Jimmie Johnson festeggia il terzo titolo consecutivo
Un’altra spettacolare e intensa stagione NASCAR è andata in archivio.
E’ andata in archivio con il trionfo di Jimmie Johnson, al terzo titolo consecutivo, impresa riuscita soltanto a Cale Yarborough nel triennio 76-78. Una stagione che ha riservato le solite lotte, i soliti scontri, le solite carambole e le solite emozioni che ogni anno la NASCAR riesce a regalare ai suoi tanti fan. Purtroppo la recente crisi economica rischia di abbattersi anche su di essa, ma con ogni probabilità questo non scalfirà più di tanto la grande macchina organizzativa e sportiva che è ormai diventata la NASCAR.
La stagione è incominciata innanzitutto con delle novità tecniche: la NASCAR ha stabilito (col consenso dell’80% dei proprietari) che sin dal 2008 tutte le corse sarebbero state disputate con le “Cars of Tomorrow”, in anticipo di un anno sui programmi prestabiliti.
La decisione ha creato alcune noie a qualche team e specialmente nelle prime corse ci sono stati problemi e casi di irregolarità tecniche, lasciando presumere che forse si sarebbe potuto gestire meglio la transizione. Le vetture che sono state approvate per la stagione 2008 sono state la Chevrolet Impala, la Dodge Charger, la Ford Fusion e la Toyota Camry. Importante la presenza di quest’ultima, primo costruttore non nord-americano a concorrere nella NASCAR, al secondo anno di partecipazione alla Sprint Cup.
La prima gara della stagione, come sempre, è la spettacolare Daytona 500. E la gara 2008 non fa che confermare la fama di questa corsa. Ryan Newman vince la corsa con un finale mozzafiato, in cui grazie alla vera e propria “spintarella” (e poi dicono che certe cose accadono solo nei film!) datagli dal compagno di squadra Kurt Busch, riesce a beffare Tony Stewart, primo all’inizio dell’ultimo giro, regalando così anche la prima vittoria a Roger Penske a Daytona. Tra l’altro, con questa vittoria Newman interrompe una striscia di 81 gare senza vittorie.
Con le prime corse sono iniziati ad emergere i primi problemi con le gomme. Tony Stewart risulterà uno dei maggiori critici della Goodyear, visto anche i diversi casi di foratura in cui risulterà coinvolto.
Il punto di massima criticità per quel che riguarda i problemi con le gomme si hanno alla Allstate 400 at the Brickyard, dove sin dalle prove libere ci si è resi conto che i pneumatici previsti per la corsa si sgonfiavano rapidamente, a causa dell’asfalto di Indianapolis particolarmente abrasivo e anche dal particolare stress che le “Cars of Tomorrow” mettono sulle gomme, visto che tra l’altro questa è stata la prima gara ad Indianapolis con questo tipo di vetture.
Il problema si è rivelato così serio da portare la NASCAR a decidere di neutralizzare la corsa ogni 10 giri dopo che venivano montate gomme nuove. Alla fine ne è uscita una gara spezzettata, da cui ne è uscito trionfante Jimmie Johnson.
Piano piano si è registrata, durante la stagione, la crescita della Toyota. Dopo qualche problemino iniziale, la Toyota ha vinto la prima corsa dell’anno ad Atlanta, alla quarta corsa della stagione, con Kyle Busch (protagonista di una stagione strepitosa, 8 vittorie nella Sprint Cup, 10 nella Nationwide e 3 nella Craftsman Truck Series). Alla fine, conquisterà 10 vittorie nella Sprint Cup, tutte con il team di Joe Gibbs.
Oltre a Stewart, un altro pilota per cui non si può certo parlare di buona stagione è Dale Earnhardt jr. Passato all’Hendrick Motorsports, ci si aspettava per il figlio del grande Intimidator una stagione migliore della precedente, terminata con lo 0 alla voce vittorie.
Alla fine Dale jr riuscirà ad interrompere la striscia negativa vincendo, grazie anche ad una tattica azzeccata, a Brooklyn, nel Michigan (dopo che aveva vinto anche la primissima corsa stagionale, lo Budweiser Shootout, una gara ad inviti che si corre a Daytona il weekend precedente la 500 Miglia). Per il resto, ancora una stagione deludente, ed alla fine l’essersi tolto la scimmia dalla spalla di questa vittoria che mancava da troppo tempo rappresenta davvero l’unica nota positiva della stagione, specialmente se messa a confronto con quella del suo compagno di squadra, Jimmie Johnson.
La lotta per qualificarsi alla Chase si rivelerà caldissima fino all’ultimo. Alla fine, sono ammessi a questa sorta di playoff per il titolo (in ordine alfabetico): Jeff Burton, Clint Bowyer, Greg Biffle, Kyle Busch, Dale Earhnhardt Jr., Carl Edwards, Jeff Gordon, Denny Hamlin, Kevin Harvick, Jimmie Johnson, Matt Kenseth e Tony Stewart.
Il particolare regolamento della Chase rimescola totalemente la classifica, o meglio i distacchi emersi fino a quel punto. Kyle Busch entra nella Chase con ben 207 punti di vantaggio sul secondo, Edwards, ma in realtà partirà per questi veri e propri playoff con appena 30 punti di vantaggio sul rivale, e 80 sul dodicesimo, Kenseth (che invece aveva accumulato 762 punti di svantaggio). In pratica, comincia una stagione nuova.
Tra i beffati invece per l’ingresso nella Chase, David Ragan, autore di una solidissima stagione, specialmente dopo la stagione d’esordio in cui era stato protagonista di numerosi incidenti che aveva contribuito a creargli una cattiva fama (Tony Stewart l’aveva soprannominato “dardo senza piume”). Ragan è riuscito a limitare i ritiri e a rendere più consistenti gli arrivi nella Top10 (14 alla fine) ed alla fine lo si può tranquillamente considerare come il “Most Improved Driver” della stagione 2008.
Stagione 2008 che si è certamente rivelata come quella della definitiva consacrazione di Kyle Busch (mentre la stagione del fratello maggiore Kurt si appassiva sui problemi della Dodge e del Team Penske).
Il 23enne nativo di Las Vegas ha disputato una stagione strepitosa, coronata da ben 21 vittorie (8 nella Sprint Cup, 10 nella Nationwide e 3 nella Craftsman Truck Series) ma purtroppo da nessun titolo.
Ad un certo punto della stagione Kyle Busch sembrava lanciatissimo, poi qualcosa si è inceppato. Dovendo per forza di cose concentrarsi sulle corse della Sprint Cup, Busch ha finito per spendere meno tempo nelle altre due serie. Strategia che, quando è cominciata la Chase, invece di rivelarsi positiva si è rivelata quasi un boomerang.
Sono arrivate alcune prestazioni sottotono, ed alla fine ha terminato le ultime 10 corse della stagione (quelle valevoli per la Chase) con appena 4 arrivi tra i primi dieci, nessuna vittoria, e un lento scivolare verso una decima posizione finale che certo non rende onore alla grande stagione disputata.
L’impressione è che se la si mette solo sulla velocità e sulla grinta, Kyle Busch non è secondo a nessuno. Ma deve ancora migliorare molto per quello che riguarda la stagione intera, e soprattutto deve ancora crescere nella particolare gestione delle forze che il regolamento NASCAR, e il sistema della “Chase for the Sprint Cup”, richiede.
Se Kyle Busch si afflosciava pian piano che la stagione arrivava alla conclusione, riemergeva un pilota che era un po’ sparito negli ultimi tempi: Greg Biffle. Grazie ad una serie di solide prestazioni (due vittorie e altri due arrivi tra i primi cinque durante la Chase) Biffle è ritornato a frequentare le posizioni elevate della classifica, rivelandosi un osso duro per la corsa al titolo. Merito soprattutto di un nuovo approccio alle corse, meno aggressivo e più attento, che lo ha portato ad essere l’unico insieme ad Edwards a contendere il titolo a Johnson fino all’ultima gara.
Tra chi invece non può certo annoverare la stagione 2008 come positiva è Jeff Gordon (altro compagno di squadra di Johnson, che evidentemente ha “vampirizzato” le opportunità dei suo compagni di team).
Si può tranquillamente dire che una delle maggiori sorprese della stagione è il fatto che Gordon non sia riuscito a vincere neanche una corsa. Ha terminato la prima stagione senza vittorie da quella d’esordio nel 1993, dopo aver vinto due o più corse ogni anno a partire dal 1994.
Alla fine ha portato a casa solamente 4 pole-position, e la qualificazione alla Chase è stata ottenuto più che altro grazie ad una buona costanza di piazzamenti, che lo ha portato a terminare 19 volte nella top ten. In off-season inizieranno sicuramente tante speculazioni sul suo futuro, sul fatto che forse, a 37 anni, può essere iniziata la sua parabola discendente, o che probabilmente è in corso quel ricambio che è naturale in ogni sport.
Ricambio che ha definitivamente portato al top piloti come Clint Bowyer, Carl Edwards, il già citato Kyle Busch. Clint Bowyer ha disputato una stagione solidissima, ha vinto una corsa nella Sprint Cup, ma soprattutto ha portato a casa il titolo della Nationwide Series.
Carl Edwards è stato un altro dei dominatori della stagione. Ha portato a casa 9 vittorie nella Sprint Cup (contro le 7 nei precedenti quattro anni di carriera), ha lottato fino alla fine sia nella Sprint Cup contro Jimmie Johnson, sia nella Nationwide Series proprio contro Clint Bowyer, arrivando secondo in entrambe le classifiche. E soprattutto, ha salvato la stagione dallo strapotere di Jimmie Johnson quando è cominciata la Chase.
Già in molti lo vedono come il favorito per la stagione 2009. Proprio Carl Edwards e Kyle Busch sono stati tra l’altro protagonisti di uno degli episodi più clamorosi della stagione, quando si sono resi protagonisti di un duello rusticano in stile “Giorni di tuono” (il film con Tom Cruise, per chi non lo sapesse) dopo la bandiera a scacchi della gara di Dover, dove Edwards aveva beffato Busch con qualche “bussata” di troppo (a dire di Busch).
Ed arriviamo infine al vincitore della stagione, Jimmie Johnson. Il terzo titolo consecutivo conquistato, impresa non riuscita nemmeno a gente come Richard “The King” Petty e Dale “Intimidator” Earnhardt, lo ha definitivamente elevato a status di “leggenda”.
Il grande merito della stagione di Johnson, aldilà di un indubbio talento velocistico, è stata senza dubbio la costanza: a parte un sesto e due quindicesimi posti, ha terminato tutte le altre sette gare della Chase tra i primi cinque. Il regolamento della Chase l’ha sicuramente aiutato, ma lui comunque si è dimostrato abile a colpire quando contava. E non è cosa da poco.
La differenza tra lui e gli altri contender (Edwards e Busch in particolare) è che tutti e tre vincevano tante corse, ma Johnson portava a casa anche i piazzamenti quando non poteva vincere, lasciando agli altri le sportellate e i duelli al limite lecito (ed a volte oltre). Non è un caso che la corsa più problematica della stagione, la Allstate 400, con tutte le forature e la corsa interrotta ogni 10 giri, l’ha vinta lui.
I numeri parlano chiaro: 7 stagioni, 40 vittorie, 3 titoli. Sono numeri che parlano ormai di un pilota che può tranquillamente sedersi al tavolo con i grandi dell’automobilismo a stelle e strisce (e non solo). Adesso l’obiettivo è quello di fare ciò che nessuno finora è riuscito a fare: vincere quatto titoli in fila.
Lui è già pronto a farlo: “Per vincere quattro campionati in fila, se ne devono vincere tre”, ha dichiarato il suo capo-meccanico Chad Knaus 10 minuti dopo la conferenza stampa di celebrazione del titolo, mentre lo stesso Johnson dichiarava che dal suo punto di vista la nuova stagione poteva tranquillamente incominciare la settimana seguente.
Quindi per i rivali è meglio non dormire sonni tranquilli e anzi devono rimboccarsi le maniche per cercare di limitare gli errori che hanno agevolato la corsa di Johnson al titolo.