Nonostante l'eliminazione, la squadra di Dave Tippett merita un grandisimo applauso per la sua straordinaria stagione
Per essere bella, una storia non deve necessariamente concludersi con il lieto fine. Nel primo episodio, Rocky Balboa, tanto per restare nel mondo dello sport, viene sconfitto ai punti da Apollo Creed, ma credo che nessuno possa mettere in dubbio che il vero vincitore sia lui, lo Stallone italiano di Philadelphia.
I Phoenix Coyotes devono sentirsi così, vincitori. Dovevano fallire prima ancora di iniziare a giocare nello scorso mese di settembre, dovevano lasciare l'Arizona e trasferirsi in un mercato più hockeystico. Sono rimasti dov'erano, hanno portato a termine una strepitosa Regular Season da cinquanta vittorie e hanno messo alle corde i Detroit Red Wings nel primo turno dei Play Off.
Certo, non doveva finire così. Il 6 a 1 nella decisiva Gara 7 è un pugno allo stomaco del quale Adrian Aucoin e compagni avrebbero fatto volentieri a meno. Ma, al tempo stesso, è stata la dimostrazione che i veri fuoriclasse sono quelli che al momento giusto si presentano sul ghiaccio, quelli che giocano quando più conta.
Pavel Datsyuk, Henrik Zetterberg e Nicklas Lidstrà¶m hanno fornito di gran lunga la miglior prestazione della serie, annichilendo letteralmente gli avversari e lasciando loro nient'altro che le briciole. Per lunghi tratti si è rivista la squadra che ha fatto del possesso del disco un'arma micidiale che l'ha condotta a due finali consecutive, di cui una vinta.
I Phoenix Coyotes sono una compagine piuttosto giovane, quindi dal potenziale ancora tutto da sfruttare, soprattutto se l'eccellente Dave Tippett resterà dietro la balaustra. Ma non hanno la stessa quantità di talento da mettere sul piatto della bilancia. Le loro vittorie, anche quelle denotanti grande carattere, come quella in Gara 6 con le spalle al muro nel Michigan per forzare l'incontro finale decisivo, sono frutto quasi esclusivamente di duro lavoro, di lotta indiavolata agli angoli, di pattinaggio instancabile.
Il loro capitano, Shane Doan, purtroppo costretto a guardare dal secondo tempo di Gara 3 a causa di un infortunio alla spalla, è l'immagine fedele del loro stile di gioco. A livello di tecnica di bastone non è probabilmente tra i primi cinquanta giocatori della National Hockey League, ma in quanto a carica agonistica non è secondo a nessuno, un vero e proprio condottiero. Un condottiero che, insieme a tutti i suoi compagni, merita l'applauso di tutti gli appassionati per una stagione che nessuno, e dico nessuno, avrebbe mai osato immaginare.
I Red Wings, dunque. Saranno loro a passare al secondo turno e a giocarsi l'accesso alla finale della Western Conference con i San José Sharks. È lecito supporre che la squadra di Motor City abbia penato più di quanto nemmeno lei si aspettasse per avere la meglio sui Coyotes. Ma alla fine, eccoli qua.
Gara 7, come detto in precedenza, è stata la dimostrazione che con i vari Datsyuk, Zetterberg e Lidstrà¶m, protagonisti forse di una stagione un po' deludente per i loro elevatissimi standard, bisogna sempre fare i conti. Mike Babcock ha messo mano costantemente alla composizione delle linee per uscire dalle sabbie mobili in cui la sua squadra era finita. In Gara 4, addirittura, ha retrocesso Tomas Holmstrà¶m nel terzo schieramento offensivo, con Justin Abdelkader e Kris Draper, spostando Dan Cleary con Pavel Datsyuk e Johan Franzen per ricomporre un terzetto che l'anno scorso aveva fatto molto bene.
Passato lo spavento e ora che le ali rosse sembrano aver trovato la rotta giusta, sono pronte a navigare in acque infestate da squali famelici. E, c'è da giurarci, non naufragheranno tanto facilmente.