Enorme è la delusione fra gli appassionati…
Se l'hockey non poteva più darci né vincenti né perdenti da mesi, in qualche modo bisognava colmare questo vuoto. Hanno ben pensato di farlo quelli della NHL, e quelli della NHLPA che, troppi intenti a non uscire perdenti -o meglio ad uscire vincenti- dalle trattative, hanno dimenticato chi, grazie a quel mancato contratto collettivo, ci avrebbe perso in ogni caso.
Perché comunque, chi esce sconfitto da questo testa a testa non è né Bettman né Goodenow, non sono i salari dei giocatori, né le finanze dei proprietari, ma è il cuore dei tifosi. Il danno maggiore lo subisce quel Mr. Popcorn della American Airlines Center, fedelissimo venditore e tifoso numero uno, anzi numero zero, come la sua maglia, quei tifosi che non ne volevano proprio sentire di rinunciare ai loro appuntamenti sul ghiaccio, chi, come me, restava in piedi sino alle cinque del mattino, nonostante il giorno dopo ci fosse da andare a scuola, quelli che al monopolistico calcio preferivano il freddo delle arene, la forza delle cariche, la velocità del gioco, quelli per i quali ogni anno c'è sempre qualcosa di nuovo, come una squadra che non t'aspetti che va a giocarsi la Stanley Cup in gara 7.
Ad uscire sconfitta è la passione, la passione per il gioco più intenso che esista, un gioco dove è il ghiaccio a scaldare i cuori e dove ora, invece, sono le cartacce e le proposte inutili, ed i mesi e mesi di trattative, a sfreddarli, la passione per uno spettacolo unico al mondo, un hockey giocato come mai si è visto, e come mai si potrebbe vedere, perché l'NHL era un mondo a parte nel panorama hockeystico mondiale.
Ma soprattutto, la più triste delle constatazioni è che a vincere non è nessuno. I giocatori lontani dal loro ghiaccio, i proprietari dal proprio pubblico, i giovani dal proprio futuro (perché, non dimentichiamocelo, c'è chi nell'hockey ha investito la propria vita), i tifosi dagli stadi, il grande merchandising -ma anche la piccola bancarella fuori dallo stadio- dai propri clienti. Si è entrati in un circolo vizioso dal quale è incredibilmente complesso uscire.
E non uscirne vuol dire salutare tutte queste cose, vuol dire perdere del tutto il legame fra ghiaccio e pubblico, fra giocatore e tifoso, fra hockey e passione. Perché se adesso è semplicemente grande la rabbia, forse poi si rischia di passare allo sconforto, e dallo sconforto all'apatia. Ed uno sport che perde i propri tifosi, che perde la propria passione, perde anche la propria ragion d'essere.
Iniziando a scrivere questo articolo pensavo che forse avrei potuto parlare di cosa sarebbe cambiato, di cosa potesse voler dire avere la NHL oggi, come è sempre stato. Eppure, per quanto mi possa sforzare non riesco, non riesco a immaginare questa stagione, forse riesco solo a ricordare, a ricordare la NHL, cosa era per me e cosa credo fosse per tutti.
E mentre tutto non sembra poter cambiare, a me piace poter ricordare la NHL, la crema dell'hockey giocato, con le botte sulla balaustra, con la stanchezza di chi cerca di raggiungere il cambio mentre le gambe cedono, con il frenetico ed incessante avanzare dei pattini, con le urla per chiamare il puck, con la rabbia degli ultimi momenti, quando cerchi di sfondare la difesa ma non riesci, nonostante la superiorità , nonostante tutto, con la rabbia di chi trova sempre la porta chiusa eppure continua a provare, e con la gioia di chi segna il goal vincente, con gli spalti dipinti di un mare umano, tutto dello stesso colore, con i fighting e con gli inni nazionali, con lo spettacolo e la tattica, con la tecnica e la forza.
Con tutto ciò che sapeva darmi e che spero sappia darmi ancora, sempre inimitabilmente, sempre il meglio che si possa pretendere o desiderare.