Steve McNair 1973-2009
La storia di Steve McNair comincia negli Houston Oilers e forse per questo ci sembra così vecchia, con le radici ben piantate in un football che non c'è più. Invece è questione di ieri, di pochi giorni, Air McNair è stato protagonista del passaggio dagli Oilers ai Tennessee Titans divenendo subito protagonista di quella Nashville che raramente viene associata al football americano nella cultura popolare di quegli europei che spesso la nominano per la musica, il country e il jazz: la Music City appunto. Ma quei giovani italiani che oggi si dicono tifosi dei Titans lo devono in gran parte a lui e sempre a lui si deve se oltre al college anche nel football pro Tennessee ha avuto momenti di gloria altissima e un Super Bowl sfiorato, mancato per una sola yard nella stagione che chiudeva le porte al vecchio millennio e le apriva al Duemila.
In fin dei conti McNair è stato atleta delle “quasi vittorie”, come al Super Bowl, appunto, o alla finale per l'Heisman Trophy del 1994 dove giunse terzo, dietro a Rashaan Salaam e Ki-Jana Carter, due personagi la cui carriera tra i pro è stata dimenticata alla stessa velocità con cui si chiude un libro appena lo si è terminato. Puf! e via. Un battito d'ali. Steve invece, lui sì che ha continuato a combattere e a volare, e benché il suo pedigree collegiale recitasse Alcorn State (Division I-FCS, all'epoca Division I-AA il che rende eccezionale il suo podio nella corsa all'Heisman) strappò una terza scelta assoluta dagli Oilers.
Una carreira collegiale di secondo livello, forse di terzo, ma la grande capaictà di mettersi in mostra, vincere il Walter Payton Award come miglior giocatore della seconda divisione collegiale più importante, sfiorare l'Heisman e farsi apprezzare tra gli esperti della NFL. Una terza scelta nel 1995, qualche apparizione a Houston poi il trasferimento a Nashville, città dalle mille battaglie che lo porterà sempre nel cuore. Essere qualcuno che ha soltanto “quasi vinto” qualcosa non aiuta quando è il momento di dire basta, come non aiuta il fatto di non avere record, anelli da sfoggiare tra amici e colleghi, il riconoscimento di essere tra i primi dieci del ruolo in qualche (inutile) classifica stilata da esperti del gioco di tanto in tanto. Forse per questo, quando dopo due stagioni a Baltimore disse basta, nel 2007, nessuno buttò tanto inchiostro come per altri eroi del passato. Forse per questa mentalità che ci fa correre così veloci verso un futuro che ancora non è chiaro dimenticando tutto troppo in fretta, in particolare chi non vince, chi cade a un passo dal traguardo, chi non celebra vittorie su vittorie, forse, dicevamo, è per questo che dopo la sua ultima stagione rimanemmo fermi. Applausi, pacche sulle spalle, frasi ad effetto e d'affetto. Poi, spente le luci, tutti avanti in fila indiana perché alla fine non è accaduto nulla.
McNair non ha vinto, ma ha fatto molto di più. Giunto in NFL con un fisico possente e un cannone al posto del braccio risultava ancora grezzo, poco preciso nel gioco aereo e con una grande propensione a correre, come a sfidare gli avversari ad un impresa sempre difficile: quella di buttarlo giù.
Con un carattere forte, una grande umiltà , Steve riuscì in quello su cui un suo grande collega a cui spesso è stato paragonato dovette cominciare a lavorare qualche anno più tardi a Philadelphia, un certo Donovan McNabb che anche per carattere e umore ricorda proprio l'ex stella dei Titans. McNair lavorò tanto, si impegnò a fondo e i suoi palloni divennero via via più docili quando prendevano la strada verso il cielo e finché il fisico lo ha sostenuto anche le sue gambe continuavano ad essere un'arma aggiunta. Steve non abbandonò mai lo scramble o la corsa in senso assoluto come giocata del proprio repertorio, ma divenne più intelligente, meno impulsivo, capace di leggere meglio le difficili situazioni del football professionistico. Arrivò dove si sperava potesse arrivare ma dove non si era sicuri che sarebbe arrivato, proprio per via di quel suo background collegiale che gli aveva permesso di emergere di fronte a dei coetanei decisamente meno dotati di lui. E questa è stata la vittoria più grande e difficile di tutte, sopravvivere e dominare nella NFL partendo molto più indietro rispetto alle condizioni di tanti che poi, alla fine, magari non ce l'hanno fatta.
Alcorn State divenne un ricordo, McNair era diventato stella del football fatto per i grandi, era il traghettatore del football pro in Tennessee e quello per migliaia di ragazzini, anche fuori dal confine USA, che magari proprio in quegli anni si avvicinavano a questo magnifico sport. Pro-bowler per tre volte, MVP della stagione 2003 al pari di Peyton Manning, McNair era in campo durante l'ormai leggendario Music City Miracle e fu protagonista, nello stesso anno, del Super Bowl XXXIV. Pagine memorabili dei tempi più recenti di questo gioco.
Una finale persa nonostante un secondo tempo da leone, una partita che, se vinta, lo avrebbe proiettato immediatamente nell'Olimpo degli eroi di questo sport insieme al compagno Eddie George col quale aveva dato il la alla rimonta di Tennessee. Poi l'ultimo gioco, quello per strappare i supplementari, qullo in cui Kevin Dyson, proprio dopo aver ricevuto un lancio di McNair, arrivò a pochi centimetri dall'overtime, a un passo dal sogno, a una yard dal touchdown.
Nel giorno in cui gli Stati Uniti festeggiano l'indipendenza Steve McNair è stato trovato morto a Nashville, insieme ad una donna, anch'ella deceduta. Colpi di arma da fuoco, forse un omicidio/suicicidio, chissà . Non vogliamo fermarci ora a chiederci cosa sia avvenuto, non abbiamo forse nemmeno voglia di scoprirlo. La NFL si interroga di fronte all'ennesima morte violenta, la società USA si interroga di nuovo, pochi giorni dopo la notizia dell'aumento di utilizzo di arimi da fuoco da parte di donne e ragazzi in California. Domande che non troveranno risposta. Ma non faremo discorsi di questo tipo, non elargiremo dettati sociologici, tanto più studiando gli USA con gli occhiali da europei che ci portiamo addosso dalla nascita. Il punto è che McNair, a soli 36 anni, non c'è più, e nella settimana in cui il popolo a stelle strisce cercava di dare un senso alla tragica scomparsa di Michael Jackson, il più piccolo ed umile pubblico italiano della NFL si ritrova davanti a una tragedia che lascia il segno in ogni tifoso, in ogni amante dello sport e riporta la mente indietro agli anni della gioventù, alle partite dei Titans. A qualcuno ricorda addirittura il perché dell'amore per il football e noi vorremmo riavvolgere la bobina del tempo e tornare a quando decise di ritirarsi per dedicargli pagine e pagine di affetto e di ringraziamenti per quanto ha fatto, per come ha insegnato a tanti giovani che nulla può esserci precluso. Nemmeno per lui, protagonista di una favola meravigliosa ma senza lieto fine.
Steve McNair è stato un personaggio di grandissimo valore per il carattere e l'attidudine dimostrate, la capacità di crescere come giocatore perché inserito in una corazza di uomo vero, di cui non sappiamo niente e poco ci importa, perché abbiamo pagato per vedere le sue partite, per vederlo crescere, maturare, migliorare, vincere e darci una immensa lezione di sport. Steve McNair, detto Air McNair, ci ha dato tanto e se non possiamo, e non vogliamo, giudicare né l'uomo, comunque, andando a memoria, sempre lontanto da scandali e gossip, né le circosatnze in cui è rimasto coinvolto, non possiamo tenerci lontano dall'elogiare il personaggio che ha calpestato per 13 stagioni i campi verdi della National Football League.
Un “quasi vincente”, ma un campione fatto e finito, un eroe assoluto delle nostre maledette domeniche invernali fatte di passione, tifo, gioie e dolori. E soprattutto fatte da gente come Steve McNair: vincenti comunque.