Sean Avery, ora ai Rangers, non si tira mai indietro
Una rete spettacolare, un passaggio inventato dal nulla, un deciso intervento difensivo, una parata strabiliante sono i motivi per i quali ci siamo appassionati all'hockey su ghiaccio. Ma, ammettetelo, il menù di una nottata insonne dedicata alla NHL non sarebbe completo senza, di tanto in tanto, una classica rissa nordamericana a mani nude.
Certo, qualcuno dirà che se lo scopo è vedere due che si picchiano, allora tanto vale gustarsi un attempato Sylvester Stallone al cinema, ma chi conosce il disco su ghiaccio a stelle e strisce sa che, da sempre, il fight scatenato al momento giusto può cambiare le sorti di una partita e che gli agitator, ossia i giocatori più propensi a questo genere di "attività ", sono molto ricercati sul mercato. O forse è meglio dire erano?
Fino a non molti anni fa, ogni squadra disponeva del suo personalissimo "cane da guardia", un elemento tanto povero di talento quanto disposto a tutto pur di far sentire la propria presenza quando un presunto torto subito dalla stella della squadra lo rendeva necessario. Confinato a lungo in panchina, bastava uno sguardo o una pacca sulla spalla da parte dell'allenatore per scatenarne la furia. Le sue statistiche al termine dell'incontro riportavano un numero di minuti di penalità inversamente proporzionale al tempo trascorso sul ghiaccio. Ma tant'è, aveva fatto il suo dovere.
Oggi l'hockey nordamericano si muove a velocità superiore, nel senso che il bando a trattenute, ostruzioni e agganci ha dato il via libera ai giocatori più rapidi e fantasiosi, facendo apparire quelli lenti ancora più lenti. In un contesto di questo genere, agli occhi di molti la figura di un atleta costruito per intimidire gli avversari e non per giocare il disco diventa obsoleta e, quindi, di troppo.
L'anno scorso Peter Laviolette, allenatore dei Carolina Hurricanes, proibì ai suoi giocatori di scatenare risse durante i Play Off per evitare infortuni e mantenere la concentrazione. Inutile ricordare chi vinse la Stanley Cup. Ma gli esempi sono innumerevoli.
Se solo l'anno scorso il 27enne Eric Godard era apparso in 57 partite con i New York Islanders, quest'anno ha visto la maggior parte della Regular Season dalla tribuna per i Calgary Flames, raccogliendo solo 10 gettoni di presenza con una media di poco superiore ai 4 minuti di ghiaccio.
Brian McGrattan degli Ottawa Senators e il gigantesco Derek Boogaard dei Minnesota Wild in quanto a presenze sono sui livelli dello scorso anno, ma hanno visto ridursi sensibilmente il tempo trascorso in pista. Da notare, en passant, che ciò non ha comunque impedito al secondo di frantumare la mascella del "collega" Todd Fedoruk con un terrificante diretto destro.
George Parros ad Anaheim viene schierato solo quando la squadra avversaria dispone a sua volta di un picchiatore. Con i tempi che corrono, quindi, sempre meno.
La rissa tra due giocatori, che oltre tutto il più delle volte è concordata a gioco fermo, è quindi soltanto un (pericoloso) intrattenimento per un pubblico che non si accontenta dei gesti tecnici? Altri esempi sembrerebbero dimostrare il contrario.
Senza voler risalire al grande Gordie Howe, straordinario campione dei Detroit Red Wings anni '60 che ha dato i natali al cosiddetto "Gordie Howe's Hattrick" (una rete, un assist e una rissa), ci sono partite in questa stessa stagione nelle quali un fight ha letteralmente contribuito a cambiare le carte in tavola.
Il 14 novembre 2006 i lanciatissimi Minnesota Wild sono di scena a Phoenix contro i Coyotes, una squadra in piena crisi, ultimissima della Western Conference con sole quattro vittorie nelle sedici partite precedenti. Dopo 72 secondi di gioco Pavol Demitra e Mark Parrish hanno già portato Minnesota sul 2 a 0. Il primo tempo si conclude tra i fischi dei tifosi, delusi dai propri beniamini che, al posto di lottare e dare tutto per salvare il salvabile, sembrano burattini in balia degli avversari.
Inizia il secondo periodo e George Laraque decide che è ora di fare qualcosa: davanti a Curtis Joseph incrocia Derek Boogaard (eccolo qui) e gli lancia la sfida. Sfida che si conclude dopo qualche secondo con Boogaard steso sulla schiena. Il pubblico è in piedi e urla come se i Coyotes avessero vinto la Stanley Cup, la panchina è percorsa da una scarica di adrenalina. La squadra di Wayne Gretzky vince la partita 4 a 3 e, al termine dell'incontro, Oleg Saprykin dichiara che "Laraque ci ha ricaricato le batterie".
Il 30 dicembre 2006, i Washington Capitals affrontano i New York Rangers al Madison Square Garden. Per 40 minuti, Donald Brashear provoca Jaromir Jagr con colpi di bastone e cariche alla balaustra a disco già giocato. In difesa del fuoriclasse ceco interviene dapprima Colton Orr, ma non raccoglie i frutti sperati. Poi, il colpo di scena.
Durante le operazioni che portano all'ingaggio, Brendan Shanahan (sì, Brendan Shanahan) si avvicina a Brashear e lo sfida. Il numero 87 dei Capitals gli dice di lasciar perdere, ma non appena il giudice di linea lancia il disco, Shanahan si toglie casco e guantoni e si getta sull'avversario. Il pubblico newyorchese è in delirio. In quel momento, la partita è già decisa, siamo sul 3 a 0 per i Rangers, ma il messaggio è chiarissimo: nella Grande Mela, l'elenco di fuoriclasse che sanno farsi rispettare non si è chiuso con il ritiro di Mark Messier.
Ma allora, tirando le somme, i fight sono semplici momenti di "spettacolo" o hanno una loro importanza nell'economia di una partita? La sensazione è che gli allenatori siano tuttora convinti che una rissa scatenata al momento giusto possa effettivamente dare la scossa a una delle due compagini, ma non siano più disposti ad affidarsi a giocatori il cui ruolo sia esclusivamente quello di intimidire l'avversario.
Sono quindi gettonatissimi gli atleti che, oltre alle doti pugilistiche, hanno una vaga idea di cosa fare se il disco dovesse capitare sulla paletta del loro bastone. Come non citare Sean Avery, 116 minuti di penalità ma sesto miglior marcatore dei Los Angeles Kings prima del recentissimo passaggio proprio ai Rangers? E che dire di Darcy Tucker, provocatore per antonomasia ma allo stesso tempo autore di ben 19 reti con una fama di cecchino infallibile in Power Play? L'elenco potrebbe continuare con Brendan Witt, Mohammed Alì degli Islanders ma efficacissimo difensore, soprattutto in inferiorità numerica.
Il ruolo dell'agitator ha dunque vissuto un'evoluzione parallela al cambiamento delle regole. Va bene innervosire gli avversari, va bene punire chi si prende qualche libertà di troppo. Ma, nei ritagli di tempo, non scordatevi di giocare a hockey.