Matt Bryant, il figlio Tre e la moglie Melissa: in ricordo di Matthew Tyson.
Vola via la quarta settimana di football che fa tremare le grandi e, dopo il crollo delle borse più quotate in Ncaa la Nfl non risparmia qualche sorpresa e ci permette di entrare in una sette giorni piena di interrogativi e perplessità .
La classifica guardata oggi assume un aspetto piuttosto indecifrabile e se è vero che trovare i NY Giants come unici imbattuti della Nfc non è una sorpresa (in fin dei conti sono campioni in carica) è vero anche che in Afc la fanno da padrone Tennessee e Buffalo, non certo il duo che ti aspetti di vedere lì.
Qualcuno ha già cominciato a tirare fuori i paragoni col 2002, l'anno in cui Tampa Bay vinse il suo primo e unico Super Bowl giocando la finale a San Diego contro Oakland nella sfida che metteva di fronte il presente ed il passato prossimo di Jon Gruden. Un nome destinato a tornare tra queste righe come se la casualità volesse sempre mettere mano a tutto.
Certo che con Indianapolis e New England a riposo è difficile capire cosa sarebbe potuto accedere, ma questo non toglie che lo scontro destinato a decidere la regina della Nfc tra Dallas e Green Bay oggi non sembra più così scontato.
Dallas continua a evidenziare qualche lacuna di troppo ed una discontinuità difensiva che permettono spesso agli avversari di trovare giocate profonde, punti e, come domenica, anche la vittoria.
I Packers sono lì che perdono pezzi e giungono alla seconda sconfitta di fila per mano di Tampa Bay, altra squadra che un Brian Griese capace di regalare tre palloni ogni domenica riesce ad imporsi sul 3-1 risultato su cui, non ne ce ne vogliano i tifosi dei Buccaneers, non avremmo mai e poi mai scommesso un mese fa.
La vittoria dei Buccaneers porta però una firma importante: quella del kicker Matt Bryant. Bryant, 33 anni, quarta stagione in Florida (anzi quinta, visto che nel 2004 giocava a Miami) ha calciato domenica scorsa tre field goal mettendoli tutti tra i pali.
Nove punti che, di fatto, fanno la differenza tra i 30 segnati dalla squadra di casa e i 21 messi a referto da Aaron Rodgers e soci. I primi due nel secondo periodo portavano al primo sorpasso, il terzo, nell'ultimo quarto, sigillava l'ultimo definitivo passo oltre l'ostacolo piazzando un 23-21 poi messo al sicuro dal touchdown di Earnest Graham.
Come ben saprete tutto questo non avrebbe nulla di strano se non fosse che per noi è risultato quasi impossibile non guardare dentro il casco e cercare gli occhi di un uomo che si gettava nel lavoro, nella sua passione, per tentare probabilmente di rimuovere un peso che nessuno potrà mai spostare. Matt Bryant aveva perso martedì scorso il figlioletto di tre mesi eppure, domenica, era lì ad onorare il proprio lavoro, la propria maglia e il proprio contratto.
Un giorno dopo il funerale del piccolo Matthew Tyson.
Cercava di fare cose normali in un mondo che non sembra avere più nulla di normale vivendo una situazione che, seriamente, non è normale.
E' stato difficile seguire certe gesta, certi movimenti, senza pensare a quanto potesse esserci in quel momento nel cuore di Matt, e senza voler essere drammaticamente curiosi, abbiamo deciso di spendere queste poche righe per lui.
Play.It non è certo il sito che si presta per certe cose e già ci sembra di sentire le voci che ci dicono che "la famiglia Bryant non è la sola a dover muovere un passo così difficile", che "la famiglia Bryant va in copertina perché c'è qualcuno di famoso al suo interno che può raccontare un dolore che migliaia di famiglie vivono ogni giorno nel silenzio". Ed è verissimo.
Dovendo però cercare di approfondire un fatto, un avvenimento, dover cercare di stabilire quale sia il punto cruciale di una settimana di semplice sport, non ci è venuto in mente niente di più significativo di questo. Senza banalità , senza schiamazzi o piagnistei. Solo questo.
Da gente che scrive, da appassionati, da padri o fratelli di qualcuno, la domenica di Tampa ci ha lasciato un nodo in gola in quelle standing ovation che ogni volta squarciavano il cielo della Florida per tre punti che, altre volte, avrebbero fatto decisamente meno rumore.
Gli abbracci, il bacio ogni volta lanciato verso il cielo, attimi che non dovrebbero essere spettacolarizzati e che noi senza alcun motivo continuiamo a sottolineare forse perché non abbiamo davvero le parole per tentare di descrivere qualcosa che si avvicini realmente a quanto abbiamo visto e provato. Cercando di capire il nulla, cose che in realtà non vogliamo sapere.
La nostra debolezza di uomini qualsiasi non ci spingerà mai a cercare qualcosa da scrivere a sensazione per tentare di esaltare più del dovuto il gesto di un essere umano che prova a giocare contro un dolore stavolta non fisico, non recuperabile in un paio di settimane; fossero anche mesi, anni, quei tre calci rimarranno per sempre i più pesanti ed importanti della vita di un kicker come tanti, a prescindere da noi che ci sentiamo quasi imbarazzati nel toccare certe corde.
Così, come nulla fosse, ci ritroviamo senza nulla da dire della quarta giornata di una stagione scombussolata certo da eventi sportivi che avremmo potuto illustrare a suon di paragoni e accontentarci, magari in qualche blog, di lasciare due righe in omaggio a Matt e ai suoi familiari.
Perché, questa volta, il lutto, la morte, nulla hanno a che fare con una società violenta, con uno sport rischioso, con un mondo che ammiriamo da settembre a febbraio.
Questa volta la cosa sfiora il mondo degli eroi della domenica e fa più paura in un certo senso, perché sembra più vera, ma al tempo stesso più assurda, tragica, spaventosa.
Resta il fatto, l'evento in sé, che Jon Gruden ha sottolineato con un "grazie per essere qui con noi tutti" poco prima della gara.
Quel Gruden che vede nel gesto di Bryant un incredibile segno di rispetto verso i compagni, la squadra che aveva bisogno del proprio "cecchino" nel giorno in cui la temibile armata del Wisconsin scendeva verso le calde spiagge della Florida.
Un kicker che aveva appena sepolto il figlio ed era subito volato dai suoi compagni.
Tornato a casa per giocare, per vincere, per sentirsi vivo. Tutto questo mentre noi non riuscivano a veder altro che un padre distrutto e vivevamo una sensazione di disagio e ammirazione per una persona in grado di tornare senza far finta che nulla fosse successo. Ma che tornava proprio perché qualcosa era successo.
Pazienza se il football giocato, i numeri, le statistiche e le previsioni per una volta passeranno in seconda pagina. In quattro giorni nulla abbiamo trovato di più emozionante di un padre che gioca per il suo tifoso numero uno che oggi non c'è più.
C'è il record di Brett Favre, che avrebbe meritato fiumi di parole dopo una carriera che non smette di stupire. Ci sono squadre che sorprendono ed altre che deludono, c'è sempre qualcosa, magari di banale o ripetitivo, ma pur sempre incentrato nel gioco, qualcosa che merita di essere discusso, analizzato. Ma davanti alle notizie, alle letture, agli aggiornamenti, non riuscivamo a staccare la mente e pensare ad altro. Un giorno dopo l'altro.
E se ingenuamente siamo gli unici convinti che domenica scorsa tutti abbiano fatto il tifo per Matt, forse persino qualche tifoso di Green Bay, beh, pazientate e lasciatecelo sognare. Non svegliateci, almeno stavolta.