Il capitano Jonathan Toews ha condotto i Blackhawks alla finalissima
Non si può dire che Todd McLellan, allenatore dei San José Sharks, non le abbia provate tutte. Ha rivoltato la squadra come un calzino, tra un incontro e l'altro e addirittura nel corso delle partite. Nessuna linea è rimasta inalterata. Se nelle serie contro Colorado Avalanche e Detroit Red Wings i primi due terzetti offensivi non sono cambiati di una virgola, nella finale della Western Conference contro i Chicago Blackhawks, e in particolare nella terza e nella quarta partita, Joe Thornton e Joe Pavelski hanno giocato praticamente con tutti i compagni a disposizione.
Ma con risultati pari a zero. Dopo una grande serie contro Detroit, Joe Thornton è tornato a soffrire l'asfissiante marcatura degli avversari, concludendo con il misero bottino di un assist in quattro partite. Joe Pavelski, dal canto suo, ha trascinato praticamente da solo la squadra contro Colorado, ma si è spento progressivamente.
L'unico aspetto tattico che Todd McLellan non ha modificato, e forse si è trattato di un errore, è stata la difesa a sette terzini, una soluzione alla quale di solito si ricorre per distribuire più equamente i minuti di ghiaccio e non caricare troppo i grossi calibri. Ma in questo caso, Jason Demers ha giocato un totale di circa 24 minuti nelle quattro partite contro i Blackhawks, più o meno quanto i vari Rob Blake, Dan Boyle e Marc-Edouard Vlasic giocano in una sola gara. Oltre a non dare benefici a livello di minutaggio, la rotazione di sette difensori ha ovviamente obbligato gli squali a schierare solo undici attaccanti. Di volta in volta, un esponente delle prime tre linee era costretto ad andare a completare la quarta con Jamie McGinn e Scott Nichol. Con il senno di poi (ma con il senno di poi siamo tutti grandi allenatori), era forse meglio escludere Jason Demers e convocare Dwight Helminen o Jed Ortmeyer, in modo da poter far girare terzetti offensivi completi e tenere alto il ritmo.
A prescindere da tutti questi discorsi, i Chicago Blackhawks sono approdati alla finalissima perché si sono dimostrati la squadra più forte. Della compagine di Joà«l Quenneville ha impressionato la capacità di gestire i (pochi) momenti di difficoltà . Non ha mai forzato le operazioni, non si è mai lasciata sopraffare dal nervosismo. Ha continuato a proporre il suo gioco, consapevole che prima o poi ne avrebbe raccolto i frutti.
Come avevamo previsto in sede di analisi della sfida, Dustin Byfuglien è stato decisivo, realizzando ben tre reti vincenti, tra cui quella al supplementare di Gara 3. I San José Sharks hanno modificato il loro approccio nel corso della serie: nelle prime due partite, Doug Murray o Rob Blake ingaggiavano duelli senza esclusione di colpi per spostarlo dallo slot, ma non facevano altro che aumentare le difficoltà di Evgeni Nabokov, che doveva individuare il disco attraverso un groviglio di corpi. Così, dalla terza partita, gli squali hanno lasciato che Dustin Byfuglien si parcheggiasse davanti al portiere russo e hanno tentato di tagliargli i rifornimenti, chiudendo le traiettorie dei tiri e degli appoggi dalla linea blu. Ma anche la seconda soluzione è servita a poco.
E che dire del trio Dave Bolland, Kris Versteeg e Andrew Ladd? Semplicemente straordinario, la vera arma in più dei Blackhawks. Certo, Jonathan Toews e Patrick Kane si sono riproposti su livelli eccezionali, ma la terza linea d'attacco di Joà«l Quenneville si è tolta lo sfizio di annichilire quella di Joe Thornton e di contribuire offensivamente con reti pesantissime, come quella del 2 a 2 di Dave Bolland in Gara 4. I tifosi della franchigia dell'Illinois possono toccare ferro, ma questo terzetto ricorda maledettamente la linea composta da Samuel Pahlsson, Travis Moen e Rob Niedermayer che nel 2007 condusse gli Anaheim Ducks alla conquista della Stanley Cup.
A concludere un trionfale quadretto, ecco la coppia Brent Seabrook-Duncan Keith di nuovo invalicabile e un Antti Niemi che, invece di essere il punto debole della squadra, come molti prevedevano, ne è uno degli assoluti punti di forza.
È incredibile quanta differenza faccia un anno di hockey. Nel maggio 2009, i giovanissimi Chicago Blackhawks vennero sconfitti senza riguardi dai più esperti Detroit Red Wings nella finale della Western Conference. Dodici mesi dopo, i Chicago Blackhawks, sempre giovanissimi ma con un anno di esperienza in più, hanno malmenato i San José Sharks. E non hanno nessunissima intenzione di fermarsi al Clarence Campbell Bowl, il trofeo per i campioni dell'ovest, che come da tradizione Jonathan Toews ha rifiutato di toccare. Hanno già messo i loro occhi su un altro trofeo"