Espen Knutsen, qui in formato allenatore, ha giocato quattro stagioni a Columbus
È incredibile come l'essere umano abbia sempre bisogno di una tragedia o di una tragedia sfiorata per reagire e correre ai ripari. Mai una volta che riconosca il pericolo e adotti preventivamente le necessarie contromisure.
Ciò vale nella vita di tutti i giorni (basti pensare per esempio a quante volte un tratto di strada pericoloso viene "bonificato" solo quando ormai è troppo tardi e il morto ci è già scappato), ma anche nello sport.
Chi segue la National Hockey League sa che nel recente incontro annuale tenutosi a Boca Raton (Florida) tra i General Manager delle trenta franchigie non si è praticamente parlato d'altro che delle cariche alla testa. Questo perché, pochi giorni prima, Matt Cooke dei Pittsburgh Penguins aveva pensato bene di abbattere Marc Savard dei Boston Bruins con una spallata indirizzata direttamente al capo e, graziato da una lacuna del regolamento, non era stato né penalizzato né squalificato. Le regole ufficiali considerano infatti legale una carica portata con la spalla direttamente alla testa di un avversario, sempre che il gomito non venga sollevato e i pattini rimangano a contatto con il ghiaccio. Vedere Marc Savard esanime sul ghiaccio deve aver indotto le alte sfere della Lega a chinarsi sul problema. Meglio tardi che mai, la tragedia è stata solo sfiorata.
Purtroppo non si può dire lo stesso di quanto accaduto quasi esattamente otto anni or sono a Columbus, capitale dell'Ohio, che dal 2000 ospita i Blue Jackets.
Il 16 marzo 2002 i Columbus Blue Jackets di Ray Whitney, Mike Sillinger, Espen Knutsen e David Vyborny ospitano i Calgary Flames di Jarome Iginla, Craig Conroy, lo stesso Marc Savard e Derek Morris. La squadra allora allenata da Dave King è appena alla sua seconda stagione nel massimo campionato professionistico nordamericano e quel campionato lo finirà con soli 57 punti, tuttora il peggior risultato della sua storia. Ma non è per la debolezza della compagine dell'Ohio che la stagione 2001-2002 è restata nella memoria di tutti.
Durante una rara sortita offensiva, il centro norvegese Espen Knutsen, uno degli attaccanti di maggiore talento della squadra di casa e uno dei più riconoscibili, vista la fluente capigliatura bionda, indirizza un violento tiro verso la porta dei Flames. Derek Morris, che oggi milita nei Phoenix Coyotes, riesce a deviare il disco e ad alzarne la traiettoria, rendendolo innocuo per Roman Turek, estremo difensore della compagine canadese.
Il puck, per nulla rallentato dall'intervento di Derek Morris, finisce oltre il vetro alle spalle della porta. Affonderebbe nella rete di protezione, se solo ce ne fosse una. Ma no, nel 2002 non erano obbligatorie. Costringere gli spettatori a gustarsi la partita sbirciando tra le maglie di una rete? Siamo matti?
E così, il disco si schianta contro la tempia sinistra di Brittany Cecil, una ragazzina di Dayton, a una cinquantina di chilometri da Columbus, che per il quattordicesimo compleanno che avrebbe festeggiato due giorni dopo aveva ricevuto in dono dal papà un biglietto per vedere i Blue Jackets. Benché il colpo le abbia provocato la frattura del cranio, la piccola Brittany raggiunge sulle sue gambe il pronto soccorso della Nationwide Arena e da lì, mentre la partita prosegue, viene trasformata in ambulanza all'ospedale pediatrico cittadino.
Giunta al nosocomio, perde conoscenza, ma il giorno dopo tutto sembra andare per il meglio: Brittany comunica con parenti e personale medico, non ha dolore né vertigini. Incredibilmente, tuttavia, i controlli ai quali era stata sottoposta non consentono di rilevare una lacerazione dell'arteria vertebrale, che il 18 marzo, giorno del suo compleanno, si trasforma in un'emorragia cerebrale. Brittany Cecil muore 48 ore dopo essere stata colpita dal tiro di Espen Knutsen deviato da Derek Morris.
Ma i responsabili non sono Espen Knutsen e Derek Morris. L'hockey su ghiaccio si gioca con un disco di gomma vulcanizzata molto dura del peso di circa 160 grammi che viaggia spesso ben oltre i cento chilometri orari. I pannelli di vetro alle spalle delle porte, ossia l'area verso la quale si scagliano i tiri più potenti, sono troppo bassi per proteggere adeguatamente gli spettatori alle loro spalle.
Non servivano studi universitari inarrivabili per accorgersene. È stata invece necessaria la morte di una bambina di quattordici anni per rendere obbligatorie le reti di protezione in tutti gli stadi a partire dalla stagione 2002-2003.