L'emblema della seconda parte del campionato dei Redskins: Campbell a terra dolorante…
Non c'è che dire, dopo un inizio del genere c'eravamo cascati un po' tutti. Sembrava davvero che la solita, annosa, solfa fosse cambiata sotto il soffiare del fresco vento portato da Jim Zorn, adepto della West Coast Offense cresciuto e perfezionato sotto l'ala protettrice di Mike Holmgren a Seattle, assunto per gestire il post-fine del secondo ciclo ai Redskins firmato dal leggendario Joe Gibbs. Per un momento avevamo addirittura pensato che Dan Snyder, l'owner dal dollaro facile, fosse riuscito a rinsavire, ad effettuare delle scelte logiche dettate dallo studio del comportamento delle franchigie vincenti del giorno d'oggi e non, come accaduto in passato, scialacquando quattrini (poco male, finchè sono i suoi") e risorse umane (leggi scelte al draft) per ottenere un tutto e subito che stenta ancora ad arrivare vicino al proprio compimento.
A giudicare dalle prime partite, pareva davvero che il salto di qualità tanto atteso a Washington si fosse concretizzato e che uno alla volta i tasselli che dovevano comporre il quadro finale avessero cominciato a muoversi verso la direzione giusta: la dubbia scelta di un head coach nemmeno passato dalla tradizionale carica di coordinatore (Zorn allenava i quarterbacks dei Seahawks - ndr) era presto stata apparentemente smentita dai fatti, sostenuti dalle relative prove sul campo che Jason Campbell aveva fornito continuando i progressi compiuti sinora, potendo contare su un ottimo rapporto con l'allenatore appena arrivato e potendo quindi superare con disinvoltura quelle ombre gettate su di lui da chi sosteneva che un quarterback giunto al terzo sistema offensivo da imparare nel giro di soli quattro anni non avrebbe potuto primeggiare sin dalla presente stagione.
Errato, perlomeno a giudicare dalle prime otto partite, dove i Redskins erano secondi solo agli exploits degli imbattibili Giants ed avevano inaspettatamente raggiunto quota 6-2, vincendo sempre con fatica, ma, appunto, vincendo, cosa che non erano riusciti a fare con costanza negli ultimi 15 semi-disastrosi anni di gestione. Ad una difesa già forte, mantenutasi su alti livelli competitivi anche dopo il licenziamento del guru Gregg Williams, veniva finalmente supportata da un attacco variegato, produttivo, il contrario, in poche parole, delle paludi offensive con annesse chiamate scontate dell'era Gibbs, allenatore che aveva in gran parte fallito gli obbiettivi del suo secondo mandato perché non era riuscito a comprendere che il gioco degli anni ottanta, nella Nfl dei giorni nostri, per vincere non serviva più.
West Coast Offense, guadagni costanti e limitati, una bomba downfield ogni tanto, e tutto sembrava aggiustato: in rapida successione Washington era riuscita ad imporsi su avversari importanti come Dallas, Philadelphia, New Orleans ed Arizona con vittorie consecutive, creando molto rumore attorno a quella che sembrava essere finalmente tornata tra le squadre più in forma dell'intera lega. Del vecchio regime Zorn aveva tenuto solamente il running game, sospinto da un Clinton Portis Mvp della prima metà dell'anno, un gioco di corse basato sulla potenza e sulle abilità di ricerca dei varchi, che quando imposto apriva enormi possibilità per il nuovo gioco aereo, che Campbell aveva applicato alla semi-perfezione (8 partite in fila senza intercetti) ritrovando un'intesa sul profondo con il letale Santana Moss, contando sulla disarmante (per le difese) puntualità di Chris Cooley quando c'era da prendere un primo down, e riuscendo a coinvolgere maggiormente un Rande-El autore della sua migliore annata in maglia burgundy and gold, non tanto per le statistiche fine a se stesse, piuttosto per la qualità del suo gioco.
Certo, capitava ancora che qualcosa s'inceppasse perché una West Coast Offense non la si digerisce nel giro di un mese, accadeva che la difesa dovesse fare gli straordinari anche contro squadre non irresistibili, sostenuta dalla frenetica attività dell'inaffondabile London Fletcher, uno che l'anagrafe non sa cosa sia, e da un pacchetto di secondarie notevolmente migliorato, toccato dalla prepotente ascesa di un cornerback divenuto molto fisico come Carlos Rogers.
La prima parte del campionato era stata quindi positiva, perché una sconfitta in apertura contro i Giants con i meccanismi non ancora oliati ci stava ampiamente, ed a fatica ci poteva stare anche una battuta d'arresto contro gli stessi Rams che nel giro di una settimana si erano sbarazzati di Redskins e Cowboys per poi ripiombare nella mediocrità .
Mediocrità che ha finito invece per avvolgere la squadra della capitale, che da team da playoffs è ritornata ad essere copia sbiadita della sua vecchia versione, contraddistinta quindi da un attacco prevedibile, dall'incapacità di gestire i vantaggi, e dalle eccessive richieste inoltrate nei confronti di una difesa che aveva sempre fatto del suo meglio, ma che di fronte alla stanchezza accumulata da una sempre crescente presenza in campo aveva cominciato a dare preoccupanti segni di cedimento.
Ecco spiegato l'1-5 con cui i Redskins sono usciti dalle ultime 6 partite disputate, ed ecco spiegato un comportamento remissivo, quasi disinteressato, nei confronti di una corsa ai playoffs che è del tutto sfuggita di mano. L'apparente tranquillità che aveva pervaso l'ambiente dopo le prime vittorie se n'è andata con la velocità medesima con la quale era giunta, la serenità dei giocatori è stata minata dall'arrivo dei primi cattivi risultati e dalla pressione mediatica che questi hanno inevitabilmente conseguito, ed il fattore psicologico si è riversato interamente sul campo, laddove le brillanti prestazioni offensive di inizio stagione sono diventate una semplice ripetizione di parte di ciò che si era visto negli ultimi tre anni, con la parola prevedibilità a mettersi ancora una volta in primo piano.
Parte dei problemi può essere individuata nella linea offensiva, reparto nel quale Stephon Heyer, tackle al secondo anno non draftato proveniente da Maryland, aveva soffiato il posto a Jon Jensen, nientemeno che il giocatore che più a lungo, nel presente roster, ha militato a Washington, alle prese con perenni problemi di infortuni (due presenze in injured reserve negli ultimi quattro anni) non più ritenuto idoneo a partire titolare, salvo il ripensamento di Zorn strada facendo. Linea offensiva che appare oggi come un collage di soluzioni adatte a tamponare le emergenze più che altro, dato che Chris Samuels ha salutato la compagnia giusto una settimana fa per un grave problema al tricipite, e che la presenza di Peter Kendall e Jason Fabini, vista l'età delle due guardie, non dava certo assicurazioni circa la futuribilità e lo sviluppo della trincea.
Il calo progressivo registrato soprattutto in fase di protezione del quarterback ha avuto pesanti conseguenze sulla produzione offensiva, calata drasticamente nel momento stesso in cui la pressione delle difese avversarie permetteva di mettere le mani su Campbell molto più spesso, fatto che unito alla tendenza del regista stesso di tenere la palla uno o due secondi più del normalmente consentito aveva impedito la ricerca svelta di qualche ricevitore libero, e la presenza di un bloccatore aggiunto, spesso il tight end Todd Yoder, permetteva a Zorn di mandare in campo solamente due wide receivers al posto di tre. Il mancato sviluppo delle tre scelte alte dell'ultimo draft, Devin Thomas, Malcolm Kelly e Fred Davis, ha solamente appesantito la mancanza di alternative a disposizione di Campbell, fattore in parte determinate per la lettura di due statistiche significative, che vedono i Redskins essere all'attualità una delle tre sole squadre a non aver raggiunto quota 30 punti quest'anno, nonché quella di continuare ad essere nella seconda metà delle classifiche offensive, come accaduto in cinque delle ultime sette annate.
Altro problema: Portis aveva dato tanto, tantissimo alla causa, il suo fisico aveva cominciato a presentargli il conto ed il chilometraggio dei suoi polpacci non gli consentiva la potenza e la capacità di rottura del placcaggio vista in precedenza, con l'aggravante di non poter disporre di una valida alternativa per farlo rifiatare, dal momento che Ladell Betts non aveva mantenuto le promesse del 2006, quando aveva terminato con grande successo la stagione al posto dello stesso Portis, al tempo gravemente infortunatosi.
Portis che proprio di recente è stato protagonista di un episodio che aveva fatto intuire la rottura del giocattolo, quando durante un'intervista rilasciata alla radio si era permesso di criticare esplicitamente il suo coach dopo la sconfitta di Baltimore, reo di averlo lasciato a sedere nel momento in cui la squadra avrebbe avuto bisogno del suo giocatore più rappresentativo. Zorn, che nonostante l'atteggiamento educato e tranquillo le idee ce le ha chiare, aveva risposto che visto lo svantaggio aveva deciso di inserire Betts per gestire meglio gli schemi di screen, dal momento che il backup aveva dimostrato, appena ricevuto il pallone, di saper reagire con maggiore velocità rispetto al compagno. E con uno spogliatoio diviso, un running back irrispettoso ed insubordinato nei confronti di un coach (per quanto questi possa essere un rookie), ed un Zorn addirittura giudicato in cattive acque per aver scelto di applicare le sue idee e non quelle del suo owner, di certo a vincere non si sarebbe riusciti mai e poi mai.
E' quindi dimostrabile che le potenzialità c'erano tutte, e quello che funzionava prima, con maggiore attenzione ad alcuni dettagli, sarebbe potuto funzionare anche adesso, dando quella continuità che serve alle squadre per fare il salto a seria contender per il Super Bowl. C'è da sperare che quanto vissuto quest'anno serva a tutti di lezione per l'anno venturo, e che la offseason non conduca ad altre decisioni clamorose prese da una dirigenza che, a modesto avviso di chi scrive, finchè deterrà la titolarità della franchigia, non riuscirà mai a portare buoni risultati ai Redskins.
Ci si proverà ancora una volta, a vincere, ma per farlo la strategia dovrà essere consona agli obbiettivi prefissi, e quindi essere atta a costruire qualcosa che possa essere durevole per il futuro e che possa garantire profondità a tutti i reparti in caso di infortuni, altra manchevolezza grave che si è fatta sentire dopo gli infortuni di gente importante come lo stesso Portis ma anche come Marcus Washington, Cornelius Griffin, Shawn Springs e Jason Taylor, i quali non a caso hanno superato tutti i trent'anni. Zorn, infine, dovrà decidere se siano gli schemi o l'applicazione degli stessi a non funzionare, in quanto lui stesso si è contraddetto più volte quando interpellato dalla stampa circa l'argomento.
Queste, tuttavia, sono pur sempre parole già sentite un anno fa. Ed anche quello prima. Ed anche in quello prima ancora. Qualcosa ci dice che quando si presenterà ancora la minima impressione che Dan Snyder e Vinnie Cerrato possano sul serio aver dato una svolta positiva a questa gloriosa squadra, cercheremo di non abboccare al loro amo. Preferiamo credere a chi, anche contro le volontà del proprietario, sa di essere pagato per riportare in loco le giuste abitudini vincenti, infischiandosene, per una volta, delle idee di chi, questa squadra, l'ha rovinata con i propri infiniti denari.