Cadillac Williams festeggia un primo down contro New Orleans. Segnerà anche un TD e il suo ritorno rappresenta una grande speranza per Tampa Bay
Probabilmente è già stato detto, ed anche parecchie volte, ma a settembre alcuni definivano l'attuale stagione Nfl come una "lontana sorella" di quella targata 2002. Ammesso che possano davvero esistere stagioni imparentate per qualche motivo che non sia il vincitore finale, oggi non sembra più così probabilmente nemmeno a quelle persone, molto più esperte e vicine al gioco di noi, che affermarono tale concetto, ma ad averci creduto seriamente sembrano essere stati i Tampa Bay Buccaneers, loro sì davvero gli unici in grado di creare un legame forte ed inopinabile con il campionato di sei anni fa.
Guidati sempre da Jon Gruden, le cui azioni crollano di volta in volta salvo poi risalire con botte improvvise che fanno piangere di invidia gli investitori di Wall Street, i Bucs si ritrovano in una situazione di dominio non proprio coincidente a quella che li vide trionfare nel 2002, quando il loro coach, al primo anno sulla sideline, si laureò come il più giovane allenatore a vincere un Vince Lombardi Trohpy.
Se la squadra non è però tosta come quella di allora e la division (la Nfc South) è decisamente più incerta, i numeri non difettano alla franchigia della Florida che, lunedì notte, si giocherà a Charlotte la vetta della classifica dopo aver battuto i Panthers nel match di "andata" per 27-3. Una settimana di attesa e poi tutti in Georgia ad affrontare i Falcons (battuti 24-9 a settembre nella week 2) per ridefinire i confini della division e stabilire le gerarchie per i playoff. Tre squadre in corsa, tutte e tre con il loro motivo di interesse, ma con il mondo pronto a scommettere tutto su Jeff Garcia e compagni. Il 9-3 in classifica non rende però per nulla sicura la presenza di Tampa a gennaio, tanto che gli ultimi in classifica, i Saints, si trovano con un record di 6-6 ancora disposti a credere in un miracolo.
I Bucs passano però da un 3-1 in division che li mette in cima alle preferenze, anche se la partita con Carolina verrà giocata su un campo che vede imbattuti i Panthers, proprio come succede ai Bucs quando giocano di fronte ai 65mila del Raymond James Stadium, stadio che ospiterà il prossimo Super Bowl: imbattibili. Sei partite, sei vittorie.
I Buccaneers puntano tantissimo su una difesa come al solito solidissima ma, quest'anno, decisamente più misurata in incontri di livello di quanto non sia stato per il 2007 quando, l'esordio ai playoff con i NY Giants, palesò i limiti di un roster che sembrava giunto fino a lì quasi per inerzia. Un reparto difensivo che vive del sempreverde Kevin Carter, anche a 35 anni capace di infastidire il backfield avversario come ai bei tempi. Una difesa che si regge su una linea solida, capace contro le corse (sotto le 100 di media le yard conquistate dagli avversari) e ottima nell'impedire il gioco aereo, grazie alla rapidità di linebacker come Cato June e alla maturità raggiunta da un Barrett Ruud quest'anno capace di portare anche 3 sack oltre al solito, ottimo contributo in fase di placcaggi contro i runningback avversari.
Le secondarie, abili e talentose, riescono a godere del supporto che il fronte 4 serve a tutta la squadra, sfruttando così l'aiuto che spesso proviene dai tre linebacker in copertura. Quando il blitz frequentemente chiamato Monte Kiffin ha effetto (25 sack quest'anno, ben redistribuiti tra i vari giocatori) per il quarterback avversario comincia una rapida scansione del campo che spesso, soprattutto nel raggio medio corto, trova cinque, sei, quando non sette giocatori che coprono e raddoppiano.
Se a questo aggiungiamo le qualità tecnico-atletiche di un vecchietto come Ronde Barber e l'ottima freschezza che ha effetto grazie a una buona rotazione generata da Phillip Buchanon, il rookie Aqib Talib e le safety Jermaine Phillips, Tranard Jackson e Sabby Piscitelli, tutti veloci e ben piazzati in campo, ci rendiamo conto di quanto sia difficile giostrare la situazione per chi deve rilasciare l'ovale.
Non per niente Tampa si trova ad essere la terza miglior squadra della lega come yard concesse su lancio e la quarta come punti subiti. La Cover 2 nella sua versione ribattezzata proprio Tampa, trova cuore ed energia dalle penetrazioni di una linea che riesce a ostruire i buchi per le corse e a mettere costante pressione sugli avversari tanto che, la marcatura a zona nelle retrovie, diventa imbattibile per buona parte dei quarterback che non abbiano troppo tempo di capire, studiare e rimediare. Ancora più difficile diventa quando, in caso di necessità , la difesa si prepara al lancio avversario, aumentando pressione nel box e schierandosi dietro in una Cover 3, sfruttando così le fughe centrali della SS Phillips e piazzando a uomo gli altri tre defensive back per un lancio lungo con la scontata libertà per la free safety di spostarsi sulle flat se la situazione lo richiede.
Una giocata perfetta, dove servono tempismo e velocità ma dove serve soprattutto un blocco a 7 davanti capace di buttare giù qualsiasi tipo di muro. E se è scontato che per vincere domenica, e poi ancora la domenica successiva, conquistarsi un posto ai playoff e puntare dritti dritti al Super Bowl da giocare in casa propria, la difesa debba mantenersi su questi standard è altrettanto ovvio che, in attacco, si arrivi ad inserire una marcia diversa.
Jeff Garcia può essere l'uomo giusto: dopo aver riconquistato il posto da titolare che perse in favore di Brian Griese, ha ricominciato a macinare un gioco intelligente e misurato, mostrando di avere ancora buoni movimenti sulle gambe ma, soprattutto, grandissima intelligenza e ottimo tocco sul cuoio. Non è certo un volo estremo quello sviluppato dal gioco aereo dei Buccaneers che, anzi, molto spesso appaiono sin troppo conservativi e non sembrano davvero padroni di frecce inarrestabili per armare il proprio arco. Per questo molti dei successi devono ruotare attorno alle corse, le undicesime della lega con 118 yard di media.
Dopo l'infortunio di Earnest Graham (4.3 di media) però il mondo di Tampa è però tremato. Il ragazzo è finito in IR e la sua stagione finita. Le corse rimanevano lavoro per Warrick Dunn, ma l'ex giocatore dei Falcons, seppur protagonista di una stagione positiva anche se sottolineata 8come sempre) da pochi touchdown, compirà 35 anni a gennaio e il suo ritorno in patria (era stato a Tampa anche dal 1997 al 2001) rischiava di tramutarsi in un calvario. Fino a domenica scorsa, quando dopo più di un anno (esattamente dal 30 settembre 2007) Carnell Williams, in arte Cadillac, è tornato a solcare la goal line palla in mano.
Un sollievo per lui, per i tifosi, per gli appassionati; dopo l'infortunio che rischiò di costargli la carriera Cadillac era rientrato contro Detroit parecchio arrugginito e comprensibilmente spaesato (16 portate, 27 yard), poi quattro giorni fa la sfida coi Saints, 4 corse per 20 yard e un ovale da sei punti. Williams ha un mese di tempo per riprendere un ritmo partita decente e contribuire alla causa, rendendo Tampa solida nell'unico settore che può davvero permetterle di rimanere in partita quando è ora di muovere la catena sfruttando lo sforzo difensivo quest'anno di maestosa importanza.
A Williams, talento rapido ed efficace, non si chiede di tornare da subito il giocatore che nei primi due anni di Nfl aveva piacevolmente sorpreso il pubblico (fu offensive rookie of the year nel 2005) ma di togliersi i pesi di dosso e di stare lontano dagli infortuni. Scontato, e ovviamente indipendente dalla sua volontà , ma se riconquistasse un minimo di ritmo potrebbe garantire a Warrick Dunn lo svolgimento del grosso del lavoro, dandogli la chance di rifiatare e di non sentire troppo il peso dei 35 anni. Dieci portate a partita, magari 15 se le gambe girano a dovere ed il running game dei Bucs potrebbe davvero essere di ottima fattura.
Se Cadillac riuscisse ad essere l'ago della bilancia di questo attacco e proponesse almeno parte del suo repertorio allora molti tasselli andrebbero al loro posto in automatico, permettendo a Tampa di continuare sul filone espresso finora, fatto di grande difesa e gioco solido, costante e ragionato in avanti. Se questi tasselli andassero a posto avremmo forse, a febbraio, una risposta a quella copertina di un The Sporting News di parecchi anni fa, quando Gruden ancora allenava gli Oakland Raiders. "Is Jon Gruden perfect?", si domandavano sulla nota rivista americana. Perfetto no, ma se vincesse con questi Bucs diremmo che sarebbe arrivato davvero vicino alla perfezione. Almeno a quella sportiva.