Mats Sundin è ancora il fato dei Maple Leafs
È bruttissimo essere stati i più forti, i più belli, i più tutto, parlare e agire come se lo si fosse ancora ma, nell'intimità , lontano da occhi indiscreti, dover constatare a sé stessi che quei tempi sono finiti da un'eternità , che si è uno dei tanti, se non addirittura tra i meno forti, i meno belli, i meno tutto.
Sarebbe senz'altro più facile togliersi il peso e urlare al mondo: "Va bene, stiamo arrancando, e allora? Non si può essere sempre i migliori". Ma no, la storia, il pedigree, il modo di vivere di quella regione non lo consentono. Da quarant'anni non sono più i più forti e i più belli. Da quarant'anni si comportano come se lo fossero.
Come l'Inghilterra rivendica la paternità del calcio e tende a guardare tutti dall'alto in basso malgrado una lunga serie di delusioni, Toronto si è autodefinita la culla dell'hockey su ghiaccio. La parte dell'Ontario che un secondo dopo la nascita inizia a respirare aria bianco-blu, considera la squadra attuale alla stregua delle trionfanti compagini degli anni '30 e '40 oppure di quella straordinaria formazione di veterani di mille battaglie che nel 1967 sconfisse in finale gli apparentemente imbattibili Montréal Canadiens.
Il popolo di Toronto non accetta l'idea di una squadra che non lotti per la Stanley Cup, nei dizionari della più grande città del Canada i termini "ricostruzione" e "transizione" non esistono. Eppure, a pochi chilometri di distanza avrebbero uno straordinario esempio da seguire. Gli Ottawa Senators, una volta lo zimbello della NHL, sono diventati una macchina da punti partendo praticamente da zero. I molti campionati conclusi nei bassifondi della classifica si sono trasformati in altrettante eccellenti scelte al draft, che hanno permesso di costruire una squadra basata sul talento dei vari Marian Hossa, Martin Havlat, Daniel Alfredsson, Alexei Yashin e, più recentemente, Jason Spezza.
Ma no, Toronto non ne ha bisogno. Stiamo scherzando? I Maple Leafs ricostruire? Bella questa. E i dirigenti, ostaggio di un popolo che non vuole sentire parlare di secondo posto, tutti gli anni cadono nella stessa trappola e completano la rosa con un manipolo di atleti esperti che, oltre a cercare l'ultimo contratto della carriera, dovrebbero portare le foglie d'acero al trionfo. Vincere, qui e adesso. Il risultato è una squadra che da anni si barcamena a metà classifica, troppo debole per puntare alla posta piena, troppo forte per classificarsi negli ultimi posti e pescare il Sidney Crosby di turno.
Negli ultimi dieci anni, dal draft del 1997, sono solo sei i giocatori che, scelti dai Toronto Maple Leafs, sono diventati titolari in pianta stabile nella NHL: Nikolai Antropov (1998), Alexei Ponikarovsky (1998), Brad Boyes (2000, ora a St. Louis), Kyle Wellwood (2001), Alexander Steen (2002) e Matthew Stajan (2002). Nello stesso periodo, i citati Ottawa Senators ne hanno portati in squadra quindici: Marian Hossa (poi spedito ad Atlanta in cambio di Dany Heatley), Magnus Arvedson (nel frattempo ritirato), Karel Rachunek (ora ai Devils), Mike Fisher, Chris Neil, Martin Havlat (ora a Chicago), Chris Kelly, Anton Volchenkov, Antoine Vermette, Jason Spezza, Ray Emery, Christoph Schubert, Patrick Eaves, Andrej Meszaros e Nick Foligno.
L'inizio della stagione 2007-08 è molto, troppo, simile a quello dell'anno scorso, e dell'anno prima ancora. Una squadra che nasce e muore con Mats Sundin, atleta con straordinarie doti fisiche, enorme carisma e incredibili capacità realizzative ma, ahimè, anche con un passaporto che recita 13 febbraio 1971. Rischia di essere l'ultima stagione per il fuoriclasse svedese. E poi? Certo, Matthew Stajan, Alexander Steen e, soprattutto, Kyle Wellwood hanno talento da vendere, ma non si intravede una rosa di giovani pronta a esplodere. Come a Pittsburgh, per intenderci.
C'è da scommettere che la grana della successione di Mats Sundin verrà affrontata come a suo tempo venne gestita la sostituzione di Curtis Joseph tra i pali. Nel 2002, per sostituire il 35enne estremo difensore di Keswick (Ontario), i Maple Leafs prelevarono dai Dallas Stars il 37enne Ed Belfour, che ben presto confermò di essere ormai giunto al capolinea. Partito Belfour alla volta della Florida, all'inizio della scorsa stagione il General Manager John Ferguson Jr. pensò bene di spedire il 20enne Tuukka Rask (una delle poche, eccellenti scelte al draft) a Boston in cambio del 27enne Andrew Raycroft, nel frattempo già cannibalizzato dalla folla inferocita dell'Air Canada Centre e sostituito con il 30enne Vesa Toskala.
In compenso, la dirigenza delle foglie d'acero non lesina sforzi nel combattere strenuamente ogni tentativo di portare una franchigia nella vicina Hamilton. Lo scorso settembre, un'amichevole giocata proprio a Hamilton tra Senators e Flyers non ha potuto contare sulla diretta televisiva perché l'emittente Leafs TV non ha autorizzato l'accesso al suo "territorio".
Non c'è da stupirsi, se si pensa che la Maple Leaf Sports & Entertainment Ltd., società che controlla la franchigia, registra utili da capogiro nonostante la mancanza di risultati. Una squadra in competizione a pochi chilometri di distanza potrebbe rovinare il mercato.
È triste vedere una squadra con tanta storia alle spalle trascinarsi stancamente, senza infamia e senza lode, stagione dopo stagione. Eppure basterebbe poco. Basterebbe turarsi le orecchie, non leggere i giornali, e pronunciare la fatidica parola: "Ricostruiamo".