L’Mvp appartiene a Peyton

Peyton Manning ha fatto il tris.

Alla fine l'ha rispuntata Peyton. Sembrava davvero l'anno in cui il premio di Most Valuable Player del campionato Nfl sarebbe potuto e dovuto andare in direzione di un giocatore difensivo, evento storico che rievoca la terrificante figura di Lawrence Taylor, linebacker capace di ottenere il premio nel lontano 1986 ed ultimo giocatore appartenuto ad un reparto difensivo a compiere tale impresa.

Suoi emuli sarebbero potuti diventare Albert Haynesworth, eccellente defensive tackle dei Tennessee Titans detentori del miglior record Nfl, oppure James Harrison, membro più significativo di un quartetto di linebackers che costituisce l'asse portante della seconda miglior squadra della Afc, Pittsburgh.
Nonostante numeri da capogiro, numeri che avrebbero potuto scrivere sulla lista anche il sensazionale DeMarcus Ware (20 sacks) se solo Dallas avesse mantenuto il passo di inizio stagione, un premio del genere assegnato ad un difensore sembra essere un'azione che i votanti, per il momento, non sembrano intenzionati a ripetere.

Dovendo quindi scegliere da una rosa di elementi offensivi e trovando diversi motivi per non scegliere né l'uno e né l'altro, è emerso ancora una volta il nome di Peyton Manning, quarterback degli Indianapolis Colts, responsabili di una rimonta davvero rimarchevole , divenuto così il secondo giocatore ogni epoca a ricevere per la terza volta il premio di Mvp (lo era già  stato nel 2003, assieme a Steve McNair e nel 2004), traguardo fino a ieri raggiunto dal solo Brett Favre.

Una vittoria che se assaporata dai fans ha il sapore della sorpresa, perché sembravano altri i candidati ideali alla conquista del riconoscimento, se si pensa alla qualità  del campionato giocato da Brandon Jacobs, running back dei Giants che ha trainato la sua squadra conquistando vittoria su vittoria prima di crollare sotto il peso dei problemi fisici, oppure ai numeri ottenuti da Kurt Warner, quarterback dalla seconda giovinezza in corso, che nel fuego dell'Arizona ha ritrovato scenari degni del suo Greatest Show On Turf targato St. Louis Rams, però penalizzato da una division, la Nfc West, assai avara di concorrenti degni, fattore che pesa persino di più del primo titolo divisionale vinto dai Cardinals dal 1975 quando, guarda caso, si trovavano proprio a St. Louis.

Manning ha vinto con 32 dei 50 voti complessivi a proprio favore, ed i giocatori qualificatisi al secondo posto, Michael Turner e Chad Pennington, ne hanno ricevuti quattro a testa, seguiti proprio da James Harrison con tre. Haynesworth? Assente. Jacobs? Nemmeno l'ombra.
I maligni sostengono che, in un anno dove non c'erano candidati realmente validi nel meritare tale elogio, sia stato selezionato un uomo che della Nfl rappresenta l'immagine in tutto il mondo, che appare in una pubblicità  su cinque quando il carosello di interminabili pubblicità  tra un punt e l'altro fa il suo naturale corso sulle emittenti americane, un affare di convenienza quindi, ma discorso molto superficiale se si vanno ad analizzare alcuni aspetti molto importanti della stagione di rincorsa giocata dalla squadra capeggiata da Tony Dungy.

Una doverosa premessa va pur fatta, e consta nel ricordo di quella duplice operazione al ginocchio che ha fatto saltare training camp e preseason intere al futuro hall of famer, il che ha determinato completa assenza di ritmi offensivi in prossimità  dell'inizio degli impegni veri, e risultati sul campo che sono arrivati con un ritardo che sarebbe potuto essere letale.
Chi ha seguito difatti i Colts degli ultimi anni sa che normalmente la squadra arriva imbattuta almeno a metà  stagione, frutto di un meccanismo offensivo oliato alla perfezione che negli anni è riuscito a colmare diverse lacune difensive, trasformando Indy in una macchina macinante yards e punti in quantità  industriali.

Ecco quindi svelato il motivo di una partenza molto difficile, 3-4, che ha costretto Manning e soci ad interpretare ogni partita successiva con le spalle al muro, sapendo di non potersi più permettere errori di quel genere. Con la concomitanza del ritorno a ritmi consoni all'attacco sono immediatamente ritornate anche le vittorie, nove di fila per chiudere la stagione, facendo passare i Colts da squadra in serio pericolo playoffs a compagine degna della sua fama precedente, capace di terminare a quota 12-4 nella pur sempre competitiva Afc (i Patriots, ricordiamo, sono restati davanti al televisore con un ottimo 11-5).

Quanto ha pesato Peyton Manning nell'economia di successi della sua squadra?

Questa la domanda che la logica di ogni sacrosanto sport americano segue, non si soppesa chi abbia giocato meglio, fatto più mete o accumulato i più rimarchevoli numeri, bensì quanto importanti si sia stati per i propri colori, o se preferite, quale risultato avrebbe ottenuto una determinata squadra togliendo dalle proprie file quel determinato giocatore.

Ed è stato proprio quest'ultimo ragionamento a far scattare la molla che ha fatto premere il grilletto a quelle 32 persone, che hanno considerato l'assenza di un running game credibile e costante ad appannaggio di questo attacco, causata dai problemi fisici di un Joseph Addai comunque responsabile della media a portata più bassa della sua sinora produttiva carriera, problema evidenziatosi anche nelle statistiche di Dominic Rhodes, l'altra metà  di un sistema che ha prodotto poco più di 1.000 yards stagionali, ovvero meno di quanto un running back tra i più forti riesca a fare da solo.

Ecco che i numeri di Manning, sebbene inferiori a quelli di altri pari ruolo, prendono degli altri significati: senza un running game degno di tale nome, si sa, non è possibile tenere oneste le difese, che prima o dopo prendono le misure ed intuiscono con sempre maggiori velocità  quando un attacco tende a diventare mono-dimensionale. Fatto che ai Colts è accaduto, con la differenza che le selezioni di lancio di Manning, la sua precisione nel lanciare traiettorie anche quando stanco, e la capacità  di colpire ogni ricevitore grazie al dono di saper effettuare ogni tipo di lancio possibile su un terreno di football si sono rivelati chiave di volta essenziale per il turnaround della stagione dei Colts, che soprattutto grazie alle sue 4.002 yards con 27 passaggi da touchdown ed il 67% di completi a corredo, sono riusciti a superare ostacoli divisionali pericolosi come Pittsburgh, San Diego e New England, tutti fondamentali per un record di conference assolutamente determinante per la corsa ai playoffs.

Determinando quindi chi sia stato il giocatore più determinante per la sua squadra, la scelta di Manning appare quindi ancora un tantino sorprendente, ma perlomeno ampiamente giustificata: i Giants sono andati avanti anche senza Brandon Jacobs, ottimamente sostituito da Derrick Ward, i Titans hanno mantenuto pressoché inalterata la loro dominanza nelle trincee difensive anche quando Haynesworth è uscito di scena per infortunio, Philip Rivers ha fatto molto ma lo ha fatto tardi, perdipiù in una division mediocre come la Afc West, in grado di regalare una qualificazione alla postseason con un record di 8-8.

I Colts? Senza il loro tre volte Mvp, i playoffs li avrebbero visti con il binocolo"

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