Per Andre Johnson è arrivata un'altra gara dominante: è il cuore dell'attacco dei Texans.
Che cosa sarà mai successo ai Jacksonville Jaguars? Non è affatto facile rispondere ad una domanda del genere a maggior ragione dopo aver assistito ad un'altra imbarazzante prova della squadra di Jack Del Rio, la quale doveva essere la candidata alla vittoria nella Afc South, tra le favorite per tentare la corsa al Super Bowl, e ricca di altri numerosi aggettivi sontuosi, dotata com'era di difesa forte ed attacco fisico, che faceva di libbre e potenza il proprio credo personale.
Ad un anno di distanza la stessa compagine che aveva portato a casa 11 vittorie in regular season (il parziale odierno parla di un deprimente 4-8), che aveva espugnato Pittsburgh in un'entusiasmante Wild Card, che aveva opposto resistenza con tutti i propri mezzi ai fortissimi Patriots, è completamente diversa, demotivata, persa nel nulla, quasi a far intravedere che la nomea di favorita non riesce a trainare le motivazioni del gruppo tanto quanto vi riusciva il fatto di essere considerati dei perenni sfavoriti in una Afc dai nomi e dalle potenzialità altisonanti.
Jaguars che sono stati dominati da principio a fine di un Monday Night storico, il primo di sempre ospitato e giocato dagli Houston Texans (l'ultimo, in città , venne giocato dagli Oilers nel 1994 – ndr), per l'occasione vestiti completamente in rosso ed in possesso di un fuoco sacro acceso dentro di loro, sospinti dall'entusiasmo di un Reliant Stadium finalmente sotto le luci dei riflettori nazionali per incitare i propri beniamini, non solo per far accomodare tra i propri seggiolini i tifosi neutrali di qualche Super Bowl passato.
Jaguars irriconoscibili, a partire da David Garrard, tre intercetti nel 2007, 9 nel 2008, un rating scemato vertiginosamente ed una serie di decisioni con diverse partite ancora in bilico che hanno fatto discutere e perdere oltremisura, e per proseguire con un Fred Taylor probabilmente giunto all'ultima fermata della sua carriera con la maglia con cui ha pareggiato proprio ieri il record di touchdowns di franchigia stabilito da Jimmy Smith qualche tempo fa. Per non parlare di un gruppo di ricevitori fisico, il quale usava attendere l'imposizione del gioco di corsa per sfruttare le susseguenti finte e liberarsi per guadagni corti ma costanti, che diventavano ancor più impeccabili ma n mano che ci si avvicinava alla redzone, dove i centimetri di Matt Jones, Reggie Williams e Marcedes Lewis (di Jerry Porter, clamoroso bust della free agency, meglio non parlare…) avevano fatto parecchia differenza.
A fare la differenza è stato invece Steve Slaton, prodotto della spread offense di West Virginia, la versione ancora targata Rich Rodriguez, giunto a Houston al terzo giro dello scorso draft dopo che il suo status era sceso per via di qualità fisiche non eccellenti, leggerino e non in grado di sobbarcarsi un attacco intero si diceva, e del dover imparare dal nulla gli importanti bloccaggi che un running back deve saper fare su un campo professionista, ma che negli schemi dei Mountaineers nessuno gli chiedeva di fare, uno Slaton che si è rivelato il vero mattatore della serata, il giocatore capace di dare una marcia in più, colui in grado di risolvere e rompere con una sola giocata.
E' stato lui a chiudere questa partita, cosa che i Texans non erano riusciti a fare nel giro di tre quarti pieni di gioco, vista l'inaffidabilità delle decisioni prese da Sage Rosenfels (14/24, 200, TD, INT) e l'incapacità di segnare con costanza dopo aver recuperato un intercetto ai danni di Garrard ed aver usufruito di eccellenti posizioni di partenza per l'attacco grazie al lavoro sui ritorni del sempre positivo Jacoby Jones e del compagno Andre Davis.
Due le mete siglate da Slaton, entrambe nel quarto periodo, 182 le yards accumulate sommando corse e ricezioni, che hanno sopperito alla mancanza nel backfield di un vero e proprio cavallo da tiro (Ahman Green, in injured riserve, non ha mai convinto nemmeno da sano) e nel contempo limitato il numero di lanci profondi di Rosenfels, che ogni qualvolta metta aria un pallone fa tenere troppo a lungo il fiato sospeso al suo coaching staff.
Con il presupposto che le corse funzionino e che vi sia qualcuno che porta la palla in endzone, questo attacco, quarto nella Nfl per yards prodotte ma solo diciannovesimo per punti segnati, ha dimostrato di aver fatto dei passi da gigante, e che è pronto per funzionare alla condizione che trovi un minimo di costanza. Non dimentichiamo la presenza del grande Andre Johnson, che del gioco aereo è il faro, che ha tenuto in piedi da solo il reparto per tutto il primo tempo arrivando a fine gara con 7 ricezioni e 75 yards con meta al seguito, con un utilizzo particolarmente ridotto nella ripresa proprio in concomitanza delle maggiori chiamate offensive riservate al running game.
Forse il quadro comincia a completarsi per Gary Kubiak, ex pupillo di Mike Shanahan, il cui figlio, a soli 28 anni, non a caso è l'offensive coordinator di questi Texans in via di crescita e sviluppo.
Se Slaton ha potuto chiudere la gara in quel modo, lo deve comunque a SuperMario Williams, sempre più determinante, sempre più idolo locale: la prima scelta del draft 2006 ha dimostrato di rendere di più quando il palcoscenico è più importante, lo aveva già fatto constatare un anno fa, di giovedì sera, quando aveva steso Jay Cutler in tre differenti occasioni ripetendosi con uguali statistiche in questo primo Monday Night di franchigia, forzando, tra l'altro, proprio quel fumble che ha creato la posizione di partenza ideale per il successivo touchdown del 23-3 parziale (30-17 il finale), dopo del quale era divenuto fin troppo chiaro che i Jaguars non avrebbero più avuto le forze per reagire, spedendo un messaggio chiaro ed esplicito: la squadra ha mollato, e la stagione era già finita due settimane fa, perché questo è ciò che si è desunto dal solo linguaggio del corpo non solo di questa partita. Non ingannino le 287 yards di Garrard ed i 17 punti messi a referto, entrambi frutti raccolti quando i buoi erano già scappati da una settimana dalla stalla…
Vince Young è in panchina, e con Kerry Collins al suo posto i Titans stanno vivendo la miglior stagione della loro storia. Steve Slaton era stato scartato da molte squadre perché doveva essere un running back da terzo down, ed invece si è caricato l'attacco sulle proprie spalle, cosa che Reggie Bush non ha saputo fare a New Orleans. Mario Williams doveva essere un bust e con la prestazione di ieri ha raggiunto la doppia cifra in sacks per la seconda stagione consecutiva su tre giocate, confermandosi come uno dei migliori defensive end della Nfl.
Qualcuno osa ancora dare della pazza alla dirigenza di Houston?