Moneyball – by Michael Lewis

Moneyball – by Michael Lewis

Dovete gestire una squadra di professionisti e avete a disposizione uno dei budget più ridotti dell’intera lega. Come fate a sopravvivere nel campionato più duro al mondo, dove il talento si paga a peso d’oro? Anzi, come fate a vincere o, meglio ancora, ad eccellere?

Molto semplice: si promettono fior di milioni ai migliori giocatori, si vive qualche stagione da grande protagonista e poi si implora un decreto spalma debiti, alla faccia di qualcuno che ha sempre tenuto i conti a posto inanellando una serie di campionati anonimi.

In Major League non si può: ti ritrovi in mezzo a squali dall’inesauribile portafogli (un armatore anziché un petroliere), devi far tornare i conti alla lira (ehm, al dollaro!) e devi conseguire risultati abbastanza soddisfacenti da non perdere appeal sul pubblico.

Moneyball ci racconta come si fa.

L’autore, Michael Lewis, è un economista, che come tale non poteva non innamorarsi di un approccio al mestiere di GM tanto simile a quello di un azionista di borsa.

Billy Beane è il fulcro della storia, una storia vera.

Billy Beane è il GM degli Oakland A’s che, dopo i successi alla fine degli anni ’80 avvenuti grazie ad ampie disponibilità  di verdoni, devono intraprendere un nuovo corso con una nuova ownership meno passionale e più attenta ai vincoli di bilancio.

Se guardate solo le World Series, gli Athletics non sono certo la prima squadra che vi salta in mente; ma se osservate il rendimento nel corso della regular season, vi accorgerete (forse lo avete già  fatto) che, nel recente passato – nell’era Beane dovremmo dire -, solo Atlanta ha un record complessivo migliore di quello degli oro-verde della Baia.

Il prezzo di tale successo non è astronomico: solo gli Expos operano con un monte salari più basso.

Moneyball è un viaggio accanto al genio Billy Beane e ai suoi più fidati assistenti, Paul DePodesta e J.P. Ricciardi.

Billy Beane non può partecipare all’asta per i migliori free agents e, anziché accontentarsi delle briciole concesse dalle franchigie ricche, studia il mercato di talento e trae vantaggio da ogni inefficienza di questo.

Con Moneyball sarete spettatori di un vero e proprio esperimento scientifico e, contemporaneamente, di uno spettacolo unico.

Sarete nella clubhouse del Coliseum quando, in faccia ad ogni accettata convenzione baseballistica, Beane e soci (qualcuno riluttante) scriveranno la lista degli obiettivi per il draft amatoriale del 2002.

Sarete ancora lì quando quei nomi scritti, snobbati dagli scout di 29 franchigie, costituiranno le scelte per il futuro dei Nord-Californiani.

Assisterete a trades effettuate in due ore con quattro o cinque interlocutori, allo sbocciare di talenti bollati come non adatti alle big leagues e al rifiorire di carriere considerate finite.

Alla fine dovrete decidere tra un sistema ultracentenario di scouting effettuato da ex giocatori e coach, che si affida alle percezioni visive di questi esperti, ed uno innovativo che mette in pratica i risultati di analisi statistiche e si affida ad archivi di dati, ad un calcolatore e qualche cervello – tipo laureato ad Harvard – che con il secondo tiri fuori ogni informazione che i primi possono fornire.

La mia scelta personale è distorta dalla mia professione di statistico, ma trova conforto nelle prestazioni degli A’s.

La scelta di 29 franchigie, anche se un paio di esse hanno iniziato a cambiare idea, è quella di arroccarsi su una lunga e indiscussa tradizione, come spesso avviene all’inizio di una rivoluzione di pensiero.

Leggetevi Moneyball – non ve ne pentirete! – e poi fatemi sapere da che parte state.

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