L'inconfondibile Chris Simon ai tempi di Washington
John Wayne non crederebbe ai suoi occhi. Un indiano d'America che, messi da parte arco e frecce, si gingilla con un bastone scivolando sul ghiaccio con un paio di pattini ai piedi sarebbe troppo anche per uno come lui. E non sarà sicuramente il suo fucile a canne mozze ad aiutarlo. Ci vuole ben altro contro Chris Simon.
Con madre canadese e padre esponente dell'etnia pellerossa degli Ojibwa (la più grande dopo i Cherokee e i Navajo), Chris Simon nasce il 30 gennaio 1972 a Wawa, villaggio di 3700 abitanti dell'Ontario settentrionale il cui nome nell'idioma paterno significa "oca selvatica".
Chris è immediatamente attratto dall'hockey su ghiaccio e si distingue nella locale squadra della Northern Ontario Junior Hockey Association. Le sue principali caratteristiche non tardano a venire alla luce. Pur non disdegnando di apporre il suo nome nel tabellino dei marcatori (32 punti in 36 partite nella stagione 1986-87), la sua funzione è prevalentemente intimidatoria. I minuti di penalità (108 nella stessa stagione) non mentono: con lui sul ghiaccio è meglio guardarsi le spalle.
Nel 1988 ecco il salto nell'Ontario Hockey League con la maglia degli Ottawa 67's. È l'inizio dei problemi. Per la prima volta lontano dall'intimità di Wawa e proiettato in una grande città , Simon alterna ottime stagioni (al termine del campionato 1989-90 viene draftato dai Philadelphia Flyers) ad annate da dimenticare. Quando poi gli Ottawa decidono di poterne fare a meno e di spedirlo ai Sault Ste. Marie Greyhounds, la situazione precipita.
Chris cede alle tentazioni dell'alcool, un problema già conosciuto dal padre e purtroppo comune a molti nativi americani confinati nelle riserve. Senza Ted Noonan, allenatore dei Greyhounds e lui stesso di etnia Ojibwa, Simon probabilmente non avrebbe mai giocato nella NHL. Costantemente al suo fianco, lo aiuta a non mollare e a portare a termine un'eccellente stagione al fianco di Tony Iob, recente protagonista alle Olimpiadi con la maglia dell'Italia.
Ripulito e forgiato nel carattere, Simon è pronto a ricominciare. Nel frattempo i Philadelphia Flyers hanno incluso i suoi diritti nell'assurda vagonata di giocatori spedita ai Québec Nordiques in cambio di Eric Lindros e la sua carriera, di conseguenza, riparte da Halifax, allora sede dei Citadels, il farm-team dei Québec nella AHL.
Oltre alle consuete capacità intimidatorie (è il tipico giocatore che si odia da avversario e si adora da compagno di squadra), Simon dimostra di possedere un polsino micidiale, un tiro potenzialmente pericolosissimo visto che il disco viene scagliato senza preavviso. I 18 punti (12 reti) in 36 partite dimostrano che, se lavorato, questo diamante grezzo può brillare anche in fase offensiva. I Nordiques se ne accorgono e, nella stessa stagione (1992-93), gli regalano il debutto nella NHL.
Due anni dopo (1995-96), quando i Québec si trasferiscono a Denver diventando i Colorado Avalanche, Chris Simon è ormai un elemento imprescindibile della franchigia. Schierato talvolta con Joe Sakic, realizza 34 punti in 64 partite e tiene a bada gli avversari malintenzionati accumulando qualcosa come 250 minuti di penalità .
I successivi Play Off, trionfali per gli Avalanche, non sono però altrettanto positivi per Simon. Al termine della prima serie contro i Vancouver Canucks vinta in sei partite, Marc Crawford (allora allenatore dei Colorado, oggi proprio ai Vancouver) accusa Simon di fronte a giornalisti e compagni di squadra di non aver fatto il suo lavoro. Chris avrebbe dovuto intervenire su Gino Odjick (la "guardia del corpo” di Pavel Bure) quando quest'ultimo si era preso alcune libertà contro Peter Forsberg ma, a suo parere, si sarebbe astenuto dall'aggredirlo solo perché anche lui nativo americano, di etnia Algonquin.
Alle pesanti accuse (in pratica mancanza di professionalità ) fanno seguito le panchine nelle due serie decisive e una nuova umiliazione: per la stagione successiva il General Manager Pierre Lacroix gli offre un contratto a cifre ridicole, affermando che i numerosi infortuni subiti da Simon (soprattutto alla spalla) sarebbero dovuti a una mancanza di applicazione nella preparazione fisica.
Lo scambio successivo è inevitabile: Simon finisce con Curtis Leschiyschyn ai Washington Capitals in cambio di Keith Jones e di due scelte al draft. Dopo tre stagioni in sordina sul piano personale (ma con una finale di Stanley Cup persa contro i Detroit Red Wings a livello di squadra), Chris Simon esplode nel campionato 1999-2000.
Spesso in linea con Peter Bondra, per la prima volta Simon riesce a giocare quasi l'intera stagione (75 partite) e a realizzare la bellezza di 29 reti (49 punti). Purtroppo, però, non riesce a fornire lo stesso rendimento nelle due stagioni successive e, il 1° novembre 2002, si ritrova a Chicago con la maglia dei Blackhawks.
Il soggiorno sulle rive del Lago Michigan non è di quelli memorabili e otto mesi dopo è di nuovo sulla costa est, con la maglia dei New York Rangers. La stagione, questa volta, è molto positiva e con un +14 in 65 partite dimostra di aver acquisito anche la necessaria disciplina nel terzo difensivo.
Il lungo girovagare si conclude il 6 marzo 2004 quando i Calgary Flames decidono di puntare anche sui suoi muscoli per la scalata alla Stanley Cup, interrotta solo nella finalissima contro i Tampa Bay Lightning. Nell'Alberta sembra aver trovato il sistema di gioco ideale per le sue caratteristiche. Costruiti per subire pochissime reti sfruttando un forechecking ossessivo, anche in fase offensiva i Calgary Flames badano al sodo, anteponendo il gioco fisico di atleti come Jarome Iginla e Tony Amonte a inutili fronzoli.
Chris Simon è quindi più che mai deciso a conquistare una Stanley Cup che senta veramente sua. Accantonati i problemi personali e i contrasti con allenatori e GM, questa stagione potrebbe essere quella giusta. Che John Wayne ci creda o no.