Pennant Race – Parte Prima

Fred Bonehead Merkle: per “colpa” sua i Giants persero il pennant nel 1908

Il mese che generalmente è considerato sinonimo di baseball è senza dubbio ottobre: con i playoff, che si chiudono con le World Series, viene assegnato il titolo mondiale e di conseguenza numerosi spettatori (non necessariamente appassionati) si interessano alle sfide sul diamante; tuttavia, per i cultori del baseball, il mese più amato è settembre, che oltre agli ultimi giorni d'estate, porta con sé la corsa alla post-season, la famosissima pennant race.

Per capire appieno il significato della pennant race è fondamentale fare qualche passo indietro nel tempo, più precisamente al 1876, quando fu fondata la National League: ognuna delle otto squadre iscritte aveva in programma 70 partite di regular season a testa e quella con il maggior numero di vittorie, oltre a laurearsi campione, avrebbe ricevuto una bandiera, il famoso pennant, del valore di 100 dollari.

I Chicago White Stockings, in verità , disputarono soltanto 66 partite, tuttavia il bilancio conclusivo (52-14) fu sufficiente per la conquista del primo titolo della Senior League, infatti i secondi in classifica, i St. Louis Brown Stockings, furono staccati di 6 lunghezze.

Nota: la squadra di Chicago della National League mantenne il nickname White Stockings fino al 1894, quando questo fu modificato in Colts; nel 1898 fu utilizzato il nomignolo Orphans, che un anno più tardi fu sostituito con Cubs, ancora oggi invariato. I Chicago White Stockings originali, quindi, non devono essere confusi con i moderni Chicago White Sox, che debuttarono nella American League nel 1901.

Negli anni successivi, l'avvento di organizzazioni alternative alla National League portò alla nascita dei playoff, ciononostante la tensione della regular season non si affievolì: fino al 1968, infatti, National e American League non erano spezzate in division, e la squadra in testa alla classifica al termine della stagione regolare si aggiudicava automaticamente il titolo di lega, qualificandosi alle World Series senza ulteriori spareggi.

Nota: Tra il 1883 e il 1890, le squadre campioni della National League e della American Association si sfidarono nelle World Series del XIX secolo; dopo il fallimento della American Association nel 1891, la National League non ebbe più rivali per un intero decennio. Nel 1901, Ban Johnson trasformò la sua Western League in American League, sfidando apertamente la National League: con il National Agreement del 1903, le due leghe si accordarono per l'istituzione delle World Series moderne.

Con l'expansion del 1969, National e American League accolsero quattro nuove squadre (San Diego Padres e Montreal Expos nella Senior Circuit, Seattle Pilots - ora Milwaukee Brewers - e Kansas City Royals nel Junior Circuit), portando a 24 il numero di franchigie presenti nelle majors; conseguentemente, fu deciso di creare all'interno delle due leghe una Eastern ed una Western Division, in cui inserire le formazioni: il tradizionale appuntamento delle World Series sarebbe stato preceduto dalle League Championship Series, che avrebbero messo di fronte le quattro squadre campioni divisionali.

Ciononostante, la regular season non perse assolutamente sapore, anzi la creazione delle LCS fu un evento importante per tutto il baseball, che poté gustare un turno di playoff molto caldo e spettacolare, senza stravolgere il senso della stagione. Probabilmente, l'ulteriore realignment, avvenuto nel 1994, ha un po' ridimensionato il valore della regular season, tuttavia le sfide per il primo posto, l'unico che permette l'accesso ai playoff, sono davvero emozionanti.

La lotta per conquistare la vetta della classifica è un momento magico, in grado di coinvolgere i tifosi come pochissimi altri eventi: si analizza il calendario per sapere quali siano le prossime partite, ci si augura che le formazioni non coinvolte nella pennant race facciano uno sgambetto alle rivali, si spera che il giovane pitcher partente sopporti la tensione e regali alla propria squadra una vittoria decisiva; ci si arrabbia dopo una sconfitta contro una squadra mediocre, ma si gioisce quando i rivali incappano in una giornata storta.

Per comprendere lo spettacolo della pennant race, faremo un tuffo nel passato ed andremo a rivivere alcune delle più memorabili sfide della storia.

National League 1908

La prima grande pennant race che vorrei illustrare risale al 1908, con la sfida tra i Chicago Cubs, i New York Giants e i Pittsburgh Pirates: il 21 settembre, New York guidava la classifica con un bilancio di 87-48, seguita da Chicago con 88-53, mentre a 87-54, c'era Pittsburgh, pronta a sfruttare eventuali passi falsi delle rivali.

Il 22 settembre, Cubs e Giants iniziarono ai Polo Grounds, storico impianto della Grande Mela, un'importantissima serie di quattro partite, che si sarebbe rivelata fondamentale nel prosieguo della stagione: l'inizio della sfida fu nettamente favorevole a Chicago, che riuscì a vincere le prime due partite del double-header d'apertura.

Il 23 settembre, Giants e Cubs si sfidarono per la terza volta, dando vita ad un incontro memorabile, che rimase in equilibrio per nove inning: sul punteggio di 1-1 nell'ultima frazione, i Giants riuscirono a portare Moose McCormick e Fred Merkle in terza e in prima base, e quando Al Bridwell batté una valida, McCormick segnò facilmente.

New York aveva ottenuto una vittoria fondamentale nella pennant race, ma incredibilmente questa fu cancellata: Merkle, infatti, aveva commesso un'imperdonabile leggerezza, quando si dimenticò di toccare il cuscino di seconda base (come prescritto dal regolamento), dirigendosi immediatamente verso il dug-out; Johnny Evers e Frank Chance dei Cubs si accorsero dell'accaduto e chiesero il gioco d'appello, che ovviamente fu accettato dagli arbitri. Il nono inning era terminato con le due squadre ancora in parità  (1-1), di conseguenza la partita sarebbe dovuta continuare, ma visto che gli spettatori avevano invaso il terreno di gioco, gli arbitri furono costretti ad interromperla; dopo tre giorni di consultazioni, l'incontro fu dichiarato ufficialmente pari.

Fino agli anni '60 (da quando tutti gli stadi furono muniti di un impianto di illuminazione), nei casi in cui l'oscurità  (o qualunque altra causa) avesse bloccato una partita su un punteggio di parità , l'incontro veniva interrotto, per poi essere rigiocato qualche giorno dopo, se determinante per l'assegnazione del pennant; da un punto di vista statistico, la partita interrotta non veniva annullata.

Giants, Cubs e Pirates continuarono a darsi battaglia, ma nessuna delle tre riuscì a staccare in maniera definitiva le avversarie: il 3 ottobre, Pittsburgh giocò la sua ultima partita stagionale, perdendo a Chicago per 5-2; in seguito a quel risultato, i Pirates completarono un bilancio finale di 98-56, mezza lunghezza dietro a Cubs, che qualche giorno dopo sarebbero stati raggiunti dai Giants a quota 98-55.

Per determinare la vincitrice del pennant, New York e Chicago dovettero riaffrontarsi ai Polo Grounds, nel recupero del pareggio del 23 settembre; in verità , i Giants avrebbero potuto evitare l'incontro finale contro Chicago, ma incapparono in alcune inopinate battute d'arresto, tra cui tre contro Philadelphia: in quelle partite, il protagonista per i Phillies fu il pitcher Harri Coveleski, che, totalizzando tre vittorie in cinque giorni, si meritò il soprannome “The Giant Killer”. Tra gli eroi dei Cubs, invece, va ricordato il lanciatore Ed Reulbach, che il 26 settembre fu utilizzato come partente in entrambe le partite di un double-header contro Brooklyn, ottenendo un doppio shutout: mai nessun altro pitcher sarebbe più riuscito a collezionare un'impresa simile in un solo giorno.

Nella sfida finale, i giocatori di New York cercarono in tutti i modi di provocare Chance, senza ottenere i frutti sperati: Three Finger Brown, infatti, sconfisse Christie Mathewson, e grazie al successo per 4-2, i Cubs si aggiudicarono il pennant; per la delusione, la stampa newyorchese scagliò la propria ira nei confronti di Merkle, considerato il capro espiatorio della sconfitta di New York. I Cubs, invece, festeggiarono il terzo pennant consecutivo, che poi si sarebbe tramutato nel secondo (e ultimo) titolo mondiale, con il successo sui Detroit Tigers nelle World Series.

National League 1938

Una delle parole più temute dai tifosi di baseball è sicuramente choke: con questo termine si suole indicare l'improvviso calo della squadra in testa alla classifica, che nelle settimane conclusive della stagione inizia una striscia negativa, dilapida il cospicuo vantaggio per poi subire il sorpasso delle rivali.

Uno dei chokes più memorabili è quello che avvenne nella pennant race del 1938: all'inizio di settembre, la situazione vedeva Pittsburgh con un confortevole vantaggio sulle inseguitrici, che parevano ormai spacciate. Improvvisamente, i Cubs iniziarono a vincere partite su partite e, approfittando di un inaspettato calo dei Pirates, riuscirono a ridurre il distacco ad una misera lunghezza e mezza, alla vigilia di una serie di tre incontri da giocare tra le due rivali a Wrigley Field .

Il 27 settembre Dizzy Dean, il pitcher proveniente dai St. Louis Cardinals, guidò Chicago alla vittoria nel primo incontro per 2-1, annullando il vantaggio in classifica di Pittsburgh; nella seconda partita, il punteggio al termine dell'ottavo inning era fissato sul 5-5, ma visto l'allungarsi delle ombre, l'incontro pareva destinato a chiudersi anzitempo; gli arbitri, invece, decisero di far disputare un'ulteriore ripresa, riservandosi di interrompere la partita al termine del nono inning.

Il pitcher di Chicago Charlie Root eliminò facilmente i tre battitori avversari, imitato dal collega Mace Brown, che, dopo aver rispedito nel dugout i primi due uomini, si portò sul conto di 0-2 contro il catcher (e manager) dei Cubs Gabby Hartnett; ormai su Wrigley Field il buio era totale e il pubblico si era rassegnato al pareggio, ma Hartnett riuscì a centrare il lancio di Brown, spedendo la palla sugli spalti: con quel fuoricampo (ribattezzato “The Homer in the Gloaming”), i Cubs ottennero la vittoria necessaria per superare i Pirates in classifica, che a quel punto cedettero, regalando il pennant ai rivali.

Gabby Hartnett fu osannato come un eroe e, ricordando la sua impresa, affermò “I don't think I walked a step to the plate. I was carried in!”

Continua…

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