Aaron Ward con la Stanley Cup
E così, per la seconda volta consecutiva, la Stanley Cup fa rotta verso la South-East Division, un girone spesso sottovalutato ma che ha lanciato i Tampa Bay Lightning versione 2004-05, i Carolina Hurricanes freschi campioni e, c'è da scommetterci, future temibili squadre come i Florida Panthers, gli Atlanta Trashers e i Washington Capitals.
I cittadini di Raleigh e di tutta la Carolina del Nord, tradizionalmente interessati alle corse NASCAR e al basket universitario, si sono riscoperti appassionati di hockey su ghiaccio dopo una cavalcata trionfale durata 107 partite.
In pochi, a inizio stagione, avrebbero puntato sui Carolina Hurricanes. Già nella Regular Season, invece, la squadra allenata da Laviolette ha dimostrato tutto il suo valore, con un gioco a tratti molto spettacolare che le ha permesso di classificarsi al secondo posto della Eastern Conference (a un solo punticino di distanza dagli Ottawa Senators) e al quarto posto generale.
Una Regular Season che ha consentito a Brind'Amour e compagni di fare il pieno di fiducia in vista dei Play Off. Eliminati i Montréal Canadiens nel primo turno dopo essersi trovati sotto 2 partite a 0, nella semifinale di Conference ecco i temibili New Jersey Devils, giustizieri implacabili dei New York Rangers. Rispediti a casa senza complimenti i diavoli, occorreva affrontare l'altra sorpresa della Eastern Conference, i Buffalo Sabres, sconfitti dopo un'emozionante Gara 7.
La finalissima, giocata contro degli indomiti Edmonton Oilers, ha visto trionfare gli Hurricanes, installatisi in Carolina nel 1997 dopo che il proprietario Peter Karmanos aveva acquistato gli Hartford Whalers. Ma vediamo nel dettaglio chi sono i protagonisti del trionfo targato 2005-06.
È impossibile non iniziare da Rod Brind'Amour, il capitano, il trascinatore per antonomasia. Intrattabile agli ingaggi (pur con una leggera flessione sul finire della serie), è l'uragano con più minuti di ghiaccio, difensori compresi. La sua prima Stanley Cup, attesa 16 anni, è ampiamente meritata.
Parlando di carriere lunghissime, che dire di Glen Wesley? In pista dal 1987, tre finali perse (due con Boston proprio contro Edmonton, una con Carolina nel 2002 contro Detroit), a 38 anni l'esperto difensore è finalmente riuscito ad alzare al cielo il trofeo più ambito.
Doug Weight, prelevato a marzo da St. Louis e grande ex della finalissima, ha fornito un grosso aiuto soprattutto in termini di assist (13) e di esperienza, anche se è stato costretto a saltare le ultime due partite in seguito a un infortunio a una spalla. L'altro acquisto di metà stagione, Mark Recchi, aveva già assaporato la gioia della vittoria nel 1991 con Pittsburgh e si è inserito alla perfezione in un organico estremamente profondo in quanto a talento.
Ray Whitney, un altro veterano di mille avventure con cinque squadre alle spalle (San José, Edmonton, Florida, Columbus e Detroit), ha realizzato ben 55 punti in sole 63 partite durante la Regular Season e ha concluso l'opera con altri 15 punti nei Play Off. E come dimenticare Cory Stillman? Il suo erroraccio in Gara 5 avrebbe potuto costare carissimo, ma i suoi 26 punti nei Play Off (che si aggiungono ai 76 della stagione regolare) lo ergono a protagonista assoluto e gli permettono di festeggiare la seconda Stanley Cup consecutiva dopo quella vinta con Tampa Bay. Solo altri quattro giocatori hanno compiuto tale impresa.
Capocannoniere dei Play Off con 28 punti, Eric Staal si è riconfermato ad altissimi livelli dopo una Regular Season da incorniciare. Sembrava in calo all'inizio della finalissima, ma il fatto stesso che fosse sul ghiaccio a un minuto dalla fine di Gara 7 quando il risultato era ancora di 2 a 1 dimostra la fiducia riposta in questo 22enne da Laviolette. Negli ultimi concitati secondi in pista c'era pure Justin Williams, poi autore del gol della sicurezza. Ebbene, nel 2004 i Philadelphia Flyers gli avevano dato il benservito per le sue lacune nel gioco difensivo. Basta questo per illustrare la sua stagione.
Uno dei giocatori meno citati ma più determinanti della franchigia campione è sicuramente Matt Cullen. Reduce da due stagioni molto deludenti con i Panthers, è stato a dir poco fantastico nei Play Off con, tra l'altro, due assist d'oro nella decisiva Gara 7. Uno di questi passaggi vincenti è finito sul bastone di Frantisek Kaberle per il Game Winning Goal. Il difensore ceco, quest'anno un po' all'ombra del fratello Tomas (Toronto), dopo 5 stagioni anonime con Atlanta si è dimostrato terzino solido e in grado di far male anche in zona offensiva (44 punti nella stagione regolare).
L'altra rete in Gara 7 è invece stata realizzata da Aaron Ward. In pista nelle ultime partite malgrado un infortunio, ha aggiunto il suo terzo anello dopo i due conquistati con Detroit nel 1997 e nel 1998. Restando tra i difensori, impossibile non citare Mike Commodore, look improponibile ma grinta da vendere, Bret Hedican, una finale mancata nel 1994 con Vancouver contro i Rangers e un infortunio devastante alle spalle e Niclas Wallin, una rete fondamentale nella serie contro New Jersey e tanta disciplina tattica al servizio della squadra.
Alle spalle del pacchetto difensivo, ecco Cam Ward, pressoché imbattibile, una delle sorprese della stagione. Dopo aver giocato solo 14 partite nella Regular Season con statistiche non proprio indimenticabili, si è scatenato nei Play Off con 15 presenze e numeri da urlo, vincendo la Stanley Cup (e il Conn Smythe Trophy) da rookie proprio come aveva fatto un certo Patrick Roy.
Se il 22enne portiere canadese è stato l'indiscusso protagonista tra i pali, non vanno certo dimenticate le prestazioni offerte da Martin Gerber durante la stagione regolare. Al primo anno da titolare dopo due anni come riserva di Giguère ad Anaheim ha conquistato ben 38 vittorie, trascinando i Carolina al secondo posto di Conference.
Il rientro nelle ultime due partite di Erik Cole, poi, è un inno alla determinazione, alla voglia di superare qualsiasi ostacolo. Fuori dal 4 marzo per un serissimo infortunio alle vertebre del collo, il 29enne statunitense è ricomparso in Gara 6, giocando oltre 18 minuti e assorbendo come se niente fosse una carica di benvenuto di Ethan Moreau. Non ha registrato punti, ma ha conquistato la penalità dalla quale è scaturita la rete vincente di Kaberle in Gara 7.
Restano Andrew Ladd, 21enne molto promettente e dotato di gran fisico, una presenza che si fa sentire alle balaustre, Kevin e Craig Adams, i padroni del forechecking, una coppia di pitbull assatanati, Chad Larose, il complemento ideale della "famiglia Adams", escluso per buona parte della finalissima ma autore di prestazioni grintosissime nelle altre serie, Josef Vasicek, al di sotto dei suoi standard abituali ma bravissimo nel proteggere il disco negli angoli e Oleg Tverdovsky, puntuale quando è stato chiamato in causa.
A questi giocatori vanno aggiunti coloro che sono scesi sul ghiaccio solo nella Regular Season, ossia Andrew Hutchinson, 36 presenze, Anton Babchuk, 22 partite con gli uragani dopo essere arrivato da Chicago, Keith Aucoin, capocannoniere con Lowell nella AHL e 7 gettoni con Carolina e David Gove, una sola presenza ma un assist e un +2.
27 atleti perfettamente guidati da Peter Laviolette. 27 atleti per costruire un sogno lungo 9 mesi e 107 partite. 27 nomi incisi per sempre sul trofeo più ambito: la Stanley Cup.