Verso il Super Bowl: Indianapolis Colts

Jim Caldwell ha guidato i Colts al Super Bowl al suo primo anno da head coach.

La storia è oramai conosciuta, e le sensazioni che vi girano intorno sono perlopiù le stesse, con la differenza che stavolta i Colts hanno davvero l'opportunità  di mettere a tacere le malelingue una volta per tutte. Per via di una carriera playoffs fino all'anno scorso non esattamente brillante ed impeccabile, nonostante l'ottenimento di un Vince Lombardi Trophy del gennaio del 2007, lo scetticismo generale è persistentemente aleggiato come un'ombra ingombrante sulla figura di Peyton Manning, che, tanto per riportare una delle solite frasi ad effetto, se avesse vinto in gennaio tanto quanto nell'ultimo decennio di regular season, avrebbe sicuramente ammazzato ogni campionato disputato dal 2000 ad oggi.

La storia della rivalità  perdente contro i Patriots? Andata, sfaldata da uno dei Championship Games più entusiasmanti di sempre, dove Indianapolis inscenò una delle rimonte più grandi di tutti i tempi. L'anello al dito? Mito sfatato, e trofeo conquistato sotto la battente pioggia di Miami, stesso luogo dove i Colts si stanno preparando a giungere quest'anno, con la felice conseguenza di vedere terminati tutti i paragoni tra Manning e Dan Marino, accomunati dal fatto di essere grandi passatori e giocatori leggendari già  prima della fine delle loro carriere, ma incapaci di esibire dell'argenteria appropriata.

Ma nonostante questo, ci sono sempre state molte domande cui porre risposta. Nel senso che le splendide regular season registrate da Indianapolis nell'era di Tony Dungy non sono corrisposte ad un numero consono di vittorie nelle gare ad eliminazione diretta, e dopo quel Super Bowl, il record dei Colts in postseason è stato di 0-2.

Quest'anno, invece, si è lavorato proprio con l'obbiettivo di non uscire troppo presto, e la maturazione psicologica di Manning (con quella tecnica crediamo ci sia nato) è arrivata proprio nel momento opportuno: mai, durante il suo regime, i Colts avevano vinto una gara arrivando dalla settimana di bye (tradotto in soldoni, non avevano mai vinto ai playoffs dopo essersi qualificati da seed numero uno o due - ndr) e quindi dovevano in ogni caso dimostrare di saper reggere una pressione che derivava dal fatto di essere i migliori in assoluto, dall'alto di un 14-2 frutto di prestazioni talvolta dominanti, e talvolta acciuffate in rimonta, come accaduto in ben sette casi, segno di estremo sangue freddo da parte di una squadra che ha recuperato il punteggio nel quarto periodo anche in quattro gare consecutive (49ers, Texans, Patriots e Ravens).

A lungo si è discusso della possibile perfect season che coach Jim Caldwell ha sostanzialmente negato ai suoi, decidendo di mettere a riposare i titolari nella discussa partita della penultima settimana contro i New York Jets, spianando la strada ad una serie infinita di polemiche, ed uscendo, assieme al presidente Bill Polian, con una serie di dichiarazioni che sono parse confuse, dubbie, quasi volessero andare a parare i colpi di un misfatto sul quale non c'era già  più nulla da fare, quasi a voler giustificare un'azione che agli occhi della maggior parte del mondo pareva non poter essere giustificabile.

I Colts avrebbero potuto essere migliori dei rivali Patriots, caduti ad un passo dalla storia con la sconfitta al grande ballo contro i New York Giants. Sarebbero potuti essere la seconda squadra di ogni epoca a compilare una stagione perfetta dopo il leggendario '72 dei Dolphins, e la prima a vincere 19 partite senza perderne nemmeno una, perché all'epoca della vittoria di Miami si giocava meno. Caldwell si è difeso sostenendo che pensava di non aver assolutamente danneggiato nessuno prendendo quella decisione in quel determinato momento del campionato in quanto l'obbiettivo di squadra era sempre e solo stato il Super Bowl (qualche giocatore ha fatto intendere di non essere proprio d'accordo - ndr), senza pensare che magari, a tifosi, organizzazione e giocatori, sarebbe risultato d'interesse appartenere alla leggenda essendo stati i primi a compiere una tale impresa.

Un altro aspetto fondamentale della faccenda, era la classica ruggine che si era formata in altre occasioni quando la pausa dall'atmosfera ufficiale era stata più lunga del dovuto, ovvero quando in passato pure Dungy aveva rinunciato a schierare i titolari al fine di preservarli dagli infortuni perché quella particolare partita non modificava nulla a livello di griglia playoffs, e, tra una cosa e l'altra, Manning, Wayne, Harrison e compagni finivano per non assaggiare il gusto della competizione per tre settimane, fattore su cui molti hanno puntato il dito per giustificare le uscite frettolose di Indianapolis dalla postseason.

Di tale ruggine non ve n'è stata traccia, ed i Colts si sono senza dubbio confermati la squadra da battere. Manning ha ripreso esattamente da dove aveva cominciato in regular season, quando aveva di fatto portato la squadra ad un record di 14-0 (era difatti apparso in via del tutto sporadica nelle ultime due sconfitte di regular season - ndr), senza perdere la calma nelle varie occasioni in cui Indy è stata a lungo sotto nel punteggio, ed ha giocato due gare di playoffs di alto livello, come di rado gli era capitato in passato, segno che l'età  della definitiva consacrazione, unita ad un numero oramai alto di brutte esperienze in gennaio, era giunta per spazzare via ogni dubbio.

Indianapolis ha affrontato due squadre molto simili nell'impostazione tattica, Baltimore e New York Jets, ambedue dotate di un gioco di corse potente e produttivo, di un quarterback giovane, e di una difesa pronta a limitare qualsiasi attacco.
I Colts non si sono scomposti né davanti alle funamboliche possibilità  di Ray Rice, né dinanzi all'intimidazione data da Ray Lewis e compagni, e tanto meno dai fantasiosi schemi difensivi organizzati da Rex Ryan, allenatore di grande talento che ha ammesso che "se non togli a Manning il suo ritmo abituale, lui ti uccide".

La squadra di Caldwell è stata proprio così. Spietata.

La difesa, intesa come front seven, ha giocato al di sopra delle aspettative, proprio come in quella cavalcata di tre anni fa, quando l'organizzazione contro le corse avversarie era a dir poco deficitaria salvo alzare notevolmente il livello del proprio gioco nei playoffs. Elementi come Powers, Session, e Muir sono arrivati dal semi-anonimato per entrare a far parte di una casta di titolari bene affermati. L'assenza di Bob Sanders, eternamente alle prese con problemi fisici oramai gravi e preoccupanti per il futuro, non si è sentita più di tanto, soprattutto contro le corse, dove il contributo di linebackers leggeri e veloci come Gary Brackett si è fatto sentire con soddisfacente costanza.

L'attacco ha trovato nuovi volti in grado di fare la differenza. Marvin Harrison è stato di fatto sostituito da Pierre Garcon, che proprio grazie al lavoro svolto assieme a Manning ha giocato uno dei migliori Championship che un wide receiver abbia mai disputato. L'infortunio di Anthony Gonzalez, colui che sarebbe dovuto divenire il bersaglio numero due ufficiale di questo reparto, è stato superato senza conseguenza alcuna per merito della scelta di quarto giro, Austin Collie, un ragazzo poco spettacolare, ma molto tosto e preciso nel correre le sue tracce, con due mani tra le più affidabili di squadra.
Dallas Clark, infine, ha disputato la sua miglior stagione di carriera, superando quota 1.000 yards, e facendosi trovare puntuale sia per ricezioni corte con yards da guadagnare sullo sprint, e sia nelle vicinanze della endzone, dove ha rappresentato un'emicrania per ogni difesa che lo ha affrontato.

Manning e la sua testarda mania di studiare tutto e tutti hanno migliorato ogni persona che lo ha circondato, e l'attacco aereo ha di fatto portato sulle spalle questa invidiabile carrellata di vittorie, perché le corse sono state davvero poco utili alla causa, pur dovendo sottolineare le 10 mete siglate da Joseph Addai, tuttavia rimasto lontano dalla quota d'eccellenza delle 1.000 yards stagionali.

I Colts vivono e muoiono con le prestazioni del loro grande condottiero, che si troverà  a sfidare la squadra dove papà  Archie ha costruito la sua carriera Nfl.

Un'altra vittoria significherebbe il secondo Vince Lombardi Trophy, e cementerebbe ulteriormente lo status di miglior squadra della decade assieme ai Patriots. E soprattutto, metterebbe a tacere per sempre le malelingue. I Saints sono lì, all'orizzonte, ed attendono di poter cominciare quest'entusiasmante battaglia là , dove Peyton alzò per la prima volta quel premio cui tutti i giocatori di football ambiscono, sotto una pioggia che non finiva più, ma che fu la più dolce della sua vita.

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