Larry Fitzgerald saluta i suoi tifosi al rientro da Tampa.
Arizona Cardinals. Un tempo, quando le prime generazioni di appassionati italiani si avvicinavano seriamente al gioco, tale nome era menzionato per due soli motivi: o per citare le peggiori squadre di tutto il campionato, o perché compariva in qualche barzelletta sportiva americana, l'equivalente di quelle dove, da noi, sono eterni protagonisti i carabinieri. Una squadra assai poco rispettata, con una divisa bruttina ed un logo meno affascinante di altri, sperduta nella solitudine del deserto e nei bassifondi prima della Nfc East e poi della Nfc West. Un disastro, in uno sport dove spesso i nomi dei vincitori del campionato si alternano in maniera entusiasmante, dando possibilità a chiunque.
Il passaggio divisionale non aveva fatto che peggiorare le cose: la squadra materasso che puntualmente veniva asfaltata due volte l'anno da Dallas, New York, Philadelphia e Washington, seppure presente con tanto di upset ai danni dei Cowboys nell'edizione 1998 della postseason, ora passava sotto le cure di St. Louis, Seattle e San Francisco, ed il progressivo indebolimento di un raggruppamento da anni considerato il più debole della Nfl, mischiata all'incapacità di risalita dagli abissi dei Cardinals, faceva ragionare secondo le ovvietà . Una franchigia spostata, dopo il riallineamento, in un gruppo di squadre più accessibile non riusciva a vincere ugualmente: quindi, doveva essere davvero pessima.
Poi una ventata d'ottimismo. Divise nuove, un logo più aggressivo, scelte molto sensate al draft, ed un nuovo, sensazionale, impianto di gioco portavano quella necessaria ventata d'aria fresca, ottima per chi di aria, da tanto tempo, ne respirava di pesante. I Cardinals passavano lentamente da franchigia scellerata a squadra del futuro, grazie alla scelta ed al conseguente sviluppo di un nucleo di giocatori poco conosciuti, ma molto validi. Qualche nome? Anquan Boldin, Larry Fitzgerald, Karlos Dansby, Adrian Wilson e Darnell Dockett, gente di talento che aveva avuto pochissime occasioni per mettersi in mostra, vista la rarità dei passaggi televisivi nazionali cui la squadra veniva esposta ogni anno, dato l'accumulo continuo di stagioni con record perdenti.
Probabile che sia stato proprio a causa della scarsa (recente) tradizione affiancata al nome della franchigia che i giocatori ad essa appartenenti cominciavano a sviluppare una mentalità positiva, che li ha portati ad affrontare ogni avversità contro i pronostici di tutti, fidandosi unicamente di loro stessi.
Ha indubbiamente giovato l'arrivo in sella di Ken Wisenhunt, coach che nascondeva molto bene la sua scarsa esperienza da capo (cominciata proprio in Arizona) e che aveva dato stabilità ad un precedente carosello di allenatori davvero lungo, nonché la messa a punto di un gioco offensivo molto prolifico, perlomeno per quanto riguardava la parte aerea, tanto da creare una sorta di separazione in casa tra la squadra ed uno dei free agents di maggior spicco da essa acquisiti, Edgerrin James, andato a predicare nel deserto proprio per divenire il protagonista assoluto di un gioco di corsa che per tradizione non aveva avuto, perlomeno di recente, un vero e proprio asso da sfoggiare.
Wisenhunt dimostrava carattere prendendo, solamente al suo secondo anno, la situazione per le corna: via Matt Leinart, giovane promessa che non aveva convinto come quarterback del futuro, dentro Kurt Warner, vecchietto con tonnellate di esperienza playoffs alle spalle e persona abituata a vincere dopo essere stato prematuramente giudicato perdente, fattore di notevole importanza per lo sviluppo mentale di questa squadra. Per tutta la carriera avevano detto a Kurt che non ce l'avrebbe mai fatta a realizzare i suoi sogni. Da una vita, gli Arizona Cardinals si sentivano dire le stesse cose. Warner avrebbe dovuto guidare questo gruppo e lasciarlo nella strada verso il successo. Tuttavia, con la partecipazione al Super Bowl XLIII, quella strada si è accorciata parecchio.
Poi una coincidenza positiva e negativa allo stesso tempo: Seattle, potenza post-riallineamento della Nfc West, decideva di onorare Mike Holmgren accumulando il peggior bilancio di quella gestione, lasciando vacante uno scettro divisionale che solo i Rams dei bei tempi (quelli di Warner") erano riusciti a conquistare. Positivo perché i Cardinals si ritrovavano la strada spianata verso una vittoria divisionale poi conquistata per la prima volta dal 1975, negativo perché contro le squadre Nfc appartenenti ad altre divisioni il bilancio era talmente negativo da far supporre che pur giungendo in postseason questa squadra avrebbe fatto pochissima strada.
Proprio nei playoffs, così come nel Super Bowl, i Cards avevano mostrato la loro vera sostanza, alzando il livello delle prestazioni soprattutto in difesa, precedentemente considerata molto sospetta, compattandosi come gruppo alla ricerca dell'obbiettivo più alto a disposizione, sfumato solamente a causa del miracolo in ricezione di Santonio Holmes. Arizona è una grande storia per aver solo partecipato ad un evento del genere. Chissà cosa sarebbe accaduto se avesse persino vinto"
Trascorsi i playoffs a rompere records storici, come la prima vittoria casalinga di sempre ed il primo raggiungimento del Championship con tanto di successo ed accesso al Grande Ballo, i ragazzi di Wisenhunt hanno affrontato l'occasione della vita come meglio non si poteva, rischiando di coronare la più grande rimonta nella storia di un Super Bowl, uscendo di scena a testa altissima, e dovendo giustificare la sconfitta con dei mea culpa (leggi yards di penalità , strategia non azzeccata contro la pass rush e turnovers decisivi) e non passando come la squadra debole di turno che viene massacrata dalla più forte. Questo gruppo ci credeva davvero, reggere in mano il Vince Lombardi Trophy, per un attimo, era diventata una realtà di cui solo i membri di questa organizzazione sapevano di poter trasformare in concretezza.
Forse è un po' per questo che dispiace vedere Larry Fitzgerald, un campione di proporzioni colossali, a maggior ragione dopo la qualità dei suoi playoffs, ripetere "No" all'infinito dopo il touchdown di Santonio Holmes a 35 secondi dalla fine, quando pochi istanti prima un suo sprint aveva ridicolizzato davanti agli occhi del mondo la difesa più forte della Nfl. Oppure scrutare lo sguardo triste di Kurt Warner, che un Super Bowl l'ha già vinto, ma che ne avrebbe meritato un altro per la sua grande storia tipicamente americana, la storia di uno che si è emerso solamente grazie alla fede incrollabile nelle proprie possibilità . Che ha reagito comunque da gran signore, dicendo davanti alle telecamere che la sconfitta non faceva male come avrebbe potenzialmente potuto, perché tra emozioni post-gara emergeva l'orgoglio di appartenere ai Cardinals e di averli portati dove nessuno mai era riuscito prima, da quando la finale del campionato si chiama Super Bowl. C'è andato vicino, all'impresa, dopo aver lanciato un intercetto che avrebbe steso un cavallo. Ma lui, l'errore, se l'è scrollato di dosso con la solita determinazione.
Perdenti? No, non più. Il gruppo è molto buono, ed il futuro sembra essere conseguentemente roseo. Il pubblico si è avvicinato molto alla squadra dopo anni di sofferenze sportivamente lancinanti, cosa che può fare molta differenza quando si ha a disposizione uno stadio grande, rumoroso, che contro gli Eagles nel Championship fece tremare la terra sotto i piedi dei cactus.
In Arizona i Cardinals se li filavano in pochi, ora sono andati in 4.000 a salutare la squadra al rientro da Tampa, ringraziandoli per quello che è stato un bellissimo sogno, e sarà comunque un grande ricordo. I campioni della squadra hanno mostrato umiltà , come nel caso di Fitzgerald, disposto ad auto-ridursi lo stipendio pur di aiutare la dirigenza a rinnovare il contratto di Boldin. Ci riproveranno, con o senza Warner, magari con un Leinart nel frattempo maturato al suo posto, chissà , solo il passare della offseason saprà dare delle risposte da parte di chi è ora chiamato a fornirle.
E finalmente, l'anno venturo, nessuno si azzarderà ancora a dare per morti i Cardinals prima che qualsiasi partita venga prima disputata sul campo. In fondo, per due minuti, sono stati campioni del mondo anche loro.