I clamorosi punt returns di Reggie Bush non sono serviti a far vincere i Saints.
Frustrazione. Questa l'unica parola utile per descrivere i sentimenti dei New Orleans Saints, che hanno cominciato questa stagione in netta salita in una division inaspettatamente competitiva, specialmente dopo una offseason spesa sistemare i buchi difensivi ed a prendersi uno dei migliori tight ends della lega per dare a Drew Brees un altro dolciume all'interno di quel negozio etichettato come l'attacco più spettacolare della lega.
Doveva essere di nuovo l'anno dei Saints, quelli che nel 2006 avevano sconfitto tutto e quasi tutti, fermandosi al Championship della gelida Chicago, ponendo le basi per una stagione susseguente dove il successo non era invece mai arrivato.
Doveva quindi essere l'anno della riscossa, dove la squadra avrebbe dimostrato di non essere una meteora passata lì per caso in mezzo a quelle che vincono sempre, i movimenti di mercato e le incertezze sulle dirette concorrenti li aveva posti ancora in cima alla Nfc South, qualcuno aveva persino pronunciato quella parola impronunciabile, Super Bowl, ma a pensarli in positivo, questi Saints, si porta loro sfortuna.
E' forse che si trovano a loro agio dovendo partire da perenni sconfitti, come già avevano dimostrato nel drammatico post-Katrina.
Nel clima carnevalesco di New Orleans, accentuato dal passaggio in città del Monday Night, i Saints sono riusciti a fare di tutto per non vincere una partita molto importante, che li avrebbe tenuti attaccati al gruppo di testa della loro division, e che invece li vede desolatamente all'ultima piazza (2-3 il record attuale).
Troppi gli errori da correggere, tanti i mea culpa da recitare: cinque turnovers complessivi, due fumbles perduti per strada, uno dei quali tra l'altro viziato da un'altra non chiamata della crew arbitrale presieduta dal discusso Ed Hochuli, un ammasso di yards cui metà delle squadre Nfl fatica anche solo a pensare di arrivare, tuttavia non corrisposto da un'adeguata trasformazione di tale produzione in punti offensivi, un vantaggio totalmente sprecato nonostante le spettacolari gesta del giocatore più rappresentativo della squadra, Reggie Bush.
Per larghi tratti della gara, difatti, sembrava quasi di assistere ad una presa in giro. Nemmeno il tempo di cominciare le ostilità e Brees aveva già punito con la letale playaction qui implementata dalla mente di Sean Payton, subito un paio di guadagni profondi ed un paio di segnature rapide, con Devery Henderson a raccogliere il proiettile del suo quarterback da una slant per inaugurare i punti a referto. Nel contempo una sottovalutata difesa aveva già preso le misure alla stella Adrian Peterson, alla fine tenuto a 21 portate per sole 32 yards, un dato eclatante, un affare per chiunque, una statistica che può voler dire vittoria per l'altra squadra, soprattutto viste le enormi difficoltà offensive in fase aerea che gli ospiti, i Minnesota Vikings, avevano sin qui mostrato.
Per giustificare un vantaggio di 20-10 all'intervallo, nonostante un evidente disequilibrio di yards e tempo di possesso, erano state sufficienti le imprese balistiche del cornerback Antoine Winfield, lesto nel prendere un field goal bloccato dal compagno Kevin Williams ed a compiere una volata in endzone di 59 yards, ed altresì protagonista del fumble forzato e recuperato ai danni di Brees in posizione di campo eccellente, azione andata a fruttare un touchdown pass per Chester Taylor, responsabile di un gioco-trucco chiamato da Childress dopo che lo stesso aveva probabilmente capito che persino un running back avrebbe lanciato un passaggio da touchdown con migliori esiti rispetto sia a Tarvaris Jackson che a Gus Frerotte, titolare per la seconda partita consecutiva.
Sembrava girare male per i padroni di casa, ma la sensazione che le cose fossero destinate a rimanere storte è stata letteralmente inghiottita dai big plays che Reggie Bush (176 yards su ritorno in singola partita, record di franchigia) aveva messo in scena nella ripresa, quando lo stesso aveva riportato in meta ben due punts avversari, mancando il terzo solamente dopo essere inciampato sul suo stesso piede.
E mentre viene da chiedersi cosa mai stesse pensando lo stratega che gestisce le chiamate degli special teams dei Vikings, le inquadrature andavano continuamente su un Brees (26/46, 330, TD, 2 INT) prima preoccupato, poi rilassato e sorridente, catturando un'espressione che riusciva a tradire quella sicurezza che riesce a dare solo la consapevolezza di un pericolo visto da vicino, ma poi sventato. Così non è stato. Il quarterback sarà poi costretto ad aprirsi, sostenendo che "e' stata una delle partite più pazze in cui sia stato coinvolto. Tutti questi cambi di leadership, queste emozioni contrastanti, sto ancora cercando di digerire tutto. Il problema è che alla fine della digestione emerge solo che abbiamo perso."
I Saints rimangono in disparte facendo il gioco dei se e dei ma, che comunque non serve, ovvio, a cambiare una realtà modificabile solo attrezzandosi al meglio per l'immediato futuro, lasciando da parte gli errori passati.
Si chiedono cosa sarebbe potuta essere questa partita se avessero avuto un kicker migliore di Martin Gramatica, che sbaglia le conclusioni più elementari in momenti caldi delle partite (e quest'anno non è la prima volta) ed infila improbabili calci di 53 yards, creando solo ulteriore confusione nella mente di chi deve decidere se andare avanti con lui o meno.
Si chiedono come possa essere stato possibile aver concesso un big play a Frerotte, che ha trovato il costoso (per il monte salari dei Vikings) Bernard Berrian (6, 110, TD) per il touchdown dell'aggancio dopo che in area di meta due ricevitori porpora avevano chiaramente rischiato di scontrarsi sbagliando traccia. Si chiedono come avrebbero potuto coprire meglio lo stesso Berrian nell'azione decisiva per il calcio vincente di Ryan Longwell, quello del 30-27 finale, e come sarebbe cambiata la partita se Deuce McAllister (6, 13), il power-back che manca a questo attacco, avesse avuto due operazioni ai crociati in meno.
A parziale consolazione della situazione in cui si sono messi da soli, i Saints possono evitarsi allarmismi eccessivi che sarebbe altrimenti stupido creare, dal momento che le partite più importanti per la Nfc South si disputeranno tutte nella seconda parte del calendario, nonché pensare che, nonostante la vittoria, nemmeno i Vikings possono sostenere di essere così contenti del campionato che stanno affrontando, favoriti com'erano per una facile conquista della Nfc North.
Conquista sponsorizzata dalle grandi spese affrontate nella pausa offseason, accompagnate dal clamore sollevato dagli arrivi di Berrian, Madieu Williams, Jared Allen, ma ancora alle prese con dei grandi problemi in regia, lungi dall'essere stati risolti da una comunque coraggiosa prova di Frerotte, che ha preso botte di ogni tipo e completato due autentiche preghiere nel quarto periodo, giocando una partita non così consistente come i suoi numeri potrebbero indicare (19/36, 222 yards, TD).
Comunque la si veda, Childress ha ammesso di non aver mai vinto in un modo così bizzarro, punendo con tale cattiveria gli errori degli altri, ma una vittoria è pur sempre una vittoria, e per il morale dei Vikings potrebbe rappresentare un'importante iniezione di fiducia.
Successi ne possono tranquillamente arrivare ed arriveranno, a patto che ci sia il Peterson da capogiro cui siamo abituati, che la linea offensiva ritrovi la coesione perduta (McKinnie sembra avere ancora molta ruggine addosso) e che la difesa continui a giocare come sta facendo, mettendo fisicità ed aggressività davanti a tutto il resto.
Solo in questo modo non sarà necessario chiedere i miracoli a chi non sempre li può fare.