Phil Hill, il primo pilota a stelle e strisce a vincere il mondiale di Formula 1
Non è facile creare una storia riguardante i piloti americani in Formula 1; i motivi sono molteplici e spaziano da un fattore storico - culturale: gli statunitensi hanno combattuto a lungo per una propria indipendenza e nel loro Dna c'è ancora un naturale distaccamento dagli ambienti europei.
Altri fattori vanno ricercati nella tecnica automobilistica della massima formula mondiale contro la più casereccia concezione yankee delle quattro ruote; fondamentale è stato anche il ruolo giocato dalle case americane in Formula 1 assolutamente decentrato rispetto ai colossi britannici, italiani e tedeschi.
E' tuttavia possibile trovare degli spunti per raccontarvi la storia dei piloti a stelle e strisce che hanno cercato di lasciare il segno in questa categoria: alcuni ce l'hanno fatta mentre altri hanno fatto solo apparizioni utili ad incrementare le statistiche di una Formula 1 che non ha mai e forse non farà mai innamorare il popolo d'oltreoceano.
Tutto ebbe inizio nel 1950, anno primo del campionato del mondo di Formula 1: sette gare in calendario e vittoria iridata del nostro Giuseppe (Nino) Farina a bordo di un'Alfa Romeo pressoché imbattibile. Tra gli appuntamenti c'era anche la 500 miglia di Indianapolis.
Fin da subito infatti la neonata federazione automobilistica internazionale cercò di unire la Formula 1 al campionato americano (il padre della Formula Cart) e la maniera migliore per trovare un punto in comune tra questi due mondi fu la corsa più importante del mondo, ma l'esperimento non funzionò: i piloti europei sdegnarono l'appuntamento americano e solo in pochi si presentarono alle qualifiche.
La pole position la ottenne Faulkner sulla Grant Piston e la vittoria andò a Parsons davanti ad Holland e Rose. La gara, che fu interrotta dopo 345 miglia a causa della pioggia, fu disputata da soli piloti americani che d'altra parte non parteciparono agli altri appuntamenti europei di Formula 1.
Si ritornò ad Indianapolis anche l'anno seguente, nel 1951 e la storia fu la stessa: solo statunitensi al via e nessun europeo deciso a correre; tagliarono il traguardo solo otto piloti e la vittoria andò a Wallard su Belanger (nelle prossime settimane cercheremo di capire di più sulle vetture del passato americane).
Il 1952 è in un certo senso un anno storico non per i piloti americani, ma per il nostro Alberto Ascari che riesce a convincere Enzo Ferrari a partecipare alla 500 miglia di Indianapolis. Il Drake che non ha mai apprezzato le corse d'oltreoceano spedisce pochi pezzi di ricambio all'italiano che in qualifica chiude con il 17esimo tempo. La gara di Ascari dura solo 37 minuti fino a quando il mozzo posteriore destro si rompe. La gara viene vinta da Troy Ruttman che senza saperlo diviene il più giovane pilota a vincere una gara di Formula 1: con i suoi 22 anni 2 mesi e 19 giorni riuscirà a restare in testa a questa speciale classifica per oltre 50 anni.
Nel 1953 si fa notare, sempre ad Indianapolis Bill Vukovich che a bordo della Fuel Injection trionfa in un'edizione tornata monopolio dei piloti americani.
Con i vari Fangio e Ascari praticamente sconosciuti, gli americani cominciano a seguire le imprese di Vukovich capace di trionfare anche nel 1954 mostrando grandi capacità di recupero nonostante qualifiche poco soddisfacenti.
E' proprio lui uno dei primi pionieri a stelle e strisce a cui è mancato solo il passaggio in Formula 1 (ovvero correre in gare europee) per dimostrare definitivamente il suo potenziale.
La stella di Vukovich si spegne il 30 maggio del 1955; il giorno della 500 miglia di Indianapolis: l'americano era in testa quando la sua vettura come impazzita è schizzata contro il muretto di protezione mettendo la parola fine alla sua storia. Quattro giorni prima, era morto, Alberto Ascari mentre provava la Ferrari dell'amico e collega Castellotti.
Nel 1955 la vittoria va a Sweikert davanti a Bettenhausen e Davies.
Prosegue nel 1956 l'assurdo esperimento di unire la 500 miglia di Indianapolis con la Formula 1: nessun europeo al via di una corsa caratterizzata da una pista per metà costituita dal classico pavé e per metà da asfalto. La vittoria va a Flaherty, mentre in quarta posizione si classifica il vincitore del 1950 Parsons.
Nel 1957 qualcosa comincia a muoversi: due piloti americani Schell e Gregory partecipano all'intero campionato di Formula 1: non si tratta di una semplice apparizione. In Argentina Schell conclude infatti in quarta posizione mentre a Montecarlo con la terza posizione ottenuta Gregory diventa il primo pilota americano a salire sul podio in una gara della massima Formula fuori dal proprio continente.
Ad Indianapolis vince Hanks, ma la terza e la quarta piazza dei due piloti statunitensi ottenute a Pescara a metà agosto fanno intravedere nuovi orizzonti anche a chi aveva sempre guardato con occhio critico al movimento americano in Europa.
Nel 1958, oltre a Schell partecipa al campionato anche un certo Phill Hill che riesce a trovare un posto addirittura in Ferrari. Per Hill si tratta di un anno di apprendistato che gli permette comunque di conquistare un podio a Monza alle spalle del compagno e futuro campione Hawthorn e Brooks.
Nel 1959 gli Stati Uniti decidono di istituire un appuntamento americano dedicato proprio alla Formula 1 e così, oltre alla solita 500 miglia di Indianapolis il 12 dicembre si corre l'ultima gara stagionale sulla pista di Sebring e la vittoria va a Bruce McLaren. Fu una gara leggendaria con Jack Braham che vinse il titolo mondiale dopo aver spinto la vettura rimasta senza carburante per gli ultimi 800 metri.
Nel 1960 a Monza Phil Hill diventa il primo pilota statunitense a vincere una gara in Formula 1 chiudendo davanti al connazionale Ginther e al belga Mairesse.
I primi anni '60 evidenziano uno strapotere tecnico assoluto da parte della Ferrari e il titolo del 1961 viene deciso, purtroppo tragicamente, tra due piloti del cavallino.
Phil Hill contro Von Trips: per la prima volta un americano è in grado di poter ambire al titolo iridato vincendo in Belgio e ottenendo una serie di piazzamenti importanti, ma prima dell'appuntamento decisivo a Monza, il compagno Von Trips si trovava con un vantaggio di 4 lunghezze.
Verso il termine del secondo giro sulla pista brianzola Jim Clark tocca con la sua anteriore la gomma di Von Trips che esce di pista salendo sul terrapieno e travolgendo la folla assiepata al bordo del tracciato.
Morirono una trentina di tifosi oltre al pilota della Ferrari proprio nel giorno in cui doveva ottenere il titolo mondiale.
La gara non fu interrotta e così Phil Hill diventò il primo americano a vincere il campionato di Formula 1; una gioia spezzata dalla notizia di una delle più grandi tragedie automobilistiche.
Phil Hill è dunque il primo pilota a stelle e strisce a vincere il mondiale di Formula 1, ci provò prima Ginther e poi Gurney (il futuro fondatore della Formula Cart nel 1979) senza mai andare oltre ad una quarta posizione nel 1964 alle spalle dell'insuperabile coppia britannica formata da Jim Clark e Graham Hill (padre di Damon).
Con la fine degli anni '60 i piloti americani tornarono a dedicarsi quasi esclusivamente ai loro campionati fino al 1972 quando c'è da segnalare l'ingresso in Formula 1 di Revson su una delle primissime McLaren; per lo statunitense una quinta piazza assoluta replicata anche l'anno successivo, ma è nel 1975 che si fa notare uno dei più grandi piloti americani di tutti i tempi: Mario Andretti.
Dopo alcune annate difficili l'americano riesce a conquistare il titolo mondiale nel 1978, ma anche in questo caso, come accadde nel 1961, fu Monza e un incidente fatale a portare uno statunitense verso l'alloro iridato.
Al via del Gran Premio d'Italia Ronnie Peterson fu protagonista di uno spaventoso incidente che gli costò la vita, rimasto in testa alla classifica senza avversari Andretti riuscì a gestire il vantaggio rimasto vincendo così il mondiale dopo due gare difficili negli States e in Canada.
Con la vittoria in Formula 1 Andretti tornò negli Stati Uniti per partecipare alla nuova Formula Cart e così negli anni '80 si creò una nuova separazione tra questi due mondi, una separazione ancora esistente.
Da segnalare la presenza di Michael Andretti, figlio di Mario nel 1993 in McLaren al fianco di Ayrton Senna, ma nulla più.
Ultimo pilota americano in Formula 1: Speed che nell'ultima stagione partecipò con pochi risultati al campionato, ma i tempi di Vukovich, Hill e Andretti sono lontani.
In Europa si parla di Schumacher, Alonso e Raikkonen, mentre negli States si tifa per Hornish Jr, Kanaan e Wheldon con la speranza che Irl e Champ Car tornino insieme. Storie americane, lontane dai nostri miti, ma non per questo meno affascinanti.
Da quello che si è visto la presenza degli yankee in Formula 1 è stata ciclica: anni '60 e fine '70 e non è detto che un giorno ritorni di moda. Ecclestone ha voluto e vuole l'appuntamento statunitense di Indianapolis, per motivi commerciali certo e i tifosi hanno ancora in mente la gara farsa del 2005 con il ritiro dei team gommati Michelin. Mondi davvero diversi, stili di vita differenti, ma forse proprio per questo ancora più affascinanti.