Philip Rivers ha giocato ancora alla grande. San Diego è finalmente riuscita a vincere.
San Diego Chargers. Una squadra in cerca della terra promessa, attrezzata al massimo per battere tutta la competizione, accreditata da oramai due-tre anni come seria pretendente al titolo, capace di maturare attraverso le difficoltà e compiere nel giro di un anno quel passo in più che viene richiesto per diventare grandi.
Stiamo ovviamente parlando del cambio di timone tra Marty Schottenheimer, silurato dopo ottime regular seasons e fallimenti troppo precoci nei playoffs, e Norv Turner, capace di sorprendere gli Indianapolis Colts prima di cadere davanti alla super potenza di New England, con il rimpianto di ben tre infortuni che chissà , magari avrebbero potuto, se non capitati, cambiare ancora più positivamente le sorti dei cosiddetti Bolts.
Con il peso di un Super Bowl apparentemente già scritto, quello che per la carta stampata si disputerà idealmente tra Chargers e Cowboys, con il vantaggio dell'infortunio di Tom Brady, evento che elimina una temibilissima concorrente per la Afc, nonché con l'incognita della sostituzione dell'asso difensivo della squadra, Shawne Merriman, San Diego aveva una grande missione psicologica da compiere nel Monday Night che portava al Qualcom Stadium un avversario potenzialmente fastidioso come i nuovi Jets di Brett Favre, un ostacolo da superare a tutti i costi, una situazione da affrontare già alla terza giornata di campionato con le spalle al muro.
Già , la Nfl non è fatta per aspettare gli altri, le partite sono poche, chi si ferma è inevitabilmente perduto. Il destino e la sfortuna avevano difatti beffato i Chargers nei primi due turni di campionato, quando un Dante Rosario improvvisatosi per un giorno eroe (aveva ricevuto il touchdown decisivo a tempo scaduto per i suoi Panthers) ed una colossale topica arbitrale combinata da uno dei migliori ufficiali della Nfl, il muscoloso Ed Hochuli, avevano condannato i californiani allo zero nella casella delle vittorie, tra l'altro corrispondenti a due premature lunghezze da recuperare nei confronti dei Broncos nel quadro della Afc West.
E se esiste un posto dove è conosciuta la differenza che può fare giocare un Championship in casa proprio, quello è proprio San Diego.
A questo aggiungiamo una difesa che è cambiata dai tempi di Wade Philips, l'allineamento 3-4 trasferito all'attuale coordinator Ted Cottrell aveva mantenuto l'aggressività precedente, ma non lo stesso tipo di pressione sul quarterback che la squadra riusciva a mettere nei momenti di maggior bisogno, con la conseguenza di arrivare alla concessione di oltre 400 yards passive in quella disgraziata partita contro Denver.
Aggiungiamoci pure un Tomlinson neanche vicino alla condizione perfetta, un Gates tormentato da una stupidaggine che è solo apparente, un fastidiosissimo dolore all'alluce che in fase di scatto ti può cambiare la vita, ed un Rivers determinato ma anche nervoso, desideroso di rimettere la propria squadra in carreggiata per raggiungere l'unico obbiettivo che i Chargers si sono prefissi in sede di training camp.
"Dovremo giocare come se fossimo 2-0, non 0-2", aveva sentenziato Rivers prima di questa partita, "l'unico modo per riuscire a vincere questo difficile impegno è giocare psicologicamente da imbattuti. Se dovessimo entrare in campo pensando che siamo senza vittorie, probabilmente perderemo e finiremo a 0-3". Ed un 0-3 avrebbe risucchiato la squadra in una voragine dalla quale difficilmente sarebbe riuscita a venire fuori.
Tale pressione si è manifestata anche in campo, nei primi minuti di gioco, quando Rivers ha cominciato la sua partita con un intercetto riportato in endzone da David Barrett, quando il quarterback non si è dimostrato sicuro su uno snap ricevuto sulle 5 yards avversarie riuscendo a riprendere il pallone al volo, quando Tomlinson non è riuscito a fare una delle cose che per lui sono elementari, ricevere fuori dal backfield ed esplodere leggendo i blocchi droppando invece la palla, nonché quando la consapevolezza di avere un'arma in meno in Gates, al di là del touchdown segnato, si è fatta ancora largo vedendo che il tight end non è ancora in grado di creare le giuste separazioni tra sé ed i difensori.
La reazione, però, è stata quella che proprietà , coach e fans si attendevano: Rivers ha finito con il lanciare per 3 touchdowns per la terza partita consecutiva e dopo l'intercetto ha giocato in maniera automatica, Tomlinson ha finalmente segnato (due volte) per la prima volta in questa stagione pur essendo ancora distante anni luce dalle produzioni medie abituali (2.6 yards a portata), la difesa ha confuso gli avversari con allineamenti versatili e pressione alternata su ogni lato (a proposito, bella la partita del vice-Merriman, Tim Dobbins), ed ha intercettato Favre per due volte, che senza i drops di Hart e Cromartie sarebbero potute essere anche quattro.
Scoprire poi che Mike Tolbert, fullback di mestiere, sa anche ricevere dentro la redzone, cosa che il buon Lorenzo Neal non sapeva fare, e trovare conferme dal terribile folletto Darren Sproles, è tutto grasso che cola.
I Chargers hanno chiuso la partita già nel primo tempo, nel quale sono stati capaci di segnare 31 dei loro 48 punti finali limitando gli avversari ad un ritorno di intercetto ed a un kickoff return scaturito dalle fenomenali finte di Leon Washington e terminato sulle 5 yards avversarie, lasciando che due dei tre TD passes di Favre arrivassero nel corso della ripresa, a risultato e vittoria abbondantemente acquisiti.
Favre (30/42, 271, 3 TD, 2 INT) ha giocato non troppo diversamente da come avrebbe giocato a Green Bay, in una per lui tipica partita fatta di tanti lanci, pochissime corse (Thomas Jones fermo a 10 portate per 37 yards) e tante forzature, molte arrivate da un'intesa non esattamente perfetta con i nuovi destinatari dei suoi missili.
Nulla di nuovo sotto il sole, la natura competitiva del quarterback, mai in carriera tiratosi indietro di fronte ad una papabile rimonta, ha portato a risultati alterni, con la sola dimenticanza di un piccolo aspetto a sfavore: Brett, difatti, non aveva mai vinto durante la sua lunga permanenza in Nfl, una partita con 14 o più punti da rimontare, e tale statistica è stata nuovamente confermata dalla gara di ieri notte, dove la fretta di recuperare un punteggio che scappava sempre più lontano ad ogni drive di San Diego si è rivelata cattiva consigliera.
I problemi dei Jets, per una discreta serie di ovvietà , non possono essere riconducibili alle sole forzature di Favre: discreto peso ha avuto l'assenza di sintonia tra il quarterback e di suoi ricevitori, che in diverse occasioni hanno interpretato nella maniera sbagliata le tracce assegnategli (in tre occasioni la traccia eseguita era interna rispetto ad un lancio esterno); molta differenza l'ha fatta la prematura uscita dal campo di Kris Jenkins, la cui assenza ha creato una voragine nel mezzo, all'interno della quale il gioco di corse di San Diego ha cominciato a funzionare sul serio.
Con ricevitori bisognosi di amalgama e tempo per formarla, un regista trentanovenne che di tempo non ne ha, ed un defensive tackle sovente alle prese con problemi fisici che rappresenta uno degli investimenti economicamente più gravosi della scorsa offseason, fossimo in Eric Mangini cominceremmo a preoccuparci seriamente: considerata la difficoltà dei Patriots e la ricostruzione di Miami, non era un 1-2 che l'altra sponda di New York si attendeva a questo punto del campionato della Afc East.