Ciò che resta di uno dei tanti stabilimenti dell'industria automobilistica chiusi in seguito alla crisi finanziaria
Da una delle franchigie più giovani della Lega, i Columbus Blue Jackets, a una delle più vecchie, una delle Original Six, i Detroit Red Wings. Il passo è relativamente breve, poco più di 200 chilometri. Ancora più breve, da qui, è il salto in Canada: da Detroit si scorge la città canadese di Windsor al di là del fiume Detroit.
Siamo nella capitale statunitense dell'hockey su ghiaccio, Hockeytown, come amano chiamarla gli abitanti della città . Ma prima ancora, purtroppo, siamo nella metropoli che più di tutte sta soffrendo la devastante crisi economica che partendo dagli Stati Uniti ha poi imperversato anche alle nostre latitudini.
Detroit, che deve il suo nome al termine francese "détroit", stretto, per via della sua posizione sul fiume che collega i Grandi Laghi, è da sempre considerata il capoluogo dell'industria automobilistica. Dopo che nel 1904 Henry Ford fondò la Ford Motor Company, le fabbriche spuntarono come funghi e nel corso degli anni la città accolse altre marche, dalla Dodge, alla Chrysler, alla General Motors.
Gli anni Quaranta segnarono il boom del settore. Centinaia di migliaia di americani raggiunsero Detroit dagli Stati del sud per cercarvi lavoro, imitati da lì a poco dagli europei. La città , ormai ribattezzata Motor City, era diventata la quarta più popolosa degli interi Stati Uniti e vantava una rete stradale all'avanguardia.
L'industria automobilistica subì una prima spallata negli anni Settanta con le crisi petrolifere che indussero molti consumatori a optare per veicoli stranieri di piccole dimensioni. Un duello, quello tra le ammiraglie e i classici pick-up stelle e strisce e le utilitarie straniere, che ha contraddistinto buona parte della storia del settore negli ultimi tre decenni. L'attualità non lascia dubbi su chi l'abbia vinto.
Un anno fa, General Motors e Chrysler erano alla canna del gas, sull'orlo della bancarotta, e sono rinate solo grazie al fallimento pilotato e ai milioni stanziati dall'Amministrazione di Barack Obama. Moltissimi stabilimenti hanno chiuso i battenti, trasformando alcuni sobborghi della città in vere e proprie aree fantasma.
La disoccupazione, che interessa un terzo della popolazione adulta, ha raggiunto vette impensabili, e il sindaco Dave Bing ha deciso l'abbattimento di 120'000 abitazioni rimaste disabitate dopo la partenza di molti lavoratori verso la Carolina del Sud e il Tennessee dove le case automobilistiche hanno dislocato le loro fabbriche, paradossalmente proprio gli Stati dai quali proveniva la manodopera durante gli anni d'oro di Detroit.
La crisi, e sarebbe stato strano il contrario, si nota anche sugli spalti della Joe Louis Arena, fino a qualche anno fa uno stadio da tutto esaurito sicuro, complice anche una squadra costantemente competitiva. Il pienone ormai lo si registra solo per le partite di cartello, come quella di lunedì, quando le ali rosse hanno sconfitto i Pittsburgh Penguins per 3 a 1 nella rivincita della finale dello scorso anno.
I Detroit Red Wings, a causa anche di un'infinita serie di infortuni che non ha risparmiato nessuno degli atleti più rappresentativi della rosa, si trovano a ridosso della linea che separa chi affronterà i Play Off da chi li guarderà alla televisione.
Nessuno vorrebbe pescare le ali rosse come ottava classificata nel primo turno della Post Season (chissà , forse è proprio per questo che Chicago Blackhawks e San José Sharks hanno improvvisamente e misteriosamente rallentato il ritmo di marcia), poiché con la loro esperienza Nicklas Lidstrà¶m e compagni sarebbero ostici per qualsiasi avversario.
E una nuova avventura fino alle porte del trionfo potrebbe essere una piccolissima consolazione per una popolazione che, nella crisi e nello sconforto, resta orgogliosissima della sua Hockeytown.