Il nuovo Wayne Gretzky in azione…
Se in generale è corretto sostenere che un allenatore deve essere stato giocatore così da capire determinate situazioni vissute dai propri atleti e particolari dinamiche che si creano all'interno di uno spogliatoio, è sbagliatissimo dare per scontato che un fuoriclasse possa tramutarsi automaticamente in un tecnico con i fiocchi.
Fino a dodici mesi or sono, quest'affermazione calzava a pennello per Wayne Gretzky. Il giocatore più forte di tutti i tempi, detentore di tutti i record possibili e immaginabili, ambasciatore dell'hockey in California, dotato di una visione di gioco, di un'intelligenza tattica e di un opportunismo mai visti, si era trovato ad arrancare dietro la balaustra quando, nell'estate 2005, assunse la carica di allenatore dei Phoenix Coyotes, di cui è comproprietario.
Per chi in una frazione di secondo convergeva verso il centro e scaricava con una facilità impressionante un polsino incrociato nel sette, per chi si appostava dietro la porta avversaria, l'ufficio di Gretzky, e faceva filtrare passaggi attraverso pertugi che solo lui riusciva a vedere, poteva sembrare facile amalgamare un discreto gruppo di talenti e lottare per lo meno per i Play Off.
E invece, per due stagioni i Phoenix Coyotes sono stati un ammasso di individualità senza una parvenza di sincronia nei movimenti. Ladislav Nagy (ora a Los Angeles), uno degli attaccanti più anarchici della NHL, ci ha messo del suo, ma persino colleghi più disciplinati come Mike Comrie (ora ai New York Islanders) e Geoff Sanderson (ora agli Edmonton Oilers), per non parlare di Shane Doan, sembravano spesso caracollare per il ghiaccio senza sapere dove andare.
Come se non bastasse, Gretzky faticava a gestire la personalità hollywoodiana di Jeremy Roenick e non di rado perdeva la testa nei momenti topici degli incontri, procurando alla squadra inutili penalità per le rimostranze nei confronti degli arbitri.
Insomma, quando l'estate scorsa il nuovo General Manager Don Maloney ha smantellato l'organico e costruito una squadra di giovani di belle speranze attorno al capitano Shane Doan, i dubbi sull'adeguatezza della guida tecnica per un compito di formazione così importante sono cominciati a trapelare. Se Gretzky ha fallito con una squadra da Play Off, che cosa combinerà ora? La sua mancanza di esperienza non rischierà di bruciare i numerosi talenti che si affacciano timidamente sul palcoscenico principale?
Ebbene, la prima sessantina abbondante di partite ha fatto ricredere la maggior parte degli scettici, a partire da chi sta scrivendo. Il Wayne Gretzky allenatore ha dimostrato una calma che finora, nella sua breve carriera dietro la balaustra, era sempre rimasta negli spogliatoi, e i Coyotes praticano un gioco a tratti brillante.
La copertura difensiva, basata su schemi basilari ma ben applicati, è efficace ed è diventata ancor più impermeabile con l'arrivo di Ilya Bryzgalov da Anaheim. La mano dell'allenatore si vede soprattutto nelle prestazioni di Derek Morris, maturato tantissimo nella fase difensiva. Tra i colleghi di reparto, Zbynek Michalek, fratello dell'attaccante dei San José Sharks, si è issato di diritto tra i difensori giovani più completi della Lega.
L'organico dell'attacco suscitava le maggiori perplessità . Nei pronostici della vigilia, Shane Doan avrebbe dovuto cantare e portare la croce: i giovani che lo circondavano erano sì promettenti, ma pochi di loro sembravano già pronti ad assumersi la responsabilità di più di 15 minuti di ghiaccio.
Chi l'avrebbe mai detto, invece, che per lunghi tratti di stagione sarebbero stati proprio i ventenni a trascinare i compagni più esperti? Se nessuno di loro dispone neppure lontanamente del talento di un Sidney Crosby o di un Alexander Ovechkin, i vari Peter Mueller, Martin Hanzal e Daniel Winnik sono tre centri con caratteristiche molto diverse che, nell'economia di una squadra, formano un pacchetto prezioso quanto un unico fuoriclasse.
Peter Mueller, classe 1988, dotato di grande rapidità di movimento ed elegante nel pattinaggio, ha qualcosa in più dei compagni sul piano offensivo, anche se la sua posizione quando sono gli avversari in possesso del disco è migliorabile (e ci mancherebbe, vista l'età ). I suoi 44 punti in 66 partite sono manna dal cielo per una formazione che fino all'anno scorso doveva affidarsi ai soliti noti per infilare il portiere nemico.
Martin Hanzal, ceco classe 1987, è meno letale sul piano offensivo ma probabilmente del trio è quello con i margini di miglioramento più ampi. La tecnica di bastone non si discute, ma a impressionare è il fisico, che sa usare con grande efficacia tanto nel fore-checking quanto nel piazzarsi davanti alla porta avversaria.
Daniel Winnik, classe 1985, gode di minore visibilità rispetto ai compagni, ma il suo lavoro non è meno prezioso, anzi. Il suo compito è prevalentemente difensivo e lo svolge con una disciplina non comune per un ragazzo di 23 anni. Finisce le cariche alla balaustra senza lasciarsi trascinare fuori posizione e riesce a contenere le penalità inutili nelle quali inevitabilmente si rischia di incorrere quando ogni sera si gioca contro i migliori attaccanti della Lega.
Attorno a Mueller, Hanzal e Winnik, Wayne Gretzky è stato bravissimo a costruire un attacco che può contare sulle reti di Shane Doan e di un Radim Vrbata mai così prolifico, sulla disciplina di Steven Reinprecht e Niko Kapanen, e sui muscoli di Craig Weller e Daniel Carcillo.
Forse i Phoenix Coyotes non riusciranno a qualificarsi per i Play Off (al momento sono a tre punti dall'ottavo posto), ma Wayne Gretzky, il giocatore più forte di tutti i tempi, il detentore di tutti i record possibili e immaginabili, ha dimostrato di sapere il fatto suo anche dall'altra parte della balaustra. Per i tifosi al caldo soffocante del deserto dell'Arizona, il bello deve ancora venire.