Manning e Caldwell non sono riusciti a controbattere alle mosse di Brees e Payton…
Il prodotto della Louisiana che va a bissare il successo di 3 anni prima nello stesso luogo.
Il figlio di Archie Manning che batte la squadra dove papà ha costruito la propria carriera.
Il campione affermato che ferma, sì, una squadra che ha impressionato in stagione regolare, ma arrivata senza forze al grande ballo e qualificatasi per un soffio con la vittoria sudatissima sui Vikings.
Chissà quante volte Payton Manning aveva letto sui giornali o egli stesso aveva pensato questo potesse succedere prima del grande evento della scorsa domenica.
Gli Indianapolis Colts godevano del favore del pronostico dalla maggioranza degli addetti ai lavori (e, in ultima battuta, anche del mio!) : un po' per come erano arrivati al Superbowl senza mai realmente faticare contro Ravens e Jets, un po' per l'aura di quasi imbattibilità costruita in regular season scalfita solo dalle ultime due sconfitte quando ormai i giochi erano già stati fatti, e poi se hai in squadra Peyton Manning è difficile scommettere contro perché' alla fine il quarterback nativo di New Orleans rimane uno dei più grandi interpreti di sempre di questo sport.
Invece il destino beffardo ha giocato l'ennesimo tiro a Manning e agli Indianapolis Colts: il Super Bowl è stato vinto con merito dai New Orleans Saints per 31-17 grazie ad una prova "monstre" di Drew Brees e la partita è stata definitivamente chiusa da un intercetto di Tracy Porter a 5 minuti dalla conclusione della partita, guarda caso due "vecchie conoscenze" a livello universitario: il primo giocò a Purdue, il secondo a Indiana University.
Nonostante il dilemma rimanga e persista (potrà un giocatore dominante come Manning "accontentarsi" di concludere la sua carriera con un solo centro al Superbowl?) riguardo la capacità di Peyton di annientare gli avversari in post season tanto quanto riesce a fare nella prime 16 partite di campionato, in sua difesa accorrono i numeri della partita di Miami (31/45, 333 yards conquistate, 1 TD e 1 INT).
Piuttosto il resto dell'attacco ha fatto ben poco per collaborare e aiutare il proprio quarterback ad affrontare la difesa di New Orleans, la quale, conscia dei propri limiti, ha preferito limitare lo spumeggiante gioco aereo dei Colts, permettendo nel primo quarto a Joseph Addai di fare la voce grossa.
Ma, nonostante lo spazio concessogli dalla difesa avversaria, Addai è andato pian piano spegnendosi dopo l'inizio incoraggiante, Manning ha dovuto alzare rapidamente i giri del suo attacco nel terzo quarto quando i Saints hanno messo il muso avanti, e la macchina che si pensava inarrestabile si è imballata.
Una delle note più stonate di una serata che già non verrà ricordata con entusiasmo, per usare un eufemismo, dai tifosi dei Colts è stata la prestazione opaca di Reggie Wayne: già si sapeva che la sua condizione fisica non era eccellente e che in settimana non aveva concluso tutti gli allenamenti con la squadra; così il peso è passato sulle spalle di Pierre Garà§on e Austin Collie, che nonostante il touchdown del primo e le buone ricezioni del rookie nel tentativo di rimonta, hanno dimostrato di non averle ancora così larghe da sostenere l'onere in situazioni tanto importanti.
Nota a parte merita il sempre immenso Dallas Clark: il fuoriclasse dei tight end si è fatto trovare pronto quando la squadra più ne aveva bisogno sul 23-17 Saints, orchestrando con il suo quaterback un drive praticamente perfetto, concluso con il touchdown di Addai da poche yards. Il prodotto di Iowa rimarrà un punto fermo da cui ricominciare anche il prossimo anno.
L'altro grosso punto di domanda di tutta la settimana che ha anticipato il Super Bowl riguardava le possibilità o meno per Dwight Freeney di scendere in campo: alla fine stringendo i denti ha preso parte al primo tempo della sfida, dimostrando che anche su una caviglia sola poteva riuscire a fare la differenza.
Quando non si è più presentato dopo lo spettacolo dell'intervallo la difesa ha letteralmente subito un black out, dimostrandosi troppo Freeney-dipendente: senza la pressione del numero 93 Brees ha cominciato a esplorare chirurgicamente la difesa dei Colts con continui lanci da 10-15 yards e "colpendo" diversi ricevitori, vero marchio di fabbrica di quest'anno della squadra della Louisiana.
Se si può dire che con le sue scelte coack Jim Caldwell non ha perso la partita, coach Sean Payton invece con le sue l'ha vinta: l'allenatore dei Colts, che ha sostituito un'istituzione a Indy come Tony Dungy, ha condotto bene la gara, ma, a conti fatti, è sembrato più accompagnarla senza fantasia verso l'epilogo avverso, non dando la sensazione di audacia trasmessa dal collega dei Saints, che tra quarti down giocati sulla linea di meta e l'onside kick di inizio secondo tempo, ha cercato in tutti i modi di sovvertire il pronostico, alla fine riuscendoci.
Poichè la mancanza di fantasia imputata non si può ritenere un peccato capitale, resta comunque una cavalcata incredibile quella del rookie coach, che ha portato il suo team alla finale assoluta, mostrando un gran bel gioco offensivo e coprendo con il trucco le varie rughe della propria difesa, le quali sono venute alla luce nel momento purtroppo decisivo.
"Ora sono solo dispiaciuto, molto dispiaciuto. Faccio comunque i complimenti a Drew Brees che ha giocato una partita incredibile" sono state le parole a caldo del quarterback sconfitto che ha dimostrato come sempre un grande fair play.
Il giorno dopo porta con sé tutti i dubbi e gli enigmi di quella che si prospetta una lunga off season: naturalmente si riparte da Peyton Manning e non potrebbe essere altrimenti, così come penso verrà riconfermato il blocco dei ricevitori.
Dovrà essere ampliato e variato il running game, magari aiutando Joseph Addai a dividere i compiti di correre la palla (forse proprio coadiuvato maggiormente dal rookie Donald Brown). In difesa sono almeno 2/3 i giocatori che la dirigenza farà bene a cercare nel mercato dei free agents: la linea difensiva e un linebacker di valore farebbero non poco comodo.
Resta l'amarezza ma anche la consapevolezza di poter competere ancora per almeno un lustro ai vertici della AFC e poter nuovamente tentare di consolidare una posizione di dominio ormai decennale, purtroppo non finalizzata da successi ulteriori a quello del 2007 con i Bears.
Un secondo trionfo gratificherebbe il lavoro di questi anni della franchigia dell'Indiana e porrebbe il loro quaterback indubbiamente nell'olimpo dei grandi vincenti, lontano dalle critiche dei detrattori. Un posto che Peyton Manning merita.