Shane Doan è la bandiera dei sorprendenti Phoenix Coyotes di questo inizio di stagione
Cominciavamo ad abituarci al muggire del Pacifico, compagno di viaggio ormai da un mese. Lungo l'Interstatale 10, che da Los Angeles taglia verso est, siamo circondati da un altro tipo di oceano. Di sabbia. Stiamo attraversando il Deserto di Sonora, un'enorme distesa di sabbia che ci terrà compagnia, per modo di dire, fino a Phoenix, capitale dello Stato dell'Arizona.
Vicino a Phoenix, a una quindicina di chilometri, ecco Glendale, dal 2003 casa dei Coyotes. Inutile ricordare che la franchigia non se la sta passando troppo bene. Ma non abbiamo alcuna intenzione di tornare su un argomento, quello della possibile bancarotta, del possibile trasferimento in un'altra città , ormai trito e ritrito, e già affrontato anche su questo sito.
È indubbio che dal 1996, anno in cui i Winnipeg Jets traslocarono in Arizona e diventarono i Phoenix Coyotes, la squadra attualmente allenata da Dave Tippett non sia mai riuscita a destare l'interesse della popolazione, più propensa a seguire gli Arizona Cardinals del football e i Phoenix Suns del basket.
D'altra parte, però, è altrettanto indiscutibile che i risultati non abbiano mai invogliato gli abitanti di Glendale e dintorni, se non le tante persone trasferitesi in Arizona dagli Stati del nord, a precipitarsi alla Jobing.com arena per ammirare la compagine di casa. I Coyotes non sono mai riusciti a superare il primo turno dei Play Off e dalla stagione persa a causa dello sciopero nel 2004 hanno concluso la stagione regolare con al massimo 83 punti, senza mai assaporare la Post Season.
E se non fosse una questione geografica? Se il problema non fosse da ricercare nel solito discorso dei mercati poco propizi a una disciplina come l'hockey su ghiaccio? In fondo nel 2004 Tampa sembrava la patria di questo sport quando i Lightning furono protagonisti di quella straordinaria cavalcata fino alla Stanley Cup. Lo stesso ragionamento vale per Anaheim, persino per i Florida Panthers quando nel 1996 trascinati da Pavel Bure contesero la finalissima, perdendola, ai Colorado Avalanche. Insomma, un prodotto vincente sul ghiaccio potrebbe convincere anche i più scettici a dare una chance, anche se solo temporanea, a questo strano sport con pattini e bastoni.
Se così fosse, i Phoenix Coyotes hanno iniziato il campionato 2009-10 con il piede giusto. La squadra giovanissima che l'anno scorso è rimasta aggrappata alla zona Play Off fino alla pausa per l'All Star Game ha lasciato il posto a una compagine con maggiore equilibrio tra talenti in attesa di sbocciare e gente più esperta, se non proprio vecchi marpioni.
Ragazzi come Kyle Turris, Kevin Porter, Mikkel Boedker e Viktor Tikhonov, che l'anno scorso forse erano stati lanciati prematuramente allo sbaraglio, stanno acquisendo preziosa esperienza con i San Antonio Rampages dell'American Hockey League. Al loro posto, Dave Tippett può schierare Matthew Lombardi, Scottie Upshall e Petr Prucha, già arrivati in Arizona sul finire della passata stagione, e i nuovi acquisti Robert Lang, Vernon Fiddler e Taylor Pyatt, senza contare il cavallo di ritorno Radim Vrbata.
I risultati sono ben al di sopra delle attese e il pubblico ha risposto con entusiasmo, per esempio con un rarissimo tutto esaurito in occasione della prima uscita casalinga. Intendiamoci, Phoenix non si trasformerà mai in una Montréal del sud. Ma se Shane Doan e compagni continueranno a esprimersi su questi livelli, può darsi che l'hockey su ghiaccio in Arizona non resti soltanto una traccia sulla sabbia del Deserto di Sonora che il vento minaccia di portarsi via da un momento all'altro.