorrere una serie contro gli Yankees senza esserne al centro dell'attenzione. Dopo "i fatti" dello scorso anno, quando si rese protagonista dell'atterramento del settantenne Don Zimmer, Pedro ed il suo complicato rapporto con gli Yankees, sono tornati a far notizia.
Dopo essere stato maltrattato per l'ennesima volta in carriera dai Bronx Bombers, sul campo amico del Fenway Park, il 24 settembre, Martinez si rivolgeva alla stampa auspicando di non doverli mai più incontrare ma concedendo alla fine qualcosa agli avversari di sempre: "Cosa posso dire? Non posso fare altro che togliermi il cappello e chiamarli papà "".
Certo i salaci tifosi newyorkesi non potevano farsi sfuggire l'occasione e tappezzavano letteralmente lo Yankee Stadium di cartelli i quali, inneggianti ad una canzone degli anni '70, chiedevano a Pedro chi fosse suo padre ("Who's Your Daddy?"), accompagnando la partita del pitcher caraibico con cori di scherno.
Dopo una partenza difficile però, Pedro prendeva le misure e lanciava una delle sue migliori partite degli ultimi anni, rovinata solamente da una fastball alta e interna su John Olerud, che rimaneva un po' troppo sul piatto, permettendo al prima base di segnare l'homer che portava New York sul 3 a 0 ed apparecchiava la tavola per Mariano Rivera.
Intervistato a proposito dei cori dei tifosi, Martinez spiazzava ancora una volta i reporters: "Mi hanno fatto sentire bene"" rispondeva, per poi spiegare, stizzito dalle risate dei giornalisti "non capisco perché ridiate"non ho ancora finito di rispondere"mi hanno fatto sentire bene perché ho capito di essere qualcuno"se torno indietro a quindici anni fa, me ne stavo seduto sotto un albero di mango senza cinquanta centesimi per il bus"e adesso mi ritrovo al centro dell'attenzione della città di New York"mi sono sentito importante" concludeva.
Grandissimo Pedro dunque, dentro al campo e per una volta anche ai microfoni, ma la sua ottima prestazione, come spesso accaduto, non bastava a battere gli Yankees. 113 lanci di cui 64 strikes, in sei inning, non erano sufficientemente coadiuvati da un attacco in grado di dare tranquillità al lanciatore e mentre gli Yankees lottavano ad ogni turno di battuta per stancare il braccio dell'uomo del mango, i Red Sox incappavano in una serie di apparizioni al piatto onestamente inguardabili, girando qualsiasi cosa arrivasse dalle parti di casa base e consentendo dunque dei comodi out alla difesa guidata da un Lieber che concedeva un punto e tre valide in sette innings.
Pessima strategia dunque per gli uomini di Francona che forse, sebbene tentino di dissimulare la tensione che circonda i protagonisti della serie, dovrebbero cercare non tanto di apparire spavaldi, quanto di non cercare di strafare una volta in campo, magari andando per la giocata che può regalare imperitura fama e popolarità , quanto piuttosto cercando di fare le piccole cose, conquistando una base dopo l'altra, in piena osservanza di quello "small ball", che lo scorso anno, consegnò a dei Florida Marlins, senz'altro meno attrezzati di Ramirez e compagni il titolo (quello sì imperituro) di campioni.