Cam Neely è stato il prototipo del Power Forward moderno
Se Long Island è stata la culla di due delle operazioni di mercato meno riuscite dell'ultimo mezzo secolo, la splendida Boston, città dai chiari tratti europei situata circa 350 chilometri più a nord sulla costa atlantica, ha prodotto uno dei colpi più a senso unico della storia.
Tra la fine degli anni Sessanta e l'inizio degli Ottanta, i Boston Bruins erano soprannominati Big Bad Bruins. In campionato rivaleggiavano con i Broad Street Bullies di Philadelphia, e non certo a suon di complimenti reciproci, anche se sarebbe sbagliato porli sullo stesso piano degli "orchi" della Pennsylvania. Il loro nomignolo era dovuto a una straordinaria intensità di gioco, a un fore-checking asfissiante che portava ogni azione a concludersi con una carica alla balaustra. Gli avversari venivano presi per sfinimento.
Certo, anche i Big Bad Bruins avevano le loro derive violente, come il 23 dicembre 1979 al Madison Square Garden di New York. Alla sirena finale di una partita che aveva visto gli ospiti imporsi per 4 a 3, Al Secord, rude ala sinistra dei Bruins, colpisce a tradimento Ulf Nilsson, reo di avergli riservato lo stesso trattamento durante l'incontro. Come è facile immaginare, ne nasce una mischia furibonda a ridosso delle balaustre laterali.
Mentre i giocatori si spiegano a modo loro sul ghiaccio, un tifoso dei Rangers si sporge da sopra il plexiglass, colpisce Stan Jonathan con un giornale arrotolato e gli sfila il bastone dai guantoni. La storia potrebbe finire lì, ma Terry O'Reilly, che alla fine di quella stagione avrebbe collezionato ventidue risse, record personale, non è d'accordo. Scavalca il vetro e rincorre il tifoso sugli spalti, presto seguito da tutti i suoi compagni, tranne Gerry Cheevers, il portiere, che era già negli spogliatoi. E giù botte.
Sei anni dopo, al termine della stagione 1984-85, la dirigenza di Boston è alla ricerca dell'erede dello stesso Terry O'Reilly, che aveva deciso di chiudere la carriera. Serve un marcantonio da piazzare nel cuore del terzo avversario, che sappia avanzare come una ruspa e, perché no, garantire un buon bottino di reti.
I Bruins sono disposti a sacrificare Barry Pederson, centro dallo straordinario potenziale. Il 25enne di Big River (Saskatchewan) ha già al suo attivo due stagioni da oltre cento punti ma la franchigia del Massachussets è convinta che difficilmente tornerà a quei livelli dopo due interventi chirurgici per rimuovere un tumore dalla spalla. E così, il 6 giugno 1985, Barry Pederson sale su un aereo per Vancouver, dove i Canucks muoiono dalla voglia di abbracciare finalmente un attaccante prolifico dopo aver concluso la stagione con la terza peggior produzione offensiva. In cambio, la compagine canadese spedisce alla controparte una prima scelta al draft del 1987 e una giovanissima ala destra, Cam Neely.
Selezionato con la nona scelta assoluta nel 1983, Cam Neely aveva rallentato notevolmente il suo sviluppo hockeystico dopo un promettente inizio in maglia Canucks, ma l'allora ventunenne attaccante di Comox, nella Columbia Britannica, corrispondeva all'identikit dell'atleta cercato dai Boston Bruins. Non si sbagliavano.
Mentre la carriera di Barry Pederson continua la sua inesorabile parabola discendente che l'avrebbe portato a lasciare Vancouver nel 1989 e addirittura l'hockey agonistico nel 1992, Cam Neely inanella stagioni da 36, 42, 37, 55 e 51 reti. Ma è la sua ferocia a renderlo presto una leggenda agli occhi dei tifosi di Boston. Se il suo tiro, di rara potenza e precisione, è letale, Neely sa essere altrettanto devastante con terrificanti cariche alla balaustra e, quando serve, a cazzotti. È l'archetipo dell'odierno Power Forward.
A oltre vent'anni di distanza, i General Manager delle squadre in cerca di un attaccante che abbini straordinare doti tecniche a un'impressionante stazza fisica descrivono ciò di cui hanno bisogno come un giocatore "alla Cam Neely".
Il loro Cam Neely, i Boston Bruins lo hanno pescato praticamente dal nulla, approfittando di una franchigia che, come troppo spesso accade, non ha la pazienza necessaria per aspettare che sbocci il talento dei giovani cresciuti in casa.