Daniel Briere dei Philadelphia Flyers
Quindici giorni nei quali non si respirerà altro che l'odore di fritto degli stadi americani, quindici giorni nei quali non si sentirà altro che il violento traballare di una balaustra, il secco schiocco di un bastone a contatto col disco, il boato di una folla festante, quindici giorni nei quali non si vedrà altro che lo spettacolo per antonomasia. Quindici giorni di NHL.
È questo il programma di Play.It, che mercoledì prossimo raggiungerà Philadelphia, la più grande città della Pennsylvania, la "città dell'amore fraterno", la culla della nazione. Fu qui che nel 1776 i rappresentanti delle tredici colonie inglesi firmarono la Dichiarazione di indipendenza e la città divenne la prima capitale dei neonati Stati Uniti d'America.
231 anni dopo, Play.It si accomoderà in una poltroncina del Wachovia Center per un giro d'orizzonte dell'Atlantic Division, che resta uno dei gironi più competitivi dell'intera Lega pur con la partenza falsa dei New Jersey Devils, eterni contendenti, e dei New York Rangers, sulla carta squadra dal potenziale devastante. Nell'arco dei citati quindici giorni seguiremo infatti le evoluzioni casalinghe dei Flyers contro gli acerrimi rivali "atlantici", i Penguins, gli Islanders e, appunto, i Devils e i Rangers.
Ma vediamo di conoscere da vicino la franchigia che ci ospiterà e che ci consentirà di vivere in prima fila il campionato più bello del mondo.
Pur non essendo una Original Six (le sei squadre fondatrici della NHL: Boston, Chicago, Detroit, Montréal, New York Rangers, Toronto), i Philadelphia Flyers sono un importante pezzo di storia della massima lega hockeystica nordamericana, che hanno segnato con il loro stile di gioco aggressivo e, a tratti, intimidatorio.
La città di Philadelphia aveva dato i natali a una squadra, i Quakers, già nel 1930, ma l'esperimento fallì dopo una sola, disastrosa stagione. Gli appassionati della regione dovettero attendere 37 anni prima di poter esultare nuovamente per una rete della squadra di casa. Il nome, Flyers, e il logo, la P alata disegnata dall'artista Sam Ciccone, dovevano rappresentare l'entusiasmo crescente di una popolazione da sempre appassionata di sport in generale e di hockey in particolare. I colori, l'arancione, il nero e il bianco, furono il risultato di un sondaggio tra i residenti di Philadelphia.
I Flyers debuttano in campionato l'11 ottobre 1967 con una sconfitta (5-1) contro i California Seals. Per la prima vittoria bisogna attendere una settimana, 2 a 1 a St.Louis. Le prime stagioni finiscono amaramente al primo turno dei Play Off, dove avversarie più dotate dal punto di vista fisico si sbarazzano senza problemi degli impreparati Flyers.
Il proprietario Ed Snider ordina al General Manager Bud Poile di draftare atleti grandi e grossi, che abbiano nel gioco aggressivo e senza pause la loro prima qualità . I primi ad arrivare sono Bobby Clarke e Dave Schultz. Stavano nascendo i famigerati e a tratti pericolosissimi Broad Street Bullies, i bulli di Broad Street, strada sulla quale sorgeva il vecchio Spectrum, teatro, tra l'altro, dei mitici incontri cinematografici tra Rocky Balboa e Apollo Creed.
Gli avversari ci pensano due volte prima di avventurarsi negli angoli a raccogliere un disco vagante e pochi impavidi osano avvicinarsi alla porta del grande Bernie Parent, straordinario estremo difensore che nella stagione 1973-74 registrerà ben 47 vittorie, un record battuto solo lo scorso anno da Martin Brodeur.
Affrontare i Flyers significa mettere in preventivo botte da orbi e il pubblico di Philadelphia impazzisce per la sua ciurma di assatanati. Nelle stagioni 1973-74 e 1974-75 Dave Schultz, opportunamente soprannominato il martello, colleziona 348 e 472 minuti di penalità , quest'ultimo un record che resiste tutt'ora. Ma questo stile di gioco, evidentemente, frutta anche altri primati. Nelle stesse stagioni, infatti, gli arancioni conquistano due Stanley Cup, battendo in finale i Boston Bruins di Bobby Orr e i Buffalo Sabres.
L'anno dopo (1976), i Flyers raggiungono ancora la finalissima, ma vengono detronizzati dai Montréal Canadiens. L'era dei Broad Street Bullies finisce proprio quell'estate, con il passaggio di Dave Schultz ai Los Angeles Kings. Con lui, Philadelphia perde anche quell'aggressività che, seppure spesso ben oltre il limite del consentito, aveva permesso alla franchigia di raggiungere i vertici dell'hockey mondiale.
Seguono anni senza infamia e senza lode, fino al 1984, quando un giovane Mike Keenan assume la guida della squadra. Tra i pali c'è un ragazzo svedese, Pelle Lindbergh, straordinario in pista quanto stravagante fuori. Il pubblico di Philadelphia si innamora di quel portierino come non era mai successo per nessun altro atleta. Pelle ricambia trascinando i Flyers alla finale della Stanley Cup. Gli Edmonton Oilers, una dinastia in divenire, li sconfiggono in cinque partite, ma in Pennsylvania regna l'ottimismo. Con quel portiere, pensano in casa Philly, la coppa non potrà più sfuggirci a lungo.
Purtroppo si sbagliano. Un mese dopo l'inizio della nuova stagione (1985-86), rientrando a casa dopo una partita, Lindbergh si schianta dopo aver premuto come al solito un po' troppo sull'acceleratore di una delle sue numerosissime auto sportive. Non esiste tifoso dei Philadelphia Flyers che, tra la marea di atleti che hanno vestito l'arancione-nero, non citi Pelle Lindbergh tra i suoi giocatori preferiti. Il suo numero 31, pur non essendo ufficialmente ritirato, non è mai più stato assegnato.
In sostituzione del portiere svedese viene chiamato un altro giovane, il canadese Ron Hextall. Alle indubbie qualità tecniche, l'estremo difensore di Brandon abbina un'aggressività che lo porta talvolta a usare il bastone per scopi che non si limitano ad arrestare un disco indirizzato nella sua porta (memorabile una sua rissa con Chris Chelios). È il primo sintomo del ritorno dei Flyers allo stile di gioco che aveva assicurato loro le uniche due Stanley Cup.
Lo stesso Ron Hextall viene incluso nel ricchissimo e irragionevole pacchetto (Steve Duchesne, Peter Forsberg, Kerry Huffman, Mike Ricci, Chris Simon, due scelte di primo turno al draft e 15 milioni di dollari) inviato nel Québec per assicurarsi le prestazioni di Eric Lindros, la prima pedina di quella che diventerà la temutissima Legion of Doom, la legione del giudizio.
A Lindros si aggiungono il rookie Mikael Renberg e John LeClair, ottenuto da Montréal in cambio di Mark Recchi. Oltre tre quintali di muscoli che si aggirano per il ghiaccio a terrorizzare gli avversari e a realizzare reti a catena. Il trio trascina i Flyers a una nuova finale nel 1997, dove però i Detroit Red Wings compiono un vero e proprio capolavoro aggiudicandosi la coppa in quattro incontri secchi.
L'apice della Legion of Doom è al tempo stesso il suo canto del cigno. Una serie infinita di commozioni cerebrali (l'ultima delle quali in seguito a una carica terrificante di Scott Stevens) e diatribe contrattuali con la dirigenza allontanano definitivamente Eric Lindros da Philadelphia e i Flyers dai vertici della classifica.
Dopo un ultimo sussulto nella stagione 2003-04, quando il neo-capitano Keith Primeau trascina praticamente in solitaria i Flyers a Gara 7 della finale della Eastern Conference contro i futuri campioni dei Tampa Bay Lightning, Philadelphia viene trascinata in un vortice di mediocrità , fino alla catastrofe dello scorso anno, il peggior campionato della sua quarantennale storia.
Quest'anno il motore Flyers sembra essersi rimesso in moto. Al Wachovia Center, lo stadio che nel frattempo ha sostituito il leggendario Spectrum sull'altrettanto leggendaria Broad Street, si respira aria da vecchi tempi, sia per l'ottima posizione in classifica che per l'aggressività sul ghiaccio (45 giornate di squalifica complessive a Jesse Boulerice e Steve Downie, alle quali vanno ad aggiungersi le recenti due affibbiate a Randy Jones). Un ritorno alle origini che Play.It è entusiasta di poter documentare dal vivo.
Appuntamento dunque a venerdì 23 novembre per il resoconto di quindici giorni trascorsi a stretto contatto con il campionato più appassionante del mondo.