USA: un’olimpiade deludente

Derian Hatcher, una delle tante delusioni per Team USA

Si conclude ai quarti di finale l'olimpiade che chiude un ciclo della storia dell'hockey americano.

Lo fa amaramente, con una tristezza rispecchiata in uno dei suoi giocatori più rappresentativi, Mike Modano, che alla fine della gara con la Finlandia ha accusato la scarsa coesione dell'organizzazione della federazione americana in queste olimpiadi.

Finisce come era iniziata, con la delusione di quel pareggio contro una Lettonia che non aveva tanto da dire.

Facendo un riepilogo potremo parlare di una squadra senza identità , una squadra che durante il quarto di finale, alla sua sesta partita quindi, cambia ancora le linee, mai le stesse nelle partite precedenti. Una Laviolette in cerca di risposte, in cerca di una chimica che non c'era o che forse non si riusciva a trovare.

Già  all'annuncio del roster le tensioni erano notevoli, dovute alla scelta di lasciare a casa ancora i giovani per chiamare i veteranissimi, capitanati dal quarantaduenne Chris Chelios.

Nessuna debacle, come avvenuto invece in altre nazionali; tutto lasciava presumere una squadra che potesse compensare la mancanza di talento con uno spirito di coesione. Spirito che invece non c'è stato.

Così come alla World Cup, gli americani cedono di fronte ai finlandesi ma esprimono molto meno di quanto fatto due estati fa. E anche in patria le critiche si scatenano subito.

Il primo pareggio sa della beffa, un tre a tre contro una squadra minore e senza molte possibilità , poi arriva l'obbligata vittoria contro il Kazakistan, susseguita da tre sconfitte contro le squadre che contano, Slovacchia, Russia, Svezia.

Tutte sconfitte di misura che lascia presagire un bel quarto di finale e così sarà . La corsa degli americani si ferma sul 5-4 con i finnici, in un ultimo disperato assalto che si conclude col tiro di Schneider su Nittymaki, probabilmente l'ultimo con la maglia della nazionale.

La scelta di Wadell e Laviolette, a due mesi da quando fu fatta si rivela non certo felice. Non era questa l'occasione per salutare la più grande generazione di hockeisti americani. La World Cup era già  stato il giusto scenario, l'ultimo canto del cigno.

Una squadra così composta non avrebbe mai avuto un grande slancio, troppa poca velocità  dietro, poche idee davanti. E non è un caso che le note migliori le hanno suonate Gionta, Gomez, Leopold, Liles, giocatori che hanno ancora diversi anni di carriera davanti.

Ma agli americani è mancata anche la leadership dei suoi giocatori più importanti. Un Modano in sordina, rimasto a guardare quasi interamente il terzo periodo del quarto di finale dalla panchina, che lascia presagire rapporti non idilliaci con Laviolette, Guerin e Tkachuk assenti, Hatcher lento e stanco. Forse mancavano anche le motivazioni per giocare fino in fondo, per quanto poi nell'ultima partita sia emersa una carica energetica importante, ma troppo tardi.

Queste olimpiadi potevano essere il teatro di scena per il nuovo talento emergente, invece si è preferito dare un'ultima chance ad una squadra che forse aveva già  avuto la sua ultima occasione due anni fa.

Col talento in arrivo nel prossimo draft e una serie di giocatori già  inseriti, il futuro degli americani è ancora rimandato a data da stabilirsi, certo dopo questa olimpiade non si può più continuare a rinviare il tanto annunciato ricambio generazionale visto che il tempo sembra davvero concluso.

La magra consolazione della federazione non può che essere la notizia che sull'aereo per tornare al di là  dell'Atlantico c'erano anche i cugini canadesi.

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