NHL: Play.it a Philadelphia

L'Indipendence Hall, simbolo di Philadelphia e degli USA

Manca un minuto alla fine di Philadelphia Flyers - Pittsburgh Penguins e Sidney Crosby ha uno screzio con Mike Richards.

È la miccia che fa scattare il pubblico di casa, il coro "Crosby Sucks" (Crosby fa schifo) riempie il Wachovia Center. Improvvisamente, poche file sotto di noi, un ragazzo con la maglia numero 87 del fenomeno dei Penguins si alza e, con ampi gesti ironici, invita i tifosi avversari a cantare più forte.

Che cosa accade a quel punto? Una rissa? Una pioggia di insulti o di oggetti?
No. Il coro si fa effettivamente più insistito e quando l'arbitro rimette in gioco il disco, tutti riprendono a seguire la partita. Non servono altri commenti. Altri mondi, altra cultura sportiva, altra educazione.

Ma andiamo con ordine. La fase di avvicinamento al campionato più bello del mondo non ha avuto inizio a Philadelphia, bensì un centinaio di miglia più a nord, a New York.

Troppo forte l'impulso di dare un'occhiata al negozio ufficiale della NHL, inaugurato in pompa magna poche settimane or sono. Ebbene, se le dimensioni sono inferiori alle nostre aspettative, gli articoli esposti sono comunque più che sufficienti per far brillare gli occhi di qualsiasi appassionato e piangere la carta di credito.

Dopo una scorpacciata serale di sport a stelle e strisce all'ESPN Zone, il ristorante gestito dalla nota emittente televisiva con oltre trenta schermi orientati in modo da permettere di seguire da ogni tavolo tutte le partite in programma, l'equipaggio di Play.It ha messo la prua verso Philadelphia.

Qualche ora per respirare a piene narici le origini della storia americana in quella che è la vera e propria culla degli Stati Uniti (nella città  vecchia, in poco più di un chilometro quadrato il visitatore si imbatte nella Indipendence Hall, dove nel 1776 è stata ratificata la Dichiarazione d'indipendenza e nel 1787 sottoscritta la prima Costituzione, nella prima zecca, tuttora funzionante, nella prima banca e nel primo ospedale degli Stati Uniti) e passeggiare nel bellissimo quartiere di Society Hill, la cui pace è interrotta solo da South Street, via pullulante di negozi e locali notturni, ed è già  tempo di imbucare la leggendaria Broad Street, arteria che attraversa la città  da nord a sud e che si conclude nel Wachovia Complex, area che comprende il Wachovia Center (casa dei Flyers e dei 76ers del basket), lo Spectrum (vecchia residenza degli stessi Flyers, ora occupata dai Phantoms della AHL), il Lincoln Financial Field (Eagles del football) e il Citizens Bank Park (Phillies del baseball).

A un'ora dall'inizio della sfida ai Pittsburgh Penguins, l'arena è deserta, ma i negozi e i ristoranti del perimetro esterno sono affollatissimi. Ce n'è davvero per tutti i gusti e i passatempi per attendere la partita senza annoiarsi non mancano, a partire da un gruppo rock che fa tremare le pareti dell'edificio.

Alla presentazione delle squadre è subito evidente chi sarà  il nemico numero uno.
Lo speaker sembra rallentare appositamente nel pronunciare il nome di Sidney Crosby, e il capitano dei pinguini viene accolto da una scarica di ululati. Ululati che non lo lasceranno fino al sessantesimo.

Tranne in casi eccezionali, i 20'000 spettatori seguono la partita in religioso silenzio, quasi si trattasse di un incontro di tennis.
Si sentono distintamente il rumore dei bastoni e le voci dei giocatori, l'arbitro è munito di microfono e comunica direttamente ai presenti le sue decisioni.

Il pubblico si scatena, paradossalmente, durante le interruzioni di gioco. Spassose in particolare le pause pubblicitarie, tanto noiose alla televisione. Allo stadio vengono riempite con giochi di ogni sorta e con inquadrature per lo meno curiose.
Memorabile il ballo di un tifoso peso massimo, a Philadelphia conosciuto come Dancing Guy. Nonostante i chili di troppo la sua prestazione è degna del miglior John Travolta e viene accolta da un fragoroso applauso da parte di tutto lo stadio.

La partita non è delle migliori, ma la differenza di velocità  e di intensità  rispetto all'hockey delle nostre latitudini è palese. I Flyers vanno in rete tre volte in Power Play e sembrano mettere in cassaforte il successo, ma fanno i conti senza Sidney Crosby e Evgeni Malkin, fino a quel momento abilmente tenuti in scacco dalla linea composta da Mike Richards (a proposito, gran giocatore), Scott Hartnell e Mike Knuble.

La visione di gioco e la resistenza ai contrasti del numero 87 sono semplicemente straordinarie, mentre l'attaccante russo abbina una potenza straordinaria a un'incredibile velocità . I Penguins si rifanno sotto con reti di Malkin e di Sergei Gonchar, ma nel terzo tempo i Flyers riprendono il largo con un altro gol in superiorità  numerica e una segnatura a porta sguarnita.

La giornata successiva, senza hockey, ci serve per aggirarci con il naso all'insù tra i grattacieli del distretto finanziario e per toglierci lo sfizio di salire a passo di corsa la scalinata del Museo di storia dell'arte, resa famosa dai film di Rocky Balboa.

Merita una visita anche l'Eastern State Penitentiary, carcere a suo tempo logisticamente rivoluzionario che, in quanto a durezza, nel XIX secolo non aveva nulla da invidiare al più conosciuto penitenziario di Alcatraz, nella baia di San Francisco.

Ma il richiamo della NHL è forte e 48 ore dopo la partita contro i Penguins, rieccoci al Wachovia Center, che questa volta ospita i New York Islanders, una delle sorprese del campionato. La partita è molto difensiva, i tiri in posta sono merce rara. Gli allenatori spostano le loro pedine come giocatori di scacchi, spesso la velocissima linea di Daniel Brière (con Joffrey Lupul e R.J. Umberger) viene schierata con l'altrettanto rapida linea di Mike Comrie (con Miroslav Satan e Ruslan Fedotenko).

I Flyers passano in vantaggio due volte con una doppietta di Scottie Upshall, uno dei beniamini del pubblico di casa per la sua tenacia, ma vengono sempre raggiunti, prima da Mike Sillinger e poi da Chris Simon. Nel terzo periodo Mike Richards decide la contesa con una caparbia azione in inferiorità  numerica.

Abbiamo tre giorni prima della prossima partita, e ne approfittiamo per raggiungere la costa del New Jersey e ammirare le case vittoriane di Cape May e per dare un'occhiata ad Atlantic City, una Las Vegas meno pomposa ma con un clima decisamente più sopportabile della torrida e più conosciuta località  del Nevada. Dopo una nottata trascorsa a zampettare sul Boardwalk, passeggiata sull'oceano che collega i vari casinò, ci lasciamo l'Atlantico alle spalle, attraversiamo parte del Maryland e approdiamo a Washington.

Le poche ore trascorse nella capitale permettono di constatare che la città  merita una visita più approfondita. Da non perdere ovviamente l'angolo retto formato da una striscia verticale di terreno comprendente la Casa Bianca e il monumento a George Washington e il Mall, una lunghissima banda orizzontale immersa nel verde e immortalata in molti film (a partire da Forrest Gump) che, delimitata dal memoriale di Lincoln a est e dal Campidoglio a ovest, passa in rassegna attraverso i numerosi monumenti la storia degli Stati Uniti, dalla Seconda guerra mondiale, alla guerra di Corea, a quella del Vietnam.

Ma anche i quartieri residenziali a nord della Casa Bianca lasciano a bocca aperta. Le stupende case ombreggiate da viali alberati nascondono sorprese a ogni angolo, punti di ritrovo frequentatissimi anche durante la settimana. Per chi ama sorseggiare una buona birra in compagnia, segnaliamo la Brickskeller, locanda con oltre 1800 marche provenienti dai paesi più lontani.

I giorni di "libero" stanno ormai esaurendosi ed è giunto il momento di lanciare al galoppo la nostra Chevrolet Impala verso Philadelphia. Il Wachovia Center accoglie i New York Rangers e dall'atmosfera che si respira si capisce che la rivalità  è accesa, forse ancor più di quella con i Pittsburgh Penguins. Ci accomodiamo in tribuna accanto a tre ragazzi cechi che sembrano avere un'inesauribile riserva di birra sotto la poltroncina e che si premurano di comunicare ai quattro venti che loro tiferanno Rangers, vista la folta colonna di connazionali che milita nella squadra di Manhattan.

Uno di loro, Jaromir Jagr, riceve la stessa accoglienza riservata qualche sera prima a Sidney Crosby. Ma gli ululati non sembrano disturbarlo più di quel tanto, anzi, lo caricano, e ci regala una prestazione fantascientifica, che da sola vale il prezzo del biglietto. Gioca spesso con due avversari addosso, ma carpirgli il disco pare impossibile.

La prestanza fisica e la capacità  di trovare il compagno libero al momento giusto sopperiscono a un pattinaggio non tra i più eleganti. Per continuità  di rendimento, sull'arco di una stagione Crosby è forse il miglior giocatore in circolazione, ma quando gioca così, Jagr non gli è certo inferiore.

La partita è bellissima, di gran lunga la migliore finora. I Flyers passano in vantaggio grazie a un raro svarione di Henrik Lundqvist, che lascia passare un tiro da quasi dietro la porta di Jim Dowd, ma poi i Rangers salgono in cattedra e ribaltano il punteggio con due reti di pregevole fattura realizzate da Fedor Tyutin e da Brendan Shanahan. Per tutto il resto dell'incontro, le squadre si scambiano attacchi su attacchi e concludono i tempi regolamentari e i supplementari in parità . Sarà  un rigore di Shanahan a dividere le due contendenti.

Prima dell'ultima partita c'è giusto il tempo di scoprire che il resto della Pennsylvania è impregnato di storia tanto quanto la città  di Philadelphia. Circa 300 chilometri a est si trova Gettysburg, sede di una delle battaglie più cruente della Guerra di secessione. Anche chi non si interessa di storia dovrebbe passare da queste parti.

Un percorso di una ventina di miglia attraversa le pianure e le colline che hanno visto cadere decine di migliaia di soldati dell'Unione e della Confederazione. Nonostante l'insanguinato passato, il paesaggio, vestito dei colori dell'autunno, è semplicemente meraviglioso.

Siamo ormai alla fine del soggiorno, e si finisce in bellezza, con Play.It che assiste a un evento storico. Martin Brodeur arriva in città  con i suoi New Jersey Devils a caccia della cinquecentesima vittoria in NHL, un traguardo varcato soltanto da un altro grandissimo portiere, Patrick Roy.

Il fuoriclasse dei diavoli non manca l'appuntamento, anzi, lo impreziosisce con una parata incredibile, da mani nei capelli, effettuata in tuffo su un tiro a colpo sicuro di Daniel Brière che, inquadrato sullo schermo gigante, non nasconde il suo stupore.

I Devils infliggono una vera e propria lezione di tattica ai Flyers, che solo nel terzo periodo, a risultato ormai compromesso, riescono a farsi vivi dalle parti di Brodeur. I New Jersey sono invalicabili a centro pista e la squadra di casa è costantemente costretta ad aggirare il fore-checking avversario lanciando il disco nell'angolo, dove però sono sempre i diavoli i primi ad arrivare.

Il risultato di 6 a 2 non fa una grinza e dimostra che la famigerata trappola sulla linea rossa dei Devils, ideata da Jacques Lemaire nella seconda metà  degli anni '90, può funzionare pur avendo perso fior di difensori come Scott Stevens, Ken Daneyko, Scott Niedermayer e Brian Rafalski.

La sirena finale, oltre a sancire la seconda sconfitta consecutiva dei Flyers, segna il momento di riattraversare l'Atlantico e di lasciarci alle spalle un mondo in cui lo sport è ancora uno spettacolo, in cui si va allo stadio come a teatro o al cinema, in cui ognuno può urlare di gioia per una rete della sua squadra del cuore senza guardarsi con preoccupazione alle spalle, in cui si chiacchiera e si fa amicizia con spettatori che vestono la maglia dei rivali.

Ci basta sfogliare i giornali del Vecchio Mondo per capire cos'è capitato qui nelle ultime settimane: guerriglie tra "tifosi", scontri con la polizia, morti, feriti, partite sospese o rinviate.
Quando parte il prossimo volo?

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