Tony Romo, qui steso da Brandon Siler, deve aiutare i suoi Cowboys a rialzarsi nel mese di dicembre.
A Dallas non ne vuol sentir parlare nessuno, anche se la realtà delle cose, racconta una storia dura da digerire per tutti, in Texas.
I fatti sostengono che da un lato c'è una squadra tra le più amate della Nfl da sempre, di quelle con il seguito di tifosi più grande considerando tutti gli stati americani, titolata, condotta da un proprietario che non ha certo paura di spendere, ma le cui aspettative sono sempre altissime, ed ultimamente puntualmente disattese.
Dall'altro lato c'è un tabù da sfatare, anzi due: il primo è quello dei playoffs, non nel senso che non vengono raggiunti, piuttosto perché una partita di postseason non la si vince dal 1996 e quindi di tempo ne sarebbe già passato troppo, mentre il secondo riguarda il mese di dicembre, vera e propria spina nel fianco dei Cowboys, i quali dal 2001 non detengono un record vincente in quel mese, e spesso hanno perso il treno per continuare a giocare pure in gennaio proprio a causa delle loro performances pre-natalizie, mortificando delle ottime partenze di campionato, e mettendo un pesante macigno sopra le ambizioni di contender con cui la squadra parte oramai da più stagioni consecutive, senza riuscire a mantenere i fatti sul campo.
"Non voglio sentir parlare del nostro record in dicembre e cose similari".
Così si è espresso coach Wade Phillips davanti ai microfoni dei giornalisti dopo l'ultima sconfitta di Dallas, in casa contro i Chargers, dichiarazione che purtroppo per l'allenatore, si scontra in maniera frontale con quanto sta accadendo.
All'ambiente certe cose potranno dare fastidio quanto si vuole, ma la realtà parla chiaro: i Cowboys sono partiti ancora una volta fortissimo, ed ora sono 0-2 nel mese per loro maledetto, con la conseguenza che la testa della Nfc East è andata persa a favore degli Eagles (dallas è passata da 6-2 ad 8-5), e che i playoffs, nell'intricata corsa di conference, sono in pericolo. Di nuovo.
Sembra quasi di tornare indietro di un anno, quando nel momento della verità le ambizioni della squadra si sciolsero come neve al sole: partiti 4-1, i Cowboys erano in posizione per fare i playoffs, salvo fare harakiri nelle ultime quattro giornate di campionato, quando il record parziale sentenziò un pesante 1-3, quando, con una doppia possibilità di riaggiustare le cose, persero in casa contro Baltimore ma soprattutto si fecero umiliare a Philadelphia, che vinse per 44-6 infliggendo ogni tipo di punizione morale agli avversari, archiviando la più sonora sconfitta degli ultimi vent'anni.
In molti hanno puntato il dito contro Tony Romo, perseguitato dopo quello snap maltrattato che costò ai Cowboys una partita di wild card contro Seattle, un Romo che non ha saputo, secondo molti, dare leadership nel momento in cui l'esito delle gare pesa il doppio, e quando c'è da arrivare puntuali all'appuntamento con la gloria, al quale è possibile presenziare solamente quando si batte ogni avversario che si trova nella propria strada.
Il buon Tony, che nell'opinione personale di chi scrive non può essere eternamente crocifisso per delle responsabilità che ha solo in parte in uno sport di squadra per eccellenza, dove i meccanismi da analizzare sono semplicemente troppi per decretare da chi sia partito l'errore, contro di lui ha purtroppo i numeri, che tendono a giudicare senza sentimenti e ragione quelle che sono le tendenze di un quarterback, esaltandolo o gettandolo nel baratro senza troppi problemi.
Tali numeri parlano di un record in carriera di 5-10 nel solo mese di dicembre, pericolosamente concomitante con i fallimenti a carico di Dallas in questi ultimi tre anni.
Lo snap maltrattato, i tre turnovers di quell'infame e già menzionata disfatta con gli Eagles, l'intercetto in endzone che terminò le speranze di rimonta nella gara di divisional playoffs contro i Giants nell'epilogo della stagione 2007, sono tutte statistiche ed episodi esattamente contrari a quello che Romo significa per i Cowboys da settembre a novembre, quando l'attacco funziona a pieno regime, ed i risultati positivi non stentano nell'arrivare.
Analizzando ciò che è stato finora il 2009, ci sono molte altre considerazioni da fare, al di là del fatto, ormai assodato, che Romo tende ad essere un quarterback in grado di fare grandi numeri, come di commettere errori grossolani in qualunque momento dell'anno, ed i motivi di questa nuova discesa dei Cowboys, scavando un pochino più a fondo, possono essere tranquillamente spiegati, questo considerando comunque che il tanto incolpato quarterback, nelle due recenti sconfitte, ha lanciato per 641 yards e 5 touchdowns, senza subire intercetti.
Una statistica molto interessante e significativa è quella che vedeva, ad inizio anno, Dallas produrre quasi 140 yards su corsa a gara, grazie alla letale combinazione portata dalla durezza di Marion Barber, dalla velocità di Tashard Choice, e non ultima dalla classe di Felix Jones, capace di esplodere in campo aperto senza più farsi prendere in un qualsiasi momento della partita, cui vanno aggiunte le più che buone doti di tutti e tre i giocatori nel ricevere palla fuori dal backfield, il che aumenta inevitabilmente la produzione complessiva che il terzetto è potenzialmente in grado di fornire.
Se quelli erano i risultati delle prime otto gare, dove la squadra era salita a 6-2 ed aveva in pugno la division, nelle successive cinque la media di yards ottenute su corsa è diventata inferiore quasi del 20%, segno che qualcosa s'era inceppato, costringendo inevitabilmente Romo a lanciare di più, e di conseguenza, a metterlo nella posizione di commettere un maggior numero di errori, o di non riuscire a muovere la palla con costanza per via della prevedibilità che assume un attacco che all'improvviso diventa mono-dimensionale, fatto sul quale l'offensive coordinator Jason Garrett dovrebbe seriamente riflettere (ammesso che no l'abbia già fatto"), dal momento che le sue chiamate hanno perduto la fantasia dei primi tempi.
Barber, cos' com'era successo nel 2008, ha avuto un drastico calo nei numeri isolando il mese di settembre ed il resto del campionato, anche se quest'anno ci sarebbe l'attenuante delle sue condizioni fisiche non perfette, che ne hanno fatto un giocatore molto diverso da quello che era alla prima settimana di gioco. Ad ogni modo, nelle prime quattro esibizioni risultavano 4.4 yards di media, calata esattamente di un punto (3.4) all'attualità : ma ciò che più è preoccupante, è stato l'eccessivo numero di turnovers commessi dal Barbaro, qualcuno dei quali si è rivelato determinante per l'esito negativo di qualche partita, come la recente sconfitta divisionale contro i Giants. Osservando le partite, è sin troppo chiaro che il giocatore fatica a colpire gli spazi, probabilmente non riesce a muoversi come vorrebbe per le conseguenze dell'infortunio, quindi l'attacco al primo down produce molto poco, costringendo la parte aerea del gioco ad inventarsi soluzioni di fortuna, che non sempre permettono di muovere le catene a dovere.
I critici spingono per un maggiore utilizzo di Jones, o addirittura per la sua promozione a titolare, proprio perché ha la giocata in tasca in ogni istante, il che garantirebbe maggiore fantasia per aprire un po' un playbook che si è miseramente fermato per tre volte consecutive sulla linea di meta dei Chargers, ma Phillips ha già dichiarato in maniera chiara ed inequivocabile che non intende apportare modifiche alla depth chart in questo momento del cammino, come dimostrano le sole sette apparizioni in media in campo per l'ex running back/ritornatore di Arkansas.
Poi c'è la componente Roy Williams, ex wide receiver di Detroit, peraltro pagata profumatamente per lo scambio, la cui aria di casa (al college giocava a Texas) sembra non aver giovato troppo, ed il cui sviluppo della carriera professionistica è stato fin troppo atteso nonostante una quantità di talento davvero alta. Doveva essere la soluzione che sistemava in via definitiva il reparto ricevitori di Dallas, che non avevano una valida alternativa a Terrell Owens, la cui partenza avrebbe dovuto, in teoria, aprire tutti gli spazi del mondo per il nuovo bersaglio primario di Romo.
Che primario non è mai diventato, mancando di quella costanza che serve per divenire il riferimento fisso di un quarterback, intuibile dal fatto di averlo visto determinante in qualche partita e completamente assente in molte altre, segno che le capacità sono fuori discussione, ma la mentalità va rivista. E di fatto, escludendo il sempre venerabile Jason Witten, tight end tra i migliori in circolazione, il ricevitore più forte dei Cowboys è in questo momento Miles Austin, letteralmente esploso dopo anni di semi-anonimato, giocatore che per la prima volta in carriera sta per frantumare la barriera delle 1.000 yards (gliene manca"una) e che si è reso protagonista di tantissimi big plays, arrivando a quota 10 in termini di touchdowns segnati.
Infine Nick Folk, un mistero. Quello che era uno dei kickers più precisi ed affidabili anche da lunga distanza sta passando le pene dell'inferno, e le sue percentuali tra le 40 e le 50 yards di distanza sono pericolosamente scemate verso il basso, rendendo il suo posto non più sicuro.
Il suo 4/11 da distanze oltre le 40 yards è in parte responsabile della serie negativa che la squadra sta attraversando, perché è una questione di fiducia: l'attacco fa il possibile per piazzare bene il kicker, il quarterback osserva dalla sideline il risultato del suo lavoro e delle sue scelte, e se il pallone non va tra i pali per un numero tropo alto di occasioni, non si può pretendere che la fiducia resti. E se non c'è quella, ci rimette la chimica di squadra.
Per gli allarmismi, nonostante questo 0-2 di dicembre, sembra un pochino presto, perché nella Nfl le cose cambiano di continuo, anche nel giro di una sola settimana. Tempo per far bene ce n'è, ci sono tre partite da vincere assolutamente per rimediare, e per dimostrare che gli errori del passato sono stati digeriti, ed utilizzati per migliorare. Sabato sera ci sarà già un clima di playoffs, quando i Cowboys tenteranno di rendersi responsabili della prima sconfitta di questo campionato dei Saints, una missione difficile, ma non impossibile, visto che la difesa di Dallas ha i mezzi per limitare Drew Brees mettendogli pressione addosso, e contenendo il running game di New Orleans attraverso il prezioso lavoro di Jay Ratliff e soci.
Infine, due sfide divisionali importantissime: contro Washington è obbligatorio vincere per non perdere contatto con la vetta, poi ci saranno gli Eagles, di nuovo all'ultima giornata, come un anno fa.
In palio potrebbe esserci la division, e chi perde potrebbe restare fuori. I Cowboys ci sono già passati, e Jerry Jones non è disposto a subire un'altra umiliazione.