In mezzo a quei nomi ci saranno anche quelli dei Penguins 2009: i Campioni sono loro!
La Stanley Cup viene portata da due funzionari in guanti bianchi presso il banchetto allestito sul ghiaccio della Joe Luis Arena. Marian Hossa la vede. Lontanissima, ancora irraggiungibile.
Il pacato Sidney Crosby non riesce a non sorridere, e con l'andatura scialba dettata dal ginocchio in fiamme, la prende, fa la foto di rito, e la alza. I Pittsburgh Penguins sono campioni per la terza volta nella loro storia. Dopo il capitano alzeranno la coppa i veterani Gonchar, Gill, Staal, Fedotenko, Satan, le stelle Fleury e Malkin, Cooke, Kunitz, ma soprattutto Maxime Talbot.
Il canadese non si aspettava certo di divenire il simbolo di una squadra che ha tirato fuori una profondità di roster incredibile proprio quando serviva di più. Nel secondo periodo sfrutta il forechecking di Chris Kunitz, che gli recapita il puck davanti al goalie avversario. Fintando il rovescio gli apre un pertugio tra i gambali, riempito poi dal disco per il goal dell'1 a 0.
Più tardi si ritroverà in un due contro uno, in cui il colpevole Chris Osgood gli lascia buona parte dello specchio per concludere a rete per la seconda volta. Le marcature di distacco sono ora due, e nessuno ci dà particolare peso quando dall'altra parte c'è un Henrik Zetterberg ispiratissimo ed una batteria di difensori offensivi senza rivali anche in NHL.
Ma soprattutto, il capitano è fuori dal match. All'inizio del secondo terzo la sua gamba sinistra rimane tra la balaustra ed il fisico statuario di Johan Franzen. Il risultato sono 20 secondi di zoppichìo per il campo ed il rientro in panchina, dove Sid rimarrà per tutto il resto della partita, salvo una fugace apparizione nell'ultimo parziale.
Parziale che vede una Detroit ancora caricata a salve. Il conto dei tiri è fino alla seconda sirena 17 pari, ma Pittsburgh sembra poter essere molto più pericolosa. Anche nell'ultimo periodo Ruslan Fedotenko ed Evgeny Malkin hanno due fantastiche occasioni per chiudere il conto, ma il primo è in ritardo su una passaggio al centro ed il secondo trova un'ottima parata di Osgood quando ormai tutti in Pennsylvania avevano già stappato lo champagne. Ma i tifosi dovranno sudarselo questo calice trionfale.
Quando mancano 8 minuti alla fine, sempre sul 2 a 0 per i pinguini, sembra ne manchino 80. I difensori dei rossi (Ericsson, Lidstrom, Rafalski, Kronwall) sono sempre più avanti, sempre più vicini alla gabbia ospite. I loro tiri sono spesso deviati verso l'alto dalle stecche dei futuri campioni, ma il goal è quantomeno nell'aria.
Johnathan Ericsson, con 6 minuti sul cronometro trova lo spiraglio giusto, una deviazione difensiva tiene il suo puck basso, e le luci dell'occhio di bue illuminano un Red Wing per la prima volta in serata. Prevedibilmente, è psicosi per Pittsburgh!
Arrivano tiri da tutte le parti, Pavel Datsyuk non ci sta e tenta in ogni modo di scassinare il forte eretto da Dan Bylsma per l'occasione.
Uno di questi tiri (saranno 8 nel parziale, tutti pericolosissimi), viene ancora deviato ed incoccia sulla traversa, a poco più di un minuto dalla fine. Lassù qualcuno ama i Penguins, ed il goalie ospite accarezza con mano tremolante la sommità della sua gabbia che lo salva da un Overtime che sarebbe stato critico.
Non è ancora il caso di nominare il goalie di Pittsburgh, perchè quello che farà di lì a poco ha del paranormale, ed è più giusto dire il suo nome in tale occasione.
A 30 secondi dalla fine Detroit mette in panca il proprio portiere, e Pittsburgh, pur avendo un paio di buone occasioni, non chiude la contesa con un empty-net goal. Il gioco, in quei 30 secondi, verrà fermato tre volte. Prima il puck esce dal campo e raggiunge i tifosi in rosso sulle tribune, poi viene fermato da quel goalie di cui per ora non diciamo il nome, ed infine Brooks Orpik ci plana sopra fermandolo quando due o tre avversari lo caricano dietro la sua porta.
Con 7 secondi da giocare, il faceoff è vinto da Detroit. Dopo un minimo di circolazione, un difensore prova l'ennesima conclusione nello specchio, che incoccia in un gambale avversario. Il puck giunge alla stella svedese, quel Zetterberg che ancora per qualche minuto è il detentore del Conn Smythe Trophy, che inquadra la porta. Un brivido sulla schiena di tutti al palazzetto quando viene respinto il tiro, ma la speranza è incredibilmente viva visto che il disco giunge a Nicklas Lidstrom, capitano di mille battaglie sul ghiaccio, che, solo soletto, ed a porta sguarnita, può dare il supplementare ai suoi. Indirizza il cilindretto sotto l'incrocio dei pali, con la precisione che solo lui pensa di poter avere a 2 secondi dalla fine di una partita già leggendaria.
Marc-Andrè Fleury, ed è decisamente giunto il momento di nominarlo, si butta a peso morto da quella parte. Il dischetto nero si perde nel bianco della sua felpa da gioco, e ricade sul ghiaccio. L'ultima tappa del grande viaggio dei Penguins verso la Stanley Cup si conclude con la giocata più spettacolare possibile. Tutti i pinguini corrono dal loro goalie, che ha tutta la fretta di togliersi il casco e mostrare al pubblico della Joe Luis chi è stato a strappar loro di mano il trofeo più ambito in qualsiasi sport.
Malkin scrive il suo nome sulla coppa più prestigiosa, così come lo scrive sul Conn Smythe, annualmente donato al miglior giocatore dei playoff.
E' stata una partita decisa dalla panchina di Pittsburgh. Bylsma ha dato ai suoi il preciso ordine di non far ragionare i Red Wings, sporcando le diagonali di passaggio, anche solo con la sola stecca. Poi ha ordinato anche di fare goaltending ogni volta che qualcuno dei rossi provava il tiro dalla blu, e pochi puck sono arrivati a Fleury.
Inoltre, in attacco ha detto ai giocatori che allena da 4 mesi di superari con i lanci i difensori e rincorrere il puck in profondità , puntando sulla velocità , ed evitando in questo modo inutili cariche subite dagli avanti.
Capolavoro? No, forse no, però bella lezione per Babcock, che fallisce una gara 7 casalinga dopo che le Stanley assegnate all'ultima partita erano sempre andate alla squadra di casa, perlomeno negli ultimi decenni.
Mario Lemieux solleva la sua terza coppa, stavolta da proprietario, e la pausa di Geno, che quando Lemieux alza il trofeo ferma l'intervista che stava concedendo per urlare qualcosa all'ex giocatore, la dice lunga su quale spirito di squadra ci sia a Pittsburgh.
Cosa che si è vista in questa gara 7, dove sono mancati sia lui che Crosby, ma dove c'è stato un Talbot superlativo che ha regalato il trionfo finale.
Detroit si lecca le ferite, delude il suo esigentissimo pubblico, e paga la minore voglia di un alloro rispetto alla compagine dall'altro parte del rink. Voglia che Hossa avrebbe, ma che, anche per quest'anno non ha visto soddisfatta. Fosse rimasto con i Pens, forse…
E' stata una notte emozionante, uno spot per l'hockey a livello mondiale. E' stata la notte che ha chiuso una stagione fantastica, la notte che ha sancito la prima vittoria della coppia Sid-Geno.
Il numero 87 è il primo ad indottrinare i compagni sul segno da fare nella classica foto di gruppo con il trofeo: dito indice alzato, come a dire: "Questa è solo la prima!".
Ne siamo sicuri Sidney, ne siamo sicuri.