Da sin. Stewart, Johnson, Montoya e Dale Earnhardt jr.
Quello che una volta era un circo tutto locale, dei "good ol' boys", sta diventando globale, con tutte le problematiche che ne conseguono. Per la prima volta infatti, nel circuito d'elite della NASCAR, la Nextel Cup, scenderanno in pista macchine da corsa con la targa straniera. Saranno quattro stasera nella Daytona 500 al volante di una Toyota Camry.
Quella di vedere macchine straniere, a partire dalla Toyota, nelle NASCAR series è un avvenimento atteso con trepidazione da tutti coloro che sono coinvolti in questo sport, a cominciare dagli stessi costruttori americani. La preoccupazione principale? Che le immense risorse della Toyota possano portare ad un dominio giapponese di uno degli ultimi sport rimasti interamente americani. "Hanno le tasche piene di soldi e le capacità necessarie, che consentiranno alla Toyota di essere fra le prime, ma anche di pagare per tecnologia e servizi molto di più di quanto il mercato giustificherebbe", dice Jack Roush, proprietario di un team Ford.
Roush è però uno di quelli pronti a raccogliere la sfida proveniente dal team del Sol Levante, e per questo ha venduto metà del team al Fenway Sports Group, controllato dal proprietario dei Boston Red Sox John Henry, per avere a disposizione più risorse da investire sulla scuderia. "Mi sto preparando per l'assedio", ha detto Roush.
Anche i responsabili della scuderia Dodge son stati chiari al riguardo, dichiarandosi più che pronti alla battaglia, dato che conoscono bene il "nuovo" avversario. Sannno infatti come la Toyota possa essere temibile negli autosaloni come sulle piste. "Abbiamo combattuto la Toyota sul mercato per 30 anni", ha detto Mike Accavitti, direttore delle operazione del team Dodge. "È purtroppo una dura realtà , ma dovremo abituarci a dover gareggiare con la potenza economica dei costruttori stranieri. Toyota è il primo e al momento il migliore". Accavitti afferma giustamente che i costruttori americani che vorranno riuscire a mantenersi competitivi rispetto alla Toyota dovranno impegnare non poche risorse. "Questo mese per me sono 30 anni passati alla Chrysler, e la nostra filosofia aziendale è stata sempre quella che se vogliamo gettarci in una corsa a chi spende di più perdiamo sempre".
Ma Lee White, general manager del Toyota Racing Development, mette le mani avanti, affermando che la Toyota non sta impegnando tutta la sua potenza finanziaria sulle NASCAR. "L'iniziativa della Toyota nelle NASCAR è un'iniziativa americana", dice White. "È un'iniziativa più relativa ad espandere il nostro mercato in America che ad affermare una presenza globale. Parliamo quindi di un programma americano, finanziato con il soldi della subsidiary americana della Toyota".
Toyota comunque pronta a tutto, ma forse non a quello che le è successo negli ultimi giorni durante il debutto in pista per le prove ufficiali. Nell'ultima settimana infatti il brand Toyota è stato sulle prime pagine sportive USA a causa di un fattaccio legato ad uno dei suoi team. Il Michael Waltrip Racing team, che vede le Camry con alla guida lo stesso Waltrip, Dale Jarret e David Reutimann, è stato infatti beccato a barare copn il carburante, avendo aggiunto nelle sue macchine un additivo vietato durante le qualificazioni di domenica scorsa. Nelle NASCAR questo è qualcosa che proprio non si può fare, e così Waltrip e il suo team Toyota si sono beccati una delle penalità più dure nella storia delle NASCAR.
I dirigenti della Toyota erano ovviamente imbarazzati. Alla domanda posta al vicepresidente Jim Aust se quello della passata fosse un incubo, la risposta è stata: "Qualcosa di simile".
Sin dal 1999, e cioè da quando la Toyota ha iniziato a discutere con la NASCAR la possibilità di vedere la casa giapponese, la speranza era stata quella di un ingresso graduale e tranquillo: "È uno sport sul quale è tanto tempo che puntiamo. Iniziare così è un peccato. Certamente ci ha messo al centro dei riflettori".
Anche Bill Davis, proprietario di un team Toyota, è abbastanza seccato, anche se per ragioni diverse. Infatti le sue tre Toyota sono state molto veloci in prova, ma solo una, la numero 22 guidata da Dave Blaney, correrà al 500. "La Toyota ha fatto un buon lavoro, non altrettanto il Bill Davis Racing team", ha dichiarato Davis, spiegando come il team non abbia fatto quanto gli fosse possibile per rendere la macchina di Jeremy Mayfield abbastanza feloce da poter essere in gara. E anche il suo terzo pilota, il numero 23 Mark Skinner, non ce l'ha fatta, portando così a quattro su otto Toyota fuori dalla Daytona 500 di stasera. "Sono veramente imbarazzato con il Bill Davis Racing team per lo scarso lavoro fatto per questo debutto", ha detto Davis, aggiungendo che il team dovrà fare gli straordinari per essere sicuri che il numero 36 Mayfield possa essere in pista la prossima settimana in California.
Davis ha anche parlato dell'accoglienza dei tifosi americani all'arrivo di una marca straniera nelle NASCAR: "Mi sembra sia buona. A parte la reazione iniziale e qualche commento fuori posto, ai fans mi sembra piaccia questo nuovo arrivo. In fondo se andate a dare un'occhiata nei parcheggi è pieno di Toyota Camry. Perché quindi i fans non dovrebbero tifare Toyota? E poi, man mano che diventiamo uno sport sempre più globale è inevitabile che sempre più marche straniere vogliano entrare".
Ma Davis è forse un po' troppo positivo. In realtà il clima che si respira da molte parti sull'ingresso della Toyota è ben diverso. A sentire molti pare quasi che l'ingresso dei giapponesi nello sport più americano stasera venga quasi considerato un nuovo 7 dicembre 1941, data dell'attacco a Pearl Harbour. E a dirlo è stato prorio quel Jack Roush di cui parlavamo all'inizio, ma non è stato l'unico. Siti e forum sono pieni di attacchi alla Toyota e più in generale ai giapponesi. Il New York Times di ieri ha addirittura dedicato uno spazio nella sua pagina dei commenti al razzismo ed alla xenofobia che trasuda da molte analisi dell'arrivo della Toyota. Addirittura i piloti, gente come Dale Jarrett, uno dei 50 migliori della storia delle NASCAR, o Michael Waltrip, che ha già vinto a Daytona, sono stati invitati ad andarsene dagli USA con le loro macchine! Mentre Brian Vickers e Jeremy Mayfield sono stati apostrofati più volte come traditori e "bollitori di riso"
Certo, che la simbiosi tra il ventre molle sudista d'America e le Nascar sia totale è un fatto, come anche la storica partnership con l'industria automobilistica USA, un rapporto nato sull'idea che il pilota-eroe stia vincendo con la stessa macchina che tutti possono guidare sulle autostrade. Ma con un brand globale com'è oggi la NASCAR, in grado di attirare un ex campione del mondo di Formula 1 ancora giovane come Juan Pablo Montoya, è meglio che costruttori e fans inizino ad abituarsi. Un po' come nel calcio inglese, dove le squadre di Premier League vedono sempre più proprietari stranieri.
Ma alla fine stasera saranno in milioni davanti alle TV di tutto il mondo, Italia inclusa grazie a Sky. E tutte le chiacchiere e i commenti stupidi si perderanno nel rumore dei motori, e speriamo non se ne debba più parlare. Si parte.