Grazie di tutto, hard hitter

John Lynch si è ritirato dopo quindici anni di football Nfl.

Leggendo gli scouting reports contenuti in tutte le guide pre-draft che si rispettino, c'è un termine che rimane bene impresso nella mente quando viene analizzato il ruolo di safety: hard hitting.
Due parole che rendono l'idea delle caratteristiche fisiche e tecniche che la posizione richiede, il safety, in qualche caso un linebacker aggiunto, deve saper colpire con forza ma contemporaneamente con precisione, perché caricare un colpo al massimo solo per vedersi andare a vuoto è una delle più brutte figure che si possono fare su un campo di gioco di football.

Hard hitting, dicevamo. Un termine spesso accostato ad uno dei più grandi interpreti del ruolo di safety che la Nfl abbia conosciuto negli ultimi quindici anni, che lo scorso lunedì ha ufficialmente annunciato il suo ritiro dal football giocato. E' arrivato anche per John Lynch il momento di fare i conti con l'età  che avanza, con il passo che non è più quello di una volta, con tutte quelle piccole cose che prima portano ad una riduzione del tempo trascorso in campo, e poi scaturiscono nell'inevitabile presa di coscienza di aver dato tutto, corrispondente a quel momento in cui, bisogna sedersi di fronte a se stessi ed ammettere per una buona dannata volta la verità . E' finita.

La sua fama era ben conosciuta tra gli addetti ai lavori già  in uscita da Stanford, in quella primavera del 1993, il suo profilo parlava di un difensore estremamente dedito al gioco, di un feroce colpitore che adorava punire qualsiasi ricezione nel mezzo del campo, di un ragazzo in possesso delle giuste doti atletiche per giocare safety da professionista, quindi che non solo sapeva placcare con grinta, perché quello è solo la metà  del lavoro richiesto al piano di sopra, era capace anche di stare al passo dei wide receivers in copertura, doti che fecero di lui la scelta numero 82 del terzo giro del draft del '93. Al baseball, altro suo grande amore, aveva preferito il football.

Lynch arrivò a Tampa ancora quando i Buccaneers erano la barzelletta della lega. Erano gli anni dell'uniforme arancione e del logo vetusto, delle poche vittorie, delle difficoltà  economiche e del continuo buio che si continuava ad intuire lungo il tunnel, il cui fondo lucente non si intravedeva nemmeno, sembrava quasi una causa persa, e molti giocatori, quando scelti da Tampa Bay, non la prendevano nemmeno troppo bene. Non era certo questo il caso di John, la cui passione per il gioco avrebbe dimostrato di poter superare qualsiasi ostacolo.
Lynch fu il primo di una serie di giocatori che giunsero in Florida per risollevare le sorti della squadra, quel draft e i due successivi mirarono a coprire le lacune difensive che affliggevano i Bucs, i quali nel 1995 scelsero altre due colonne future, Warren Sapp e Derrick Brooks; altre mosse decisive furono eseguite dalla nuova proprietà , i fratelli Glazer, che nel '96 decisero di assumere Tony Dungy come head coach, e tagliarono i ponti con il passato mettendo per sempre in sgabuzzino quell'uniforme che ricordava solo eventi perdenti, dando quella sensazione di aria nuova che sui può respirare solo quando si è consci che si sta per essere parte di un nuovo inizio.

John Lynch, nei suoi 11 anni a Tampa, fu parte della vecchia guardia ma anche del nuovo corso, quello della Cover 2 allestita da Dungy e dal fido assistente Monte Kiffin, ribattezzata in seguito Tampa 2 per la perfezione con cui veniva eseguita da quella difesa sempre più forte, spre più di tendenza, e fu parte integrante di quella rinascita culminata con la vittoria del Super Bowl XXXVII contro Oakland, un successo di proporzioni clamorose che decretò John e molti dei suoi compagni come eroi sportivi di Tampa, gente che aveva resistito alle umiliazioni degli anni oscuri, alle sconfitte nei playoffs contro St. Louis e Philadelphia e che ora, sotto le direttive di Jon Gruden, era riuscita a trasformare il brutto anatroccolo in uno splendido cigno.

Non fu quindi facile per Lynch ritrovarsi invischiato in uno dei meccanismi più perfidi della Nfl di oggi, il salary cap, che antepone la contabilità  alla riconoscenza per quanto fatto con una determinata maglia. Bruce Allen, il general manager dei Buccaneers, gli fece capire che non si trattava di una questione di soldi, ma di età , perché respinse la richiesta di John di ristrutturare il suo contratto rendendolo meno oneroso per la franchigia permettendole di rifirmare altri compagni e di avere spazio per la free agency, ma il GM rifiutò puntando tutto sui 32 anni del difensore e sulla necessità  della franchigia di sguinzagliare la gioventù che scalpitava per giocare dietro lui.
Lynch venne rilasciato nel 2004 assieme a molti altri giocatori di Tampa, sapendo di essersi guadagnato con fatica lo status di costante Pro-Bowler e di avere quindi un mercato molto attivo nei suoi confronti nonostante la sua età , dichiarandosi scioccato e dispiaciuto dell'accaduto, precisando che l'evento non era nato per colpe sue, e che sarebbe comunque rimasto un Buccaneer a vita nel suo cuore.

Alla sua porta vennero a bussare i Denver Broncos, che fecero di lui uno degli elementi portanti della difesa di una squadra in cerca di superare il dopo-Elway, che aveva il dichiarato obbiettivo di tornare a vincere il Super Bowl. Mike Shanahan si rese subito conto del tipo di giocatore su cui aveva investito, complimentandosi con lui in diverse occasioni per il modo in cui eseguiva ogni singola cosa gli venisse chiesta con assoluta professionalità  e per la costanza del suo rendimento, nonostante fosse un veterano che avrebbe potuto benissimo atteggiarsi come molti altri, che dopo un certo numero di anni nella lega non hanno più voglia di sporcarsi le mani.

Con lui e la sua forte motivazione in campo i Broncos fecero i playoffs per due anni consecutivi e nel secondo, il 2005, arrivarono ad un passo dal Super Bowl XL dopo una regular season strepitosa, conclusa a quota 13-3, terzo miglior record della Nfl, e dopo aver battuto i New England Patriots nei divisional playoffs della Afc, in seguito ai quali dovettero arrendersi agli Steelers futuri campioni nel Championship giocato all'Heinz Field.
Seguirono due anni di declino, dove i Broncos vennero devastati dagli eventi, dalla morte violenta di Darrent Williams, dalla scomparsa di Damien Nash, i playoffs non arrivarono più e molti dei veterani della squadra si infortunarono gravemente o decisero di ritirarsi. Il picco di quella squadra era già  stato toccato, ed era giunto il momento di ricostruire.

In prospettiva, il 2008 doveva essere un anno dove Lynch avrebbe dovuto fare da chioccia per i giocatori emergenti, il management gli aveva garantito un ruolo da titolare facendogli tuttavia presente che il numero di snaps cui avrebbe partecipato sarebbe stato inferiore, perché John continuava a colpire come un ossesso, ma aveva perso quel passo di velocità  che gli consentiva di chiudere gli spazi in copertura, e sarebbe dovuto quindi uscire dal campo in quelle occasioni di passaggio dichiarato.

Deluso dalla notizia ed appesantito dalle acquisizioni in free agency dei Broncos, che firmarono i pari ruolo Marquand Manuel e Marlon McCree, chiese di essere rilasciato, e Shanahan non esitò ad accontentarlo vista la dedizione alla causa sempre dimostrata nei suoi confronti, permettendogli di cercarsi un posto dove avrebbe potuto giocare di più.
Lo firmarono i Patriots, che anni addietro, appena Tampa lo tagliò, se lo erano fatto soffiare: John si allenò con il consueto impegno per tutto il training camp, ma non riuscì ad entrare nel roster dei 53 che avrebbero fatto la squadra. Belichick, assecondandolo ed intuendo l'immediato futuro, gli fece giocare interamente l'ultima partita di preseason, che si rivelò essere la sua ultima con una maglia Nfl addosso.

John Lynch ha dichiarato finita la sua esperienza da giocatore a Tampa, il luogo che gli era rimasto nel cuore, davanti a molti dei vecchi compagni di avventure, assieme ai quali riuscì a cambiare per sempre al cultura perdente dei Buccaneers. Con signorilità  e sentimento, John ha deciso di ritirarsi con ambedue le uniformi delle squadre che hanno contraddistinto la sua carriera Nfl, ringraziando nel suo commiato persone come Sam Wyche, colui che lo scelse, Tony Dungy, colui che lo rese grande, Jon Gruden, con il quale vinse il Super Bowl, e Mike Shanahan, con cui avrebbe fortemente voluto vincerlo di nuovo.
Ai libri statistici lascia 224 partite ufficiali disputate, più di mille placcaggi, 13 sacks e 26 intercetti, oltre a riconoscimenti quali nove convocazioni al Pro Bowl, e due nomine per il team All-Pro della Nfl.

Domenica sarà  il turno di un nuovo esordio, dove John si sentirà  ancora una volta un rookie, questa volta dotato di giacca, cravatta e microfono: Jacksonville-Minnesota sarà  la sua prima partita da commentatore televisivo, attività  che, assieme a quella di allenatore, è l'unica che permette di restare in qualche modo attaccati al football americano. Con la sola differenza, che John non riuscirà  a digerire facilmente il fatto di non vestire più casco, paraspalle, ed il suo mitico numero 47.

In un colloquio familiare, reso noto nella conferenza d'addio, la moglie aveva tentato di consolarlo, un giorno che l'aveva visto un po' giù, dicendogli che tra dieci anni avrebbe sicuramente apprezzato il fatto di essersi potuto riposare e godere la vita anche nei mesi normalmente dedicati al football.

La risposta? "E' inutile che te lo ripeta, cara. Avrei voluto giocare per sempre".

Frase che riassume in sé quanto John Lynch ed il suo amore per il gioco siano significati per il football americano.

In bocca al lupo, hard hitter.

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