Henrik Zetterberg dei Red Wings
C'era una volta una Division disastrata, terreno di conquista per chiunque. Una Division che stappava champagne se mandava ai Play Off più di una squadra e che, anzi, veniva presa a esempio per dimostrare che l'attuale assurda formula del campionato con otto partite intradivisionali non funziona. Ebbene, quella Division, sì proprio la tanto bistrattata Central Division, a questo punto del campionato è una delle più competitive.
Non ci credete? Date un'occhiata alla classifica.
L'Atlantic Division alla vigilia era considerata di altissimo livello?
Vero, ma i Flyers faticano a mettere insieme due vittorie di seguito e i Penguins solo recentemente sono riusciti ad arrampicarsi sopra la soglia del 50%.
Nella Northeast i senatori (pur inciampando spesso di recente) stanno dominando?
Vero, ma i Maple Leafs sono alle prese con l'ennesima, deludente stagione e i Sabres faticano a riprendersi dalla rapina subita durante il mercato estivo.
Dalla Southeast sono usciti due degli ultimi tre campioni?
Vero, ma a parte gli Hurricanes, le altre quattro compagini faticano a stare a galla.
La Northwest è da sempre una delle più equilibrate e spettacolari?
Vero, ma Oilers e Flames sono un'autentica delusione e gli Avalanche sono piuttosto discontinui.
La Pacific è la casa dei campioni in carica? Vero, ma è anche la casa dei Coyotes e dei Kings"
Le squadre della Central Division, invece, si trovano tutte sopra la fatidica soglia del 50%, che nell'hockey a stelle e strisce tende a dividere i buoni dai cattivi.
Che i Detroit Red Wings siano lassù, a guardare tutti dall'alto, non è affatto una sorpresa. L'ermeticità di una difesa guidata dall'eterno Nicklas Lidstrà¶m, dal sempreverde Chris Chelios, dal nuovo arrivato Brian Rafalski (grande acquisto) e da talenti emergenti come Niklas Kronvall consente a Dominik Hasek e più spesso a Chris Osgood di trascorrere serate tranquille, con meno di venti tiri da respingere.
L'attacco, poi, è al tempo stesso disciplinato e implacabile, all'immagine di Henrik Zetterberg (in questo momento forse il miglior giocatore della Lega) e Pavel Datsyuk, tanto bravi a infilare i portieri avversari quanto a difendere il proprio in inferiorità numerica.
Ma se fino all'anno scorso si poteva (a ragione) affermare che il calendario favoriva le ali rosse con ben 32 partite da giocare contro squadre, eufemisticamente parlando, poco competitive, oggi il primato della compagine del Michigan è al riparo da questo tipe di "accuse".
La squadra di Mike Babcock è infatti uscita sconfitta da ben sette degli undici scontri diretti giocati finora contro le rivali della Central. Rivali che, tra aspiranti al Calder Trophy per il miglior rookie e veterani con ancora diversi galloni di benzina nel motore, sono più agguerrite che mai. Certo, ben difficilmente vinceranno la Stanley Cup, ma intanto è bello non doverle stralciare dalla corsa ai Play Off dopo un quarto di Regular Season.
I St. Louis Blues, reduci da un'eccellente striscia di risultati utili, sono i primi antagonisti dei Red Wings. Sospinta da una prima linea in grande spolvero composta da Brad Boyes (grazie Boston), Keith Tkachuk e Paul Kariya, la squadra di Andy Murray è particolarmente efficace tra le mura di casa, dove il tecnico è indubbiamente uno dei migliori a muovere le sue pedine sfruttando l'ultimo cambio.
Potendo contare su una delle difese più complete dell'intero campionato, l'ex coach dei Los Angeles Kings è stato inoltre bravo a gestire al meglio il rookie Erik Johnson, concedendogli poco più di quindici minuti di ghiaccio a partita ma facendolo giostrare in tutte le situazioni di gioco.
Se il 36enne Doug Weight ritrovasse la forma che l'anno scorso gli aveva consentito di rasentare i 60 punti, la franchigia del Missouri avrebbe una freccia in più al proprio arco per agguantare un posto tra le prime otto che un paio di mesi fa sarebbe apparso pura utopia.
A ridosso dei Blues galoppano i Columbus Blue Jackets, ben tre partite sopra il 50%. La cura di Ken Hitchcock, burbero quanto si vuole ma sempre uno dei maestri della fase difensiva, ha fatto bene alla squadra dell'Ohio.
Basta analizzare il gioco di Rick Nash per rendersene conto. Da sempre un attaccante prettamente offensivo, quest'anno il 23enne di Brampton (Ontario), oltre a segnare ai suoi ritmi abituali, è preziosissimo nel fore-checking e nelle fasi di inferiorità numerica. Se Hitchcock riuscisse a trasformare in un giocatore completo anche Nikolai Zherdev sarebbe degno del Jack Adams Trophy quale miglior tecnico a prescindere dai risultati della squadra.
Tra i pali, tra un acciacco e l'altro Pascal Leclaire si sta rivelando uno dei portieri più affidabili del campionato e il difensore Ron Hainsey, grazie anche alla copertura di Adam Foote, ha rivelato un talento offensivo che nessuno sospettava. E non dimentichiamo che a questa squadra manca sempre il possente Fredrik Modin, attaccante che garantisce tranquillamente una ventina di reti a stagione.
Nella scia di Sergei Fedorov e compagni, ecco i Chicago Blackhawks, grazie in particolare a Jonathan Toews e Patrick Kane, 38 anni in due. Il primo assomiglia spaventosamente a un giovane Steve Yzerman nel portare il disco a testa alta e nel servire un compagno smarcato attraverso una selva di bastoni. Kane, invece, malgrado un fisico minuto riesce a rendersi pericoloso in zone di pista in cui gli avversari non vanno tanto per il sottile e a inventarsi reti quando lo spettatore aveva già chiuso gli occhi per non assistere al fatale impatto.
Se ai due rookie aggiungiamo un Robert Lang sempre più lento ma sempre più decisivo, un Patrick Sharp che si diverte a segnare in inferiorità numerica più di quanto molti attaccanti non riescano a fare in superiorità e un Nikolai Khabibulin molto vicino a quello ammirato a Tampa, siamo di fronte a una squadra che quando recupererà un Martin Havlat al massimo delle sue potenzialità sarà in grado di dare fastidio a molti, e non solo in questo campionato.
Oltre ai citati Toews e Kane, infatti, non va dimenticato che i giovani difensori Brent Seabrook e Duncan Keith stanno compiendo il salto di qualità e ragazzi di sicuro talento come Jack Skille stanno crescendo nelle leghe inferiori.
Quando l'estate scorsa i Nashville Predators dovettero affittare un pulmino per consentire a tutti i giocatori in partenza di lasciare la città , buona parte degli addetti ai lavori si chiese con che cosa il General Manager David Poile avrebbe costruito una squadra in grado di affrontare la NHL.
Qualche mese dopo, i predatori, anche se meno famelici di quelli insaziabili della scorsa stagione, sono in piena corsa per i Play Off e si trovano tre partite sopra la soglia del 50%. E il bello è che non si sa bene a chi dire grazie.
Certo, Dan Ellis è stato bravissimo a bilanciare la mancanza di continuità di Chris Mason tra i pali, Martin Erat si sta rivelando un regista coi fiocchi e i giovani terzini Ryan Suter e Shea Weber sono riusciti a suddividersi i minuti lasciati sul piatto dalla partenza di Kimmo Timonen per Philadelphia. Ma, in generale, non salta all'occhio un protagonista indiscusso. Tutti hanno fatto quel fondamentale qualcosa in più per sopperire ai numerosi addii.
L'egemonia dei Detroit Red Wings è in pericolo? No, certamente no. St. Louis, Columbus, Chicago e Nashville devono ancora farne di strada per raggiungere i rivali del Michigan. Ma il fatto che dopo più di 25 partite tutt'e quattro siano ancora lì ad alimentare il sogno di partecipare ai Play Off è un importante messaggio a tutto l'ambiente. Che il tetto salariale serva davvero a qualcosa?