I Vikings rispondono presente!

Brett Favre, l'arma in più dei Vikings in questo inizio di stagione.

Erano attesi, non è una novità , soprattutto dopo l'arrivo di Brett Favre, andato a coprire il need più grande, ma non l'unico, che Minnesota aveva nel roster, dove mancava un quarterback capace di far girare la squadra quando le corse del fenomenale All Day impattavano contro il muro di gomma messo saggiamente in piedi dalle difese avversarie per fermare l'unica arma in loro possesso.

Erano attesi, si, e finora non hanno affatto deluso, boccheggiando forse un po' troppo nei primi trenta minuti, soprattutto nelle prime due uscite stagionali, ma cambiando completamente volto e diventando aggressivi, concreti, a tratti straripanti nei secondi tempi; già  concreti, un aggettivo che nelle ultime stagioni non sempre è stato speso per la franchigia guidata dai fratelli Wilf, viste le troppe vittorie sfuggite per un soffio, e per quella mancanza di convinzioni, forse anche di mezzi, che troppe volte li ha portati ad inanellare prestazioni altalenanti, inconcludenti.

In questo gran parte del demerito era forse imputabile alle scelte opinabili dell'head coach Brad Childress, del quale i tifosi avevano chiesto a gran voce la testa dopo lo sciagurato playoff perso con gli Eagles nella postseason 2008, che ha sempre puntato su quarterback capaci nemmeno di svolgere il compitino, ovvero tenere impegnata sul profondo la difesa avversaria per regalare un maggiore cuscino ad uno straordinario gioco di corse che aveva come interprete principale Adrian Peterson, arrivato stanco e tremendamente affaticato nel momento cruciale della passata stagione.

L'utilizzo reiterato aveva portato il numero 28 al limite del collasso, ed aveva fatto suonare l'allarme in casa Wilf, mettendo ben in chiaro che se si voleva puntare a qualcosa di serio occorreva investire e trovare un pitcher necessario quantomeno ad allungare gli schieramenti difensivi che man mano si trovavano di fronte i Vikings; sfuggiti Matt Cassell e Jay Cutler, assurdamente ignorato da Childress, scelto di andare per un ricevitore al draft, di cose da fare ne restavano poche, anzi, due: sondare con decisione il mercato dei free agent o tentare l'ultimo assalto a Favre.

Per fortuna il secondo finto ritiro di Mr.Football è durato pochissimi mesi, e dopo un primo annuncio riguardante la sua volontà  di rimanere comodamente seduto in pantofole davanti al televisore ecco arrivarne un secondo, quello buono, a metà  della preseason, dove comunicava la sua decisione di riprendere casco, paraspalle e playbook per tornare nuovamente sul terreno di gioco, questa volta in maglia Vikings, suoi acerrimi avversari per sedici, lunghissime, stagioni.

Avversari che non si dimostrano poi più di tanto tali, accogliendolo a braccia aperte, consapevoli che le sue qualità , nonostante ruggine ed acciacchi, possono essere in grado di colmare ciò che distanzia i Vikings dal diventare una delle papabili outsider, nonché una squadra difficilissima da battere. Le prime partite di regular season sono perfettamente distinguibili tra primo e secondo tempo, dove, come già  detto prima, Minnesota tende a trasformarsi, passando dall'essere un team sofferente al diventare uno schiacciasassi.

In queste prime trasformazioni Brett ha un merito forse marginale, ovvero quello di saper mantenere i nervi saldi e far avanzare la palla per vie aeree quando AD viene chiuso nel groviglio delle maglie avversarie che si addensano nel box; un merito che lui dimostra di accettare di buon grado, consapevole che dopo essere stato per lungo tempo una stella indiscussa nei Packers, è ora di lasciare il posto alle nuove generazioni, godendo magari di luce riflessa.

Il riflesso dura però ancora poco, dura giusto cinquantanove minuti e cinquant'otto secondi, ovvero il tempo microscopico che separa i Vikes dal termine del match con i 49ers e dalla quasi certa prima sconfitta stagionale. I calcoli però spesso vengono fatti senza l'oste, o come nel caso specifico, senza Brett Favre, che proprio in dirittura d'arrivo decide di tornare ad essere Ironman confezionando un preciso passaggio da touchdown per il carneade Greg Lewis, che di fatto trasforma quella che doveva essere la prima Lose nella terza vittoria consecutiva della regular season 2009.

In molti l'hanno definita magia, in tanti leggenda, quello che è certo è che a quasi quarant'anni questo ragazzo del Mississippi non smette mai di stupire e, quello che è più importante, non smette mai di ricordare a tutti i fans e a tutte le nuove leve che si affacciano sui campi della NFL piuttosto che della NCAA cosa sia il football; lui, che in un età  in cui normalmente i grandi campioni decidono di godersi la meritata pensione corre come un matto per il campo per andare a placcare il miglior tackler della squadra avversaria, come un predatore che si fionda sulla sua preda, dopo averla vivisezionata con cura.

Un fenomeno fatto a modo suo, tanto rompiscatole fuori dal campo quando straordinario e perennemente pronto a stupirti al suo interno, uno di quella ristretta schiera di fuoriclasse di cui uno ormai crede di conoscere tutto, ed aver visto di tutto, ma che invece sono capaci di tirare fuori dal cilindro sempre qualcosa di nuovo, come una giocata inaspettata, di quelle che ti fanno saltare in piedi sulla poltrona ed alzare le braccia al cielo, come se l'avessi appena confezionata tu stesso.

Favre è questo, nel bene e nel male, ed i Vikings dell'ultimo Monday Night Football hanno tanto di questo giocatore nel loro DNA, perché d'altronde la vittoria su Green Bay è in gran parte merito suo, dei suoi passaggi precisi, della sua abilità  nel farsi trovare pronto a guidare la squadra quando la stella indiscussa attraversa un momento poco positivo; è sua, si, ma anche di Jared Allen, un atleta che dalla seconda metà  della scorsa stagione in poi è stato un crescendo in continuo, come una sinfonia musicale che viaggia spedita verso il culmine, verso l'acuto.

Un acuto che il defensive end arrivato dai Chiefs nell'estate 2008 ha trovato proprio nella sfida con i Packers, dove ha fatto registrare il record del MNF con 4.5 sacks messi a segno che sono stati la ciliegina sulla torta di una prestazione ragguardevole, che lo ha portato a chiudere con 7 tackles, 1 fumble forzato, e tanta, tantissima pressione sul quarterback avversario, di cui è stato un incubo incessante e ricorrente per tutti i 60 minuti del match. Una presenza, la sua che ha concesso parecchio margine di manovra a tutti i colleghi di reparto, e che, sfruttata a dovere e unita all'inossidabilità  dell'ormai famoso Williams's Wall ha permesso a quasi tutti i difensori dei Vikings di realizzare buonissimi numeri in questo inizio di stagione.

La coppia formata da Pat e Kevin Williams offre una straordinaria copertura contro le corse, ma allo stesso tempo aumenta la pressione sulla linea quando viene letta una chiara azione di passaggio, riuscendo tanto ad arrivare addosso al quarterback in prima persona, quanto a permettere ai colleghi di reparto di penetrare attraverso le trincee avversarie; a sfruttare la loro incredibile solidità  e i raddoppi che solitamente richiede Allen ci hanno pensato finora un sensazionale Ray Edwards e, a tratti, Brian Robison, end che si fa trovare sempre pronto quando viene chiamato in causa.

Nella mediana il discorso non cambia, il ritorno nel mezzo di E.J. Henderson ha donato nuovamente sostanza al reparto, che in queste prime quattro apparizioni ha sfornato prestazioni di alto livello, con un Chad Greenway che interpreta al meglio il ruolo di ROLB e Ben Leber che ancora una volta ha dimostrato di meritare quello spot da titolare che sembra essere messo costantemente in dubbio durante le offseason ma che viene puntualmente confermato con la partenza della regular season.

Una partenza che però finora ha denotato qualche limite di troppo nelle secondarie, dove il confermatissimo Antoine Winfield, sempre straordinario per apporto e costanza delle prestazioni, deve fare da chioccia ad un nugolo di giovani in cui si sta facendo conoscere la free safety scelta al secondo giro del draft 2008 Tyrrell Johnson, che spesso e volentieri sfrutta l'enorme velocità  e la buona tecnica di placcaggio per fermare gli avversari nei dintorni della linea di scrimmage; una linea che attacca in diverse occasioni anche Madieu Williams, l'altro giocatore d'esperienza del reparto, sempre all'erta nel ruolo di strong nonostante alcuni errori intravisti contro Detroit e San Francisco, dove ha concesso tantissimo spazio alle ricezioni sul profondo.

Spazio che troppe volte tende a lasciare agli avversari Cedric Griffin, il corner che occupa la sideline opposta a Winfield e che spesso si concede pause troppo lunghe, rischiando di farsi infilare puntualmente dal ricevitore di turno; con i Lions si è lasciato sfuggire facilmente Calvin Johnson, in altre occasioni invece è parso arrendersi e rinunciare a tentare il placcaggio con troppa facilità , eppure ogni tanto capita che ti tira fuori la giocata in grado di salvarti la partita. Le mani ci sono, il fisico e le qualità  atletiche anche, ma a conti fatti la maggior parte dei QB che affrontano Minnesota tendono a lanciare su di lui, a dimostrazione che forse, tutte queste garanzie, ancora non le fornisce.

Parlando di garanzie non si può non notare come siano cresciuti esponenzialmente i numeri messi in piedi dai ricevitori dopo l'avvento di Favre, che ha avuto finora il grandissimo merito di aver rigenerato Sidney Rice, permettendo a tutti i tifosi dei Vikings di vedere finalmente alcune delle giocate che lo avevano reso famoso sia in NCAA che ai tempi della High School; atleta pazzesco, dotato di fisico e mani notevoli, il gioiellino da South Carolina sembra essersi definitivamente svegliato dal sonno che lo attanagliava nelle ultime stagioni, quando vuoi per la mancanza di un quarterback degno di tal nome, vuoi per la pochezza del passing game messo in piedi da Childress, sembrava destinato a diventare un bust.

La stessa nomea che alcuni avevano affibbiato fin troppo prematuramente leggendo il college di provenienza a Percy Harvin, prima scelta di quest'anno che ha avuto un impatto immediato in NFL, entrando fin da subito negli schemi offensivi dei Vikings e dimostrando di avere nel DNA i geni del playmaker, tanto che dopo il match con San Francisco sembrava ad un passo dal soffiare il posto al go to receiver della passata stagione, Bernard Berrian, che proprio contro i Niners aveva droppato dei palloni clamorosi giocando una delle peggiori partite in carriera.

Il numero 87 si è prontamente riscattato questa settimana, andando a segno nel Monday Night contro Green Bay e tornando a guidare i compagni di squadra per palloni e yards ricevuti; una mezza garanzia, insomma, come Visanthe Shiancoe, sempre più incisivo nell'attacco aereo dei Vikings e pronto nuovamente a confermarsi tra i tight end più produttivi della NFL dopo l'ottimo 2008, dove ha finalmente dimostrato di meritare tutti i soldi spesi dai Vikings per strapparlo ai Giants.

Oltre a lui si sono prodigati per garantire ulteriori guadagni anche Jeff Dugan e Jim Kleinsasser, da ormai dieci anni uno dei punti fermi di Minnesota, che sono riusciti a fornire un buon contributo sia in ricezione che in fase di blocco, dove hanno collaborato alla grande con una linea sempre più dominante; ad un lato sinistro di fatto insuperabile dove continuano ad agire Bryant McKinnie e Steve Hutchinson si è aggiunto un lato destro capace di garantire una grandissima protezione tanto al quarterback quanto al runningback.

A livelli pazzeschi l'impatto di Phil Loadholt, che nel ruolo di right tackle ha mostrato di non patire affatto il salto dalla NCAA alla NFL confermandosi l'ideale controparte al numero 78 che argina il lato opposto; al suo fianco il sempre positivo Anthony Herrera è riuscito ad integrarsi alla perfezione con il nuovo compagno, assicurandosi lo spot come right guard e lasciando definitivamente al sophomore John Sullivan il compito di sostituire Matt Birk come centro titolare; un compito che il ragazzo di Notre Dame ha saputo svolgere finora senza far assolutamente rimpiangere il formidabile predecessore, passato ai Ravens.

Proprio questo addio di Birk aveva creato ulteriori dissidi tra fans e Childress nel corso dell'estate, ma fino a questo momento il coach dei Vikings ha dimostrato di aver fatto la scelta giusta, in questa come in altre occasioni; che sia l'esperienza accumulata dopo gli errori delle ultime stagioni, che sia quella barba incolta e tanto saggia che sforna attualmente, ma anche Brad sembra finalmente aver acquistato un po' di quella sicurezza che gli è mancata in passato, quando faticava ad azzeccare chiamate e giocatori su cui investire.

Certo, nessuno ci leva dalla testa che la sua più grande fortuna sia quella di aver draftato Peterson con la settima assoluta del 2007, ma a volte nella vita è necessario saper cogliere l'attimo, sfruttare quello che per sorte si ha avuto in dono e aiutarlo per cambiare il corso di una storia che sembrerebbe altrimenti già  scritta; una cosa che finalmente Brad Childress sembra pronto a fare, allontanando l'ingombrante fantasma di quel geniaccio difensivo che risponde al nome di Leslie Frazier ed affidandosi ad una di quelle primedonne che tanto ha odiato fin dal suo insediamento a Minneapolis. Forse alla più "prima" di tutte.

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