Joe Sakic non corre rischi, il suo stipendio è garantito anche in caso di stop.
Non si è ancora esaurito l'eco del Draft (il migliore degli ultimi 10 anni secondo gli scouts, con giocatori come Fleury, Staal, Zherdev, dati come sicuri protagonisti degli anni avvenire), che tiene sempre banco un mercato finora ricco solo di idee e indiscrezioni, ma povero di vere trattative.
In generale la convinzione di proprietari e GMs sembra quella di non fare spese folli (specie dopo una stagione in cui “budget” come Anaheim, Minnesota, Ottawa, Tampa Bay, hanno “sorpreso” potenze del calibro di Colorado, Detroit, Toronto, Washington, fermatesi tutte al primo turno dei playoffs nonostante organici da oltre 60 milioni di dollari) e pensare già all'estate del 2004 (anno in cui l'associazione giocatori e i proprietari delle franchigie dovranno rinnovare il contratto collettivo), che sullo sfondo vede il pericolo di un nuovo (e ben più grave) lock-out dopo quello del 1994.
I fatti sono noti: le difficoltà economiche di alcune franchigie (a parte Buffalo e Ottawa che hanno finalmente risolto i loro problemi, si ricordano i casi di Atlanta, Edmonton, Florida, Nashville, Pittsburgh, Tampa Bay) costringono la lega ad affrontare la crisi di un movimento che dopo il contratto collettivo siglato nel '94, ha sì incrementato i profitti della NHL del 117%, ma ha anche portato il salario medio di un giocatore a 1.6 milioni; una cifra che è superiore di 500.000 dollari rispetto al guadagno medio di un atleta della NFL, lega questa di certo più produttiva rispetto alla NHL.
Non si paventa più il rischio di “tagliare” o trasferire alcune franchigie (nel '94 il nuovo contratto “costrinse” diverse squadre a cambiare sede: Hartford/Carolina, Quebec/Phoenix, Winnipeg/Colorado), ma è chiaro come sia arrivato il momento di creare un tetto salariale per suddividere i costi, al fine di assicurare una maggiore stabilità all'hockey professionistico.
Per diverse franchigie si tratta “solo” di rivedere i conti, ma per altre (in particolare chi ha alle spalle piccoli mercati) è oramai una questione di… vita!
Il punto della discordia si chiama insomma Salary Cap, la cui istituzione promossa dalle società non vede d'accordo la NHLPA (l'associazione giocatori) che, in base alle dichiarazioni del suo presidente Bob Goodenow, stando così le cose minaccia uno stop, non più per un ridotto periodo di tempo come nel '94, ma bensì di 1 o addirittura 2 anni.
Ora, senza voler delineare gli scenari futuri, è chiaro come lo spettro di uno sciopero dei giocatori dal 2004 pesi sulla loro carriera e di conseguenza cambi le strategie di tutte le squadre. Si prospetta una stagione “falsata” dove l'aspetto tecnico passerà in secondo piano e saremo in pratica… schiavi del futuro?
E' una possibilità , e non sorprende come molte franchigie cerchino di liberarsi da accordi pluriennali, proprio in virtù del fatto che, nonostante il possibile sciopero, potrebbero essere costrette a rispettare i contratti in essere e pagare quindi comunque gli atleti (vedi il caso Philadelphia/LeClair o le voci su Pavel Bure e Jagr).
Dal punto di vista legale le squadre non hanno nessun tipo di obbligo, però gli avvocati della NHLPA affermano il contrario!
Non c'è insomma la certezza che il blocco delle attività congeli gli stipendi, e a tal proposito ecco infatti gli esempi di Rob Blake e Joe Sakic, i quali hanno già trovato un “compromesso” con gli Avalanche, avendo inserito nei loro contratti una clausola che vedrà Colorado garantirgli rispettivamente 2 e 2.3 milioni in caso di stop.
L'immobilismo del mercato è come detto il riflesso di questa situazione e, fungendo appunto la prossima estate da spartiacque per l'intero mondo NHL, viene facile immaginare da parte dei GMs un operato mirato a contenere le spese, con il risultato di evitare megacontratti che vadano ad incidere pesantemente sul cap.
A “pagare” saranno in primis gli unrestricted free agents, che in molti casi dovranno abbandonare l'idea di monetizzare il loro status, per accontentarsi magari di semplici contratti annuali e non venire così scartati a vantaggio di gente a basso costo (Dave Andreychuk, Paschal Rheume etc.).
Tutt'altra musica perciò rispetto agli standard del mercato scorso, con ad esempio giocatori come Sergei Berezin ($2.2M) e Bryan Marchment ($3M) che certamente dovranno rivedere le proprie pretese (sul tema da segnalare il caso di Chris Osgood, rimasto ai Blues dopo essersi ridotto l'ingaggio di un buon 20/30%).
Altro gruppo di giocatori che può rimanere “vittima” dello sciopero è quello dei veterani: per quale motivo infatti le squadre dovrebbero mettere sotto contratto atleti over 35, se l'anno prossimo non si giocherà ?
Tanto vale a questo punto lanciare qualche giovane promessa, piuttosto che veder “scadere” i vecchietti…
Praticamente la politica adottata da Pittsburgh, che per “sopravvivere” ha ridotto notevolmente il monte salari (sarà sui 17 milioni), finendo col puntare sui giovani (compreso coach Olczyk) in modo da farli crescere e misurarne l'affidabilità in prospettiva futura.