No more Nomah…

Il triste saluto di Nomar Garciaparra ai tifosi Red Sox

E' passata ormai più di una settimana dalla trade più clamorosa della stagione, il giro a quattro squadre nel quale Nomar Garciaparra è andato ai Cubs in cambio di Orlando Cabrera e Doug Mientkiewicz, i Red Sox sono nel pieno della corsa per la wildcard, eppure a Boston non si parla ancora altri che di "Nomah" (come è unanimemente chiamato dai tifosi sparsi in tutto il New England).

Lo scambio era nell'aria e non si può definire un fulmine a ciel sereno; i rapporti tra Garciaparra e la dirigenza erano da tempo "difficili", per usare un eufemismo, dopo il mancato rinnovo del contratto e gli scambi reciproci di accuse durante la telenovela della trattativa con Alex Rodriguez nello scorso inverno, e le voci di una cessione circolavano seppur sommesse già  da qualche settimana. Eppure è stato comunque un grosso choc vedere l'uomo da anni immagine e simbolo della franchigia quasi scaricato in cambio di giocatori con curriculum e potenzialità  nettamente inferiori, quasi che la società  non vedesse l'ora di liberarsi di Nomar.

E a versare ancora più benzina sul fuoco, ecco arrivare nei giorni seguenti alla trade una ennesima serie di dichiarazioni polemiche e di accuse reciproche tra dirigenza, giocatore ed agente, con Garciaparra addirittura accusato di aver ingigantito l'infortunio per accelerare lo scambio; e la stampa locale che sembrava non aspettare altro che l'ennesima telenovela (di una squadra che ne fornisce a bizzeffe ogni stagione) ci ha sguazzato a più non posso.

La tifoseria si ritrova divisa tra quelli che sostengono l'operato del GM Theo Epstein e coloro che invece ritengono che Garciaparra non doveva essere "svenduto" a metà  stagione.

Non mancano certo motivi per dare ragione al front office di Yawkey Way: era ormai diffusa la convinzione che a fine stagione se ne sarebbe andato come free agent e quindi era meglio cercare di ottenere almeno qualche giocatore in cambio; la condizione fisica era perlomeno incerta, con l'infortunio al tendine d'Achille che lo aveva tenuto fuori per oltre due mesi e dal quale sembrava non essersi del tutto ripreso; il rendimento difensivo era ritenuto da molti osservatori inferiore alla media, e si sa che per un interbase a qualsiasi livello una buona difesa è essenziale; dopo l'infortunio al polso del 2001 le medie in battuta erano calate.

D'altro canto è comprensibile chiedersi come si possa cedere un giocatore con le credenziali di Nomar, due volte miglior battitore della American League e 4 volte All-Star, sempre oltre .300 di media, appena rientrato da un infortunio ma con segnali chiari di ripresa. Garciaparra inoltre era l'autentico idolo della tifoseria, adorato da tifosi di tutte le età  sia per l'impegno e la dedizione che mostrava sul diamante, sia per la scrupolosa preparazione che svolgeva durante la off-season. Era molto ben inserito nella comunità , sorridente e ben disposto con i tifosi, uomo immagine della franchigia in tutto il New England.

Chi scrive è tifoso più che mai passionale dei Red Sox, e quanto letto negli ultimi giorni non può che lasciare perplessi. I giornali locali hanno tutti scritto di un Garciaparra simile a Dr. Jekyll e Mr. Hyde, esemplare e sorridente in pubblico e con i tifosi, scontroso con la stampa ed egocentrico e senza amici nella clubhouse, ed inoltre descritto come insofferente della pressione e della passione che permeano Beantown.

Raccapezzarsi tra tutto quanto non è facile, pur vedendo le cose con il distacco di chi si trova dall'altra parte dell'oceano, non resta che attendere ottobre e vedere chi avrà  avuto ragione; finora si è notato un Nomar perlomeno rinvigorito dal passaggio ai Cubs, mentre i nuovi arrivati non sembrano aver avuto un impatto particolare nella stagione ad oggi mediocre dei Red Sox.

L'unica certezza è che Nomah si è aggiunto alla lunga lista di coloro che se ne sono andati da Boston nel pieno della carriera in aperta polemica con la dirigenza: basti ricordare i casi più recenti di Mo Vaughn e Roger Clemens, ed andando indietro nel tempo Fred Lynn, Carlton Fisk e colui che tormenta da decenni generazioni di tifosi con la sua maledizione, il "Bambino" Babe Ruth in persona…

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