Giocare con la testa

Patrice Bergeron disteso sul ghiaccio. Una scena che purtroppo si è ripetuta di recente.

Le immagini di Patrice Bergeron disteso sul ghiaccio dopo lo scontro, per altro apparentemente innocuo, con Dennis Seidenberg dei Carolina Hurricanes sono entrate nelle case di tutti gli appassionati di hockey su ghiaccio. Fermo restando che un infortunio del genere non si augura a nessuno, è scontato che siano stati molti a pensare: "No, non ancora lui".

Il 23enne centro di Ancienne-Lorette (Québec) ha saltato buona parte della scorsa stagione a causa di una gravissima commozione cerebrale patita in seguito a una carica alla balaustra di Randy Jones dei Philadelphia Flyers. Quest'anno, dopo mesi, aveva potuto festeggiare il suo tanto sospirato ritorno sul ghiaccio, ma è bastato un impatto neanche tanto violento a centropista per metterlo di nuovo fuori combattimento.

Il tema delle commozioni cerebrali e, in particolare, delle conseguenze a lungo termine è stato ampiamente dibattuto negli ultimi anni. Fuoriclasse come Eric Lindros hanno visto la loro carriera accorciarsi tremendamente a causa dei troppi e ripetuti colpi alla testa. Keith Primeau, dopo aver tentato a lungo di riprendere a giocare, ha dovuto darsi per vinto e appendere i pattini al fatidico chiodo e oggi, a diversi anni di distanza, talvolta è ancora colto da vertigini al minimo sforzo.

Simon Gagné, che come Patrice Bergeron ha visto dalla tribuna la quasi totalità  del campionato 2007-08 a causa di due commozioni cerebrali nell'arco di poche settimane, sta giocando egregiamente in questa stagione, ma a ogni scontro il Wachovia Center di Philadelphia trattiene il respiro. Qualche settimana fa, il General Manager dei Flyers Paul Holmgren aveva dovuto presentarsi di persona a una conferenza stampa per confermare che l'assenza di Gagné da una partita era dovuta a una semplice influenza, e non a una ricaduta.

I tre esempi riportati (ma ce ne sarebbero moltissimi altri) concernono tre campionissimi, tre atleti da prima pagina. Ma la piaga delle commozioni cerebrali è forse ancor più devastante tra i meandri delle terze e quarte linee di una squadra. Il motivo è semplicissimo: i fuoriclasse possono permettersi di recuperare da qualsiasi infortunio in tutta tranquillità , consapevoli che il posto in squadra e il contratto milionario sono garantiti.

Gli agitator, i fighter, no. Non hanno uno stipendio che consenta loro di vivere di rendita alla fine della carriera e sono facilmente rimpiazzabili con altri pesi massimi. Devono quindi restare aggrappati al posto in squadra come a una scialuppa di salvataggio, nascondendo quando possibile gli infortuni. Un recente servizio del settimanale "The Hockey News" ha spalancato le porte di un mondo subalterno a quello rose e fiori della NHL che conosciamo noi. Un mondo nel quale ragazzi che giocano due-tre minuti a partita mettono a repentaglio la loro stessa vita pur di non perdere l'opportunità  di calcare il massimo palcoscenico mondiale.

L'inchiesta della rivista canadese rivela che molti di questi guerrieri delle piste da hockey sono ormai in grado di mascherare le commozioni cerebrali più leggere, inducendo i responsabili sanitari, che per loro forse non hanno lo stesso occhio di riguardo garantito ai big, a dare luce verde per la partita successiva. Alla lunga, la somma di tutti questi colpi alla testa si fa sentire, anche drammaticamente.

Ryan VandenBussche, ala destra di New York Rangers, Chicago Blackhawks e Pittsburgh Penguins dalla metà  degli anni Novanta a tre stagioni or sono, in un'intervista a cuore aperto ha dichiarato per esempio che al tramonto della sua carriera quando si trovava sulla panchina dei puniti era costretto a riguardare l'azione al rallentatore sullo schermo gigante per ricordare che cosa aveva combinato per trovarsi lì.

Porre un freno al problema sarà  sempre più difficile. Il disco su ghiaccio, inutile dirlo, è una disciplina che fa del contatto fisico uno dei suoi principali atout. Con il passare dei decenni, i progressi tecnici e scientifici hanno reso gli atleti più potenti e veloci, ma le dimensioni della pista sono rimaste invariate.

Ed è lo stesso progresso tecnico che ha reso pericoloso un equipaggiamento che paradossalmente dovrebbe essere adibito alla protezione. I paragomiti e i paraspalle, un tempo in gomma piuma rinforzata, hanno ora inserti in carbonio che li rendono sì resistentissimi alle discate e alle bastonate, ma anche durissimi all'impatto con le teste altrui.

Per quanto possa sembrare cinico affermarlo, l'hockey spettacolare che amiamo noi, quello tutto velocità  e forza fisica, lascerà  inermi sul ghiaccio altri giocatori come Patrice Bergeron. C'è poco da fare. Ma evitare che dei ragazzi si gettino alla sbaraglio prima ancora di aver smaltito una commozione cerebrale, questo sì, è un obbligo.

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